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diretto da Romano Luperini

Speciale 25 aprile /2. Perché leggere Il fascismo eterno di Umberto Eco

Nel 1942, all’età di dieci anni, vinsi il primo premio dei Ludi Juveniles (un concorso a libera partecipazione coatta per giovani fascisti italiani – vale a dire, per tutti i giovani italiani). Avevo elaborato con virtuosismo retorico sul tema “Dobbiamo noi morire per la gloria di Mussolini e il destino immortale dell’Italia?” La mia risposta era stata affermativa. Ero un ragazzo sveglio.

Poi nel 1943 scopersi il significato della parola “libertà”. Racconterò questa storia alla fine del mio discorso. In quel momento “libertà” non significava ancora “liberazione”. (U. Eco, Il fascismo eterno, La nave di Teseo, 2022, pag. 11)

Il 25 aprile 1995, alla Columbia University, Umberto Eco pronunciava questo discorso, pubblicato in giugno su “The New York Review of Books”, per celebrare la liberazione dell’Europa dal nazifascismo. La traduzione in italiano fu poi pubblicata nell’estate sempre di quell’anno su “La Rivista dei Libri”. La prima edizione in volume è del 1997 (Cinque scritti morali), ma qui è citata l’edizione in un unico volumetto pubblicato recentemente dalla Nave di Teseo. Si tratta di meno di cinquanta pagine, agili, sorridenti, ammiccanti: volte a conquistare l’attenzione e l’approvazione del pubblico statunitense, notoriamente digiuno di storia, anche nel ceto intellettuale degli studenti universitari. E, per evitare fraintendimenti, ricorro qui all’autorevole testimonianza di Eric Hobsbawm, il quale ricorda di aver «dovuto rispondere alla domanda, mossagli da un intelligente studente americano, se la locuzione “seconda guerra mondiale” significasse che c’era stata anche una “prima guerra mondiale”» (Il secolo: uno sguardo a volo d’uccello in Il secolo breve). Nei quasi trent’anni che ci separano da quel lontano 1995, in cui Eco pronunciava la sua conferenza e in Italia usciva il saggio di Hobsbawm (pubblicato l’anno precedente in inglese), abbiamo fatto passi da gigante nell’inseguire il modello di istruzione americano, tuttavia non siamo ancora riusciti a raggiungere simili vette tra le giovani generazioni. (Ci stiamo lavorando, ma c’è ancora molto da fare.) Per arginare la deriva che vorrebbe, in primo luogo, cancellare la storia, si potrebbe leggere questo libretto. E si potrebbe scoprire come fare un po’ di storia alla rovescia, partendo, cioè, dall’oggi per inoltrarsi nel passato (che sarebbe, forse, il modo più naturale di studiare la storia).

Perché, per capire il tempo, bisogna studiare la storia

Nella Nota al testo Eco tende a giustificare il tono del suo discorso adducendo due scusanti.

La prima riguarda il destinatario originale: «occorre tener presente che il testo era stato pensato per un pubblico di studenti americani». E grazie ad Hobsbawn siamo certi cosa Eco sottintenda. Ma, se proprio non volessimo capire, specifica: «Il fatto poi che il discorso fosse rivolto a giovani americani spiega perché si forniscono informazioni e precisazioni quasi scolastiche su eventi che un lettore italiano dovrebbe conoscere». E in quel condizionale c’è il timore che la distanza tra America ed Italia si sia drammaticamente accorciata già in quel decennio. Sta di fatto che oggi l’utilità del libretto è aumentata proprio in virtù del difetto d’origine: «il lettore italiano» (come anche lo studente) potrà oggi con profitto recuperare quelle informazioni che dovessero mancargli.

La seconda scusante riguarda il tempo e il luogo: il discorso «era stato pronunciato nei giorni in cui l’America era scossa per l’attentato di Oklahoma City, e la scoperta del fatto (per nulla segreto) che esistevano negli Stati Uniti organizzazioni militari di estrema destra.»

E qui occorre ricordare che l’attentato di Oklahoma City è avvenuto il 19 aprile 1995, sei giorni prima che Eco pronunciasse il suo discorso, ha causato 168 morti e 672 feriti, ed ha avuto come obiettivo un edificio che ospitava vari uffici federali, l’Alfred P. Murrah Federal Building. Il numero di vittime e l’entità dei danni causati dal furgone imbottito di esplosivo è stato superato soltanto dall’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, e in quel caso si è trattato di un attacco di un ‘nemico’ esterno, come tutti ricorderanno: Al Qaeda ne è stata responsabile. Ma ad Oklahoma City ad agire è stato un ‘patriota’, Timothy Mc Veigh, un ex marine, un bianco suprematista e razzista, che intendeva combattere la tirannide dello Stato federale con le sue leggi e con le sue tasse. Immediatamente arrestato, processato e condannato a morte, è stato giustiziato con iniezione letale l’11 giugno 2001.

