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diretto da Romano Luperini

Inchiesta sulle scuole di scrittura /2 – Paolo Malaguti (Alba pratalia)

A cura di Morena Marsilio e Emanuele Zinato

Il blog “Laletteraturaenoi”, dopo inchieste sugli editor, sui traduttori, sulle copertine, sulla scrittura per giovani-adulti e sui narratori d’oggi, continua il suo sondaggio sulle forme del lavoro culturale odierno con un questionario rivolto a chi insegna nelle scuole di scrittura: l’appuntamento ha cadenza quindicinale.

Nella sua Introduzione al volume Convergenze del 2010, Remo Ceserani rilevava il persistere di una “straordinaria vitalità della narrazione in tutte le sue forme”: da una parte il genere romanzo, “un gatto sornione dalle sette vite”, dall’altra il diffondersi di un “vero e proprio bisogno di narrazione (…) in pratiche conoscitive che programmaticamente si distinguono dai romanzi”, lo storytelling

A oltre dieci anni da quel saggio si assiste alla continua espansione delle scuole di scrittura, alcune delle quali includono la pratica dello storytelling nei loro intenti programmatici.

Come è approdato/a alla docenza in una scuola di scrittura? Da quanto tempo insegna? Ha frequentato a sua volta una scuola di scrittura?

Non ho frequentato una scuola di scrittura, credo che se lo avessi fatto avrei forse rotto gli indugi prima, cimentandomi con qualche anno di anticipo con una prova di narrazione. Ho incontrato le scuole di scrittura dopo le prime pubblicazioni, per circa sette anni mi sono limitato a tenere delle lezioni in qualità di docente ospite presso altre scuole, quest’anno grazie alla collaborazione con alcuni amici (in primis Alberto Trentin) ho deciso di aprire la scuola di scrittura “Alba pratalia” a Bassano del Grappa.

In base alla sua esperienza quali sono le aspettative di chi si iscrive a un corso di scrittura e quali gli obiettivi a cui un docente può ragionevolmente mirare? Insomma quanta possibilità di incontro esiste tra la molla che muove la “domanda” e le possibilità oggettive con cui l’”offerta” risponde?

Mi ha sempre colpito l’estrema varietà che caratterizza l’utenza dei corsi di scrittura. Varietà di genere: mentre i gruppi di lettura sono quasi esclusivamente femminili, nei corsi di scrittura è sempre presente anche una significativa componente maschile. Varietà di età anagrafica, si va dagli studenti universitari ai pensionati. E, ovviamente, varietà di intenti e obiettivi. C’è chi ha già un romanzo nel cassetto e vuole passarlo al setaccio del corso, chi, magari dopo decenni, si decide a sfruttare il tempo libero per dare voce a una passione che lo incuriosisce ma verso la quale avverte una “insufficienza” che spera di colmare con l’aiuto di qualcuno un po’ più esperto. A mio avviso la scuola di scrittura offre di sicuro almeno due cose: dei momenti di socialità che aiutano a donarsi il tempo per scrivere (più o meno come chi riesce a fare attività fisica solo se va in palestra) e delle occasioni di confronto con altre persone, più o meno esperte di scrittura, dalle quali ricevere consigli, opinioni, strategie. Insomma, credo che si impari a scrivere scrivendo, e soprattutto si impari a scrivere amando la scrittura, e su questi fronti le scuole possono aiutare non poco, soprattutto nei primi passi.

Come i suoi studenti si approcciano al desiderio di esordire e, più in generale, come guardano al mondo editoriale?

Molti di quanti si iscrivono ai corsi lo fanno con l’obiettivo di pubblicare, anche se questa equazione non è sempre valida. Uno dei fattori che mi ha convinto a insegnare in una scuola di scrittura è stata la presa di coscienza che tanti aspetti del viaggio dal testo scritto al testo pubblicato che ritenevo ovvi o scontati in realtà non lo erano affatto. Ad esempio molti corsisti partono dalla volontà di pubblicare subito con una grossa editrice, ignorando quanto sia difficile per un esordiente accedere ai grandi gruppi editoriali, ma ignorando in particolar modo quanto possa essere rischioso partire subito con un’editrice che pubblica decine di titoli all’anno, e quanto invece sia preferibile partire da una sana gavetta che proceda dalle piccole editrici, radicate nel territorio e in grado di fare un effettivo scouting, per poi arrivare eventualmente a realtà più strutturate. Altri corsisti non hanno quasi idea dell’importanza dell’editing su un testo, o della rilevanza della figura dell’agente letterario. E poi alcuni (ma almeno per la mia esperienza sono la minoranza) antepongono il desiderio della pubblicazione al piacere stesso della scrittura. Ecco, credo che uno degli obiettivi più alti e al tempo stesso più semplici di una scuola di scrittura sia permettere ai corsisti di chiarirsi le idee: scrivo perché voglio pubblicare o scrivo perché mi piace scrivere? Ovviamente nel primo caso la faccenda si complica non poco…

Quale peso ha, nell’attività didattica, il momento della lettura? Quali opere si leggono?

