Anne Carson – “Totalità: il colore dell’eclissi”
Su gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un estratto da Decreazione di Anne Carson (Utopia, 2023), tradotto da Patrizio Ceccagnoli.
Si potrebbe pensare che un’eclissi totale di sole sia priva di colore. La parola eclissi deriva dal greco antico ἔκλειψις («abbandono», «mancanza», «allontanamento»). Il sole ci lascia, siamo abbandonati dalla luce. Ciononostante, le persone che sperimentano l’eclissi totale si sentono spinte verso descrizioni così potenti della sua vacuità che quello stesso vuoto inizia a prendere colore. Dopotutto, cos’è un colore? Qualcosa che non è incolore. Si può dare una doppia negazione della luce? Non sarebbe come svegliarsi da un sogno nella direzione sbagliata e ritrovarsi nel retro della propria mente? C’è un momento esatto per il rovesciamento all’interno della totalità. «Rovescia la natura», mormora Emily Dickinson.[1] Mentre l’ombra della luna ci passa sopra – come un assalto del buio, un tornado, una palla di cannone, un dio che procede a grandi falcate, lo sbandamento di una barca, una dose di anestetico nel braccio (queste comparazioni si presentano in letteratura) – vedremo, attraverso il nostro spettroscopio o un pezzo di vetro affumicato, alcune delle linee spettrali diventare più chiare, poi un lampo e, infine, le linee che si rovesciano, alcune soppresse e altre più brillanti. Ora siamo dentro l’ombra della luna, che è larga cento miglia e viaggia a duemila miglia all’ora. È una sensazione meravigliosa. Sembra stabilire una competizione con tutto ciò che abbiamo finora sperimentato in fatto di luce e colore. Virginia Woolf, nel saggio Il sole e il pesce (che registra gli eventi celesti del 29 giugno 1927 a Bardon Fell, sopra Richmond), interpreta questa competizione come una vera e propria corsa:
«Il sole doveva correre attraverso le nuvole e raggiungere la meta, che era una sottile trasparenza sulla destra, prima che i sacri secondi fossero scaduti».[2]
La gara finisce con una sconfitta e di quella sconfitta mostra i colori:
«E mentre i fatali secondi passavano, e noi ci rendevamo conto che il sole stava per essere sconfitto, che ora aveva davvero perso la gara, tutto il colore cominciò a lasciare la brughiera. Il blu divenne viola; il bianco si fece livido come all’avvicinarsi di una tempesta violenta ma senza vento. I volti rosei divennero verdi e il freddo fu più forte che mai. Questa fu la sconfitta del sole».
Difficile andare avanti dopo l’inversione del colore e la sconfitta del sole. «Questa fu la fine», dice la scrittrice, «la carne e il sangue del mondo erano morti». Altri osservatori dell’eclissi menzionano per quell’istante una sensazione di errore. Emily Dickinson, con la consueta brevità, scrive che «l’orologio di Geova è guasto». Annie Dillard, in maggior dettaglio:
«Il sole stava tramontando e il mondo era sbagliato. I prati erano sbagliati; erano platino… Questo colore non si è mai visto sulla Terra… Io stavo lì in piedi, per chissà quale sbaglio».[3]
L’errore ha il suo colore e non assomiglia a nient’altro. Nemmeno a un’altra eclissi, secondo Annie Dillard:
«Avevo assistito a un’eclissi parziale nel 1970. Un’eclissi parziale è molto interessante. Non ha quasi nulla a che vedere con un’eclissi totale. Tra l’assistere a un’eclissi parziale e l’assistere a un’eclissi totale passa la stessa differenza che c’è tra il baciare un uomo e sposarlo».
Si noti l’analogia. Analogie drastiche abbondano nella letteratura della totalità; ma è del tutto normale, in questo maledetto momento, mettersi a pensare a un bacio e a un matrimonio. Molte spiegazioni mitologiche dell’eclissi si rifanno all’atto sessuale o alla speranza di copulare. Per esempio, un’antica leggenda germanica narra di come la luna (maschio) fosse sposata con il sole (femmina) ma non riuscisse a soddisfare l’ardente passione di quest’ultimo, voleva soltanto andarsene a dormire. I due fecero una scommessa: chiunque si fosse svegliato per primo al mattino avrebbe dettato le condizioni della giornata. Il sole, già turbolento alle 4 del mattino, vinse la scommessa ma giurò che non avrebbe mai più dormito con la luna. Presto si pentirono entrambi della loro separazione e iniziarono ad avvicinarsi l’uno all’altra (eclissi). Non appena si incontrano, iniziano a litigare e se ne vanno ognuno per la propria strada, il sole rosso di rabbia. Agli storici piace associare la totalità al matrimonio, come nel famoso racconto di Erodoto sull’eclissi del 585 a.C., avvenuta nel bel mezzo di una battaglia tra lidi e medi. Entrambi gli eserciti furono così turbati dalla situazione solare che interruppero i combattimenti e suggellarono una tregua organizzando le nozze tra la figlia di un re e il figlio dell’altro.[4] Anche i poeti vedono una connessione tra l’eclissi totale e gli accordi matrimoniali. Archiloco, il lirico arcaico, menziona un’eclissi totale in una poesia del settimo secolo a.C. in cui un padre disapprova i piani matrimoniali della figlia. E dice:
«Niente al mondo può più dirsi stupefacente,
incredibile o impossibile
ora che Zeus volse il mezzogiorno in notte
occultando la luce sfolgorante del sole».[5]
A questo punto la poesia diventa frammentaria, ma il padre sembra usare l’eclissi come analogia per l’incredibile scelta del marito compiuta dalla figlia. Quando il poeta Pindaro fu testimone di un’eclissi totale a Tebe (probabilmente nel 478 o nel 463 a.C.) la inserì nel suo nono peana. La descrizione di Pindaro di «una stella luminosa rubata nel bel mezzo del giorno» è stranamente ma drammaticamente unita all’elogio romantico di una ninfa tebana di nome Melia, che «si unì con il dio Apollo nel proprio letto d’ambrosia».[6] Tuttavia, nella letteratura sulle eclissi, uno degli accoppiamenti più bizzarri è quello che Virginia Woolf mette insieme nel saggio Il sole e il pesce. Quest’opera è colma (in diversi sensi) di sesso. Inizia con un po’ di speculazione cognitiva:
«Perché una visione sopravvivrà nello strano stagno in cui depositiamo i nostri ricordi solo se avrà la fortuna di allearsi con qualche altra emozione che la preservi. Le visioni si sposano in modo incongruo, morganatico (come la regina e il cammello), e così si tengono in vita a vicenda… Le visioni sbiadiscono e muoiono e scompaiono perché non sono riuscite a trovare il compagno giusto».