Acutamente Eco suggerisce, perciò, nel 1995, la centralità del «tema» «dell’antifascismo», nel momento in cui la «riflessione storica» induca «una riflessione sui problemi d’attualità», il che gli fornisce la possibilità di discutere dell’esistenza di un fascismo eterno in contrapposizione a quello storico. A patto che non si perdano «le informazioni e le precisazioni» su cui riflettere, potremmo anche noi, allora, osservare l’attualità sub specie aeternitatis.

Perché si può essere fascista in 14 (mila) modi

Dopo aver affermato che la Resistenza ha fornito un importante contributo militare alla liberazione, e che è stata combattuta non solo da comunisti ma da appartenenti a vari partiti politici, come dimostra il ruolo svolto da Edgardo Sogno, il «leggendario» Franchi della guerra partigiana (che meriterebbe da solo un corposo capitolo nel libro dei ‘misteri’ della repubblica italiana tra servizi segreti, massoneria, P2, Sindona, Cia e Gladio), Umberto Eco, nella terza occorrenza anaforica della medesima frase iniziale, volta a confutare luoghi comuni ‘di destra’, puntualizza

In Italia c’è oggi qualcuno che dice che la guerra di liberazione fu un tragico periodo di divisione, e che abbiamo ora bisogno di una riconciliazione nazionale. Il ricordo di quegli anni terribili dovrebbe venire represso. […] Se riconciliazione significa compassione e rispetto per tutti coloro hanno combattuto la loro guerra in buona fede, perdonare non significa dimenticare. Posso anche ammettere che Eichmann credesse sinceramente nella sua missione, ma non mi sento di dire: “Okay, torna e fallo ancora.” Noi siamo qui per ricordare ciò che accadde e per dichiarare solennemente che “loro” non debbono farlo più.

Ma chi sono “loro”? (pagg. 17-18)

Stabilito che «sarebbe difficile» vedere «ritornare nella stessa forma» i «governi totalitari che dominarono l’Europa prima della seconda guerra mondiale», e dimostrato che il «fascismo era un totalitarismo fuzzy [sfumato]» (pag.25), Umberto Eco propone, argomentando, la «lista di caratteristiche tipiche» di quello che lui chiama «Ur-Fascismo» o «fascismo eterno»:

  1. Culto della tradizione, negazione dell’avanzamento del sapere, sincretismo: «Il fatto stesso che per mostrare la sua apertura mentale una parte della destra italiana abbia recentemente ampliato il suo sillabo mettendo insieme De Maistre, Guénon e Gramsci è una prova lampante di sincretismo» (pag.36);
  2. Rifiuto del modernismo, della modernità, dell’Illuminismo e del razionalismo;
  3. Culto dell’azione per l’azione, irrazionalismo, sospetto per la cultura e per il mondo intellettuale: «Gli intellettuali fascisti ufficiali erano principalmente impegnati nell’accusare la cultura moderna e l’intellighenzia liberale di avere abbandonato i valori tradizionali.» (pag.38);
  4. Rifiuto della critica: «Per l’Ur-Fascismo il disaccordo è tradimento»;
  5. Paura della differenza, razzismo;
  6. Consenso dettato «dalla frustrazione individuale o sociale» tipico delle classi medie inclusa la nuova piccola borghesia (i vecchi “proletari”);
  7. «A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l’Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è […] quello di essere nati nello stesso paese. È questa l’origine del “nazionalismo”. Inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l’ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati.» (pag. 40), xenofobia e antisemitismo;
  8. I nemici sono al tempo stesso troppo forti e troppo deboli;
  9. Il pacifismo è collusione col nemico;
  10. Disprezzo per i deboli, elitismo popolare: «Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito» (pag. 43);
  11. Eroismo e culto della morte. «L’eroe Ur-Fascista è impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce più di frequente far morire gli altri.» (pag. 44);
  12. Machismo «(che implica disdegno per le donne e una condanna intollerante per abitudini sessuali non conformiste, dalla castità alla omosessualità)» (pag. 45);
  13. Populismo qualitativo Tv o Internet, «in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la “voce del popolo”» (pag.46), anti-parlamentarismo;
  14. Uso della “neolingua”: lessico povero, sintassi elementare.

Perché il 25 aprile è la festa della libertà e della liberazione

Umberto Eco ricorda la sua scoperta di avere vissuto in una dittatura nel momento in cui, arrestato Mussolini (1943), la madre lo manda a comprare il giornale e scopre che ce ne sono tanti: fa la prima esperienza della libertà di stampa, di associazione politica, di parola, di quello che siamo abituati, fortunatamente, a considerare naturale ed ovvio e che è stata una conquista difficile, costruita con il coraggio e con il dolore.

Allora, di fronte alle parole che sono state pronunciate in questi ultimi tempi e di cui poi si è chiesto maldestramente scusa (non sempre e non del tutto), ricordiamoci che

Ionesco disse una volta che “solo le parole contano e il resto sono chiacchiere”. Le abitudini linguistiche sono spesso sintomi importanti di sentimenti inespressi. (pagg. 19-20)

Per il peso che hanno le parole, e per il senso che ha quello che un tempo si chiamava impegno, Umberto Eco termina il suo discorso citando una poesia di Franco Fortini, a cui adesso lascio anch’io la parola.

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