Insegno letteratura italiana nelle scuole superiori, e quindi ritengo che la lettura di testi sia “il” momento centrale nella didattica. Capire come funziona il discorso indiretto libero o come si connota un personaggio partendo dalla teoria è infinitamente più complesso rispetto all’analisi di un brano letterario che contenga gli elementi che stiamo studiando. Di più: fare della lettura il momento principe ci permette di assorbire stili, linguaggi, meccanismi. Una cosa su cui mi piace insistere è la sostanziale inevitabilità dell’imitazione nella scrittura, la necessità della presa d’atto che l’originalità è una categoria dell’arte pressoché illusoria, almeno in termini assoluti. E quindi iniziamo a scrivere copiando gli scrittori che ci piacciono di più. Per questa ragione propongo esclusivamente opere della letteratura italiana, perché, come dirò più avanti, le opere in traduzione possono aiutarci a capire il “cosa” dell’oggetto letterario, ma comportano necessariamente la perdita del “come”, della scelta delle parole, dei registri… E il “come” a mio avviso corrisponde al 51% della costruzione narrativa.

Le parole-chiave della critica e i metodi della teoria letteraria vengono percepiti da chi insegna come strumenti di mediazione e di accesso al testo o come astrazioni non pertinenti a questa forma di insegnamento-apprendimento?

La scuola di scrittura è sostanzialmente un laboratorio nel quale si scompongono testi e se ne compongono altri. Questo però non deve, a mio avviso, portarci a ignorare le categorie della critica e gli strumenti fondamentali dell’analisi, altrimenti il rischio è di fornire ai corsisti degli itinerari passivi, cioè delle buone pratiche artigianali che tenderanno a reiterare nel tempo, faticando di più a intraprendere nuovi percorsi. Se invece saremo in grado di condividere (sempre alla luce di testi dati) una cassetta degli attrezzi della teoria letteraria, allora avremo offerto ai corsisti degli strumenti che permetteranno loro di riconoscere in altri testi elementi e strutture in grado di interessarli.

La nuova, diffusa confidenza con la scrittura acquisita sui social ha contribuito a “desacralizzare” una pratica tradizionalmente riservata a fasce più ristrette.  Quanto la “graforrea” (Antonelli) dei media alimenta l’espansione recente delle scuole di scrittura? Fra i bisogni intercettati, quanto è dovuto alla “cultura del narcisismo”? 

Credo che la decisione di frequentare una scuola di scrittura proceda, il più delle volte, da qualcosa in più rispetto alla semplice gratificazione della comunicazione da social. Anzi, in qualche modo credo che mettersi in gioco in un gruppo che abbia l’obiettivo di fare altro con le parole, e non solo post o tweet, sia l’indizio di una sete che i social non riescono ad appagare. Sono altrettanto convinto, prima di tutto grazie alla mia esperienza di insegnamento nella scuola, che il nostro compito sia quello di offrire occasioni di scrittura e di ragionamento sulla scrittura e sul testo. La scrittura, come la lettura, è in fin dei conti un atto circolare, da noi al testo e dal testo a noi: in questo moto continuo noi cambiamo, maturiamo nel testo, e quindi anche un narcisismo superficiale può approdare, se sostanziato da giusti incontri, a qualcosa di più profondo e solido.

Chi scrive oggi spesso si attiene al livello standard dell’“italiano digitato”.  In una scuola di scrittura quanto si lavora sulla lingua e sullo stile? Nei corsi che tiene lavora sui testi dei suoi studenti e come? Come cambia la cognizione di chi frequenta i corsi rispetto al fatto che la scrittura “non può insomma avere nulla di ingenuo o spontaneo ma deve essere il frutto di una consapevole ricerca stilistica” (Luigi Matt)?

Questo è forse l’aspetto a me più caro dell’intera proposta che cerco di offrire in un corso di scrittura: il “come” è più importante del “cosa”. Il lavoro sul linguaggio, sullo stile, ma anche su aspetti ancora più apparentemente marginali (paragrafo, catena dei connettivi, punteggiatura…) è il vero nodo della maturazione da scriventi a scrittori. Intanto procedendo da questi aspetti si riesce da subito ad ancorare la didattica ad elementi concreti, sperimentabili, osservabili anche da parte di chi non abbia una formazione letteraria solida. In secondo luogo si obbliga il corsista a prendere atto che ognuno di noi è un soggetto linguistico, e che l’oggetto letterario si fonda sulle parole, quindi la scelta di queste parole è, a conti fatti, la vera discriminante tra una storia ben scritta e un “non testo”. Se si centra sulle parole e sullo stile lo sforzo dell’invenzione narrativa, si obbliga il corsista a uno sforzo di decentramento da sé, lo si porta a costruire le storie a partire dalle parole e dallo stile. Questo farà del potenziamento linguistico (attraverso la lettura dei nostri modelli in primis) il primo passo della creazione letteraria, sottraendoci alla fatica frustrante di cercare storie complesse e d’impatto da raccontare in banale “italiano digitato”. Se possiedo uno stile, anche una storia banale sarà bella da leggere e, soprattutto, divertente da scrivere.

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