Segue poi una vigorosa descrizione dell’eclissi totale, che vira all’improvviso, dopo la totalità, in un’istantanea di due lucertole che si accoppiano su un sentiero del giardino zoologico:
«Una lucertola è montata immobile sul dorso di un’altra, solo il luccichio di una palpebra d’oro o il risucchio di un fianco verde svelano che sono di viva carne, e non di bronzo. Ogni passione umana sembra furtiva e febbrile accanto a questa immobile estasi».
Ma non si accontenta dell’estasi delle lucertole. Questo momento immortale si sposa subito dopo con una terza immagine: quella dei pesci che nuotano nelle vasche dell’acquario di Londra. I pesci non trovano ragion d’essere. Ho chiesto spiegazioni a un certo numero di esperti di Virginia Woolf su questo punto e nessuno sembra sapere perché la scrittrice abbia aggiunto i pesci alle lucertole. Le immagini mentali di eclissi e lucertole non sarebbero state sufficienti, non si sarebbero tenute «in vita a vicenda» (come dice che fanno le idee incongrue, nello strano stagno della nostra mente)? Eppure Virginia Woolf complica deliberatamente questa unione limpida con un terzo punto di vista. Mi chiedo se avesse in mente questa terza prospettiva quel giorno, mentre vagava per Bardon Fell in compagnia di suo marito, Leonard, e della sua amante, Vita Sackville-West. A giudicare dalle osservazioni nel suo diario (30 giugno), guardò Vita tutto il giorno, guardò Vita con suo marito, guardò Harold Nicolson (che Virginia Woolf descrive altrove nel suo diario come «uno spontaneo uomo bambinesco… Che ha una mente che rimbalza quando la lascia cadere»), osservando come andasse il matrimonio con Vita:
«Nella nostra carrozza eravamo Vita e Harold, Quentin, Leonard e io. Quella è Hatfield, dissi. Stavo fumando un sigaro… C’era una stella, sopra il parco Alexandra. Guarda, Vita, quello è il parco Alexandra, disse Harold. I Nicolson si sono addormentati; Harold si raggomitolò con la testa sulle ginocchia di Vita. Lei sembrava la Saffo di Leighton, addormentata; così ci siamo tuffati nelle Midlands, e ci siamo fermati per una sosta molto lunga a York. Poi alle 3 abbiamo tirato fuori i panini e quando sono rientrata dal bagno ho trovato Harold, sporco di crema, che veniva ripulito… Poi ci siamo concessi un altro pisolino, o almeno l’hanno fatto i Nicolson».
Era il 1927. Il matrimonio andava bene per la saffica Vita, il matrimonio andava bene per la virginale Virginia. A parte questo, si stavano godendo la loro relazione e non vedevano l’ora di trascorrere insieme il fine settimana dopo l’eclissi a Long Barn (l’antica tenuta di famiglia di Vita). Tuttavia, la totalità è un fenomeno che può capovolgere i rapporti. Chissà se si sono soffermate a guardarsi, queste persone accoppiate e non accoppiate, sul piano esposto di un ordinario momento di quella giornata curiosa, intensa, storica, sbagliata. Improvvisa sensazione di vecchiaia. Nero vento di montagna. Portate un cappotto, era stato detto loro, e un pezzo di vetro affumicato. Farà freddo. Vi farà male agli occhi. La totalità è senza luce, e dovrebbe essere incolore, eppure può intensificare certe domande che rimangono nel retro della mente. Cos’è dopotutto un coniuge? Rimarrà, può tenermi in vita?
[1] E. Dickinson, The complete poems, a cura di T.H. Johnson, Little, Brown and Company, Boston 1960.
[2] V. Woolf, The sun and the fish, in Collected essays, Hogarth Press, Londra 1966-1967.
[3] A. Dillard, Teaching a stone to talk, Harper & Row, New York 1982.
[4] Erodoto, Herodoti “Historiae”, a cura di C. Hude, Oxford University Press, Oxford 1908.
[5] Archiloco, Fragments, in Greek lyric poetry, a cura di D.A. Campbell, Bristol Classical Press, Londra 1982.
[6] Pindaro, Pindari “Carmina” cum fragmentis, a cura di B. Snell e H. Maehler, 2 v., B.G. Teubner, Lipsia 1975-1980.
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