Il vecchio capitano. Fatti, immagini e figure: Storia e storie di alfabeti fantastici
Pubblichiamo, parzialmente rielaborato, l’intervento, del nostro redattore Alberto Bertino al XXIII Congresso ADI (Pisa, 12-14 settembre 2019; panel ADI SD «Letteratura e nuove tecnologie: intrecci di linguaggi e narrazioni nella scuola»).
L’invito al viaggio
Il 13 novembre 2015 Parigi fu colpita da una serie di attentati organizzati dallo quello che si proclama “stato islamico”, meglio noto come ISIS, suscitando preoccupate e contraddittorie reazioni emotive nel mondo. Il fatto più sanguinoso avvenne in un teatro, il Bataclan, in cui si stava svolgendo il concerto del gruppo rock statunitense Eagles of Death Metal. Si contarono 90 morti tra gli spettatori del concerto. Tra di essi era un’italiana, Valeria Solesin, dottoranda alla Sorbona. Aveva 28 anni.
Naturalmente un fatto tanto grave ha avuto una vasta eco anche nelle aule scolastiche. Una seconda liceo linguistico in cui insegnavo pare che non avesse corrisposto al cordoglio generale o che qualcuno degli alunni non fosse adeguatamente informato. Fatto sta che i ragazzi di quella classe mi chiesero di intraprendere un lavoro che potesse inequivocabilmente dimostrare «a tutti», come loro si espressero, quanto i fatti di Parigi e la strage del Bataclan li avesse, invece, profondamente colpiti.
Il punto di partenza del nostro lavoro è stato cercare di capire l’accaduto usando l’emozione come elemento chiarificatore della realtà e non come schermo deformante che offrisse comode semplificazioni. Compito necessario e arduo che si pone ad ogni individuo consapevole e che deve essere assunto da un insegnante che prova ad individuare nel fatto improvviso e traumatico una linea di senso del reale: il dramma della storia nel suo farsi depositato nel racconto della storia che si è vissuta. Ho cercato di indurre fin dalle prime battute di questo percorso, di cui non intravedevo chiaramente i confini, la possibilità di sfrondare il processo dialettico dagli schematismi immobilizzanti del determinismo. La sintesi che doveva risultare sarebbe stata costruita attraverso l’accettazione della possibilità di un gran numero di variabili dettate dalla diversità degli individui e delle società e delle culture. Il relativismo culturale non è negazione della dimensione etica. E giudicare i fatti esclusivamente dal punto di vista di una morale oscura la possibilità di comprenderne la genesi e il senso. Chi è convinto di combattere per la divinità e di compiere azioni che lo condurranno in paradiso è certo di agire eticamente. Comprendere questo atteggiamento non significa affatto giustificarlo. Significa, invece, mettere in atto strumenti culturali capaci di opporre una difesa rispetto a fanatiche certezze. Ho a lungo discusso con i ragazzi, e infine abbiamo condiviso il convincimento che il pluralismo è l’unica via d’uscita che consenta all’umanità di salvaguardare alcuni essenziali valori comuni pur nella diversità delle culture e delle società. Compito che il multiculturalismo non può né vuole garantire (G. Sartori, 2002). Si tratta di una consapevolezza che nel tempo si è sedimentata nelle coscienze. A distanza di cinque anni sono certo, senza l’uso di alcuna griglia, che si tratta di un’acquisizione comune a tutti i componenti di quella classe, oggi giovani che si muovono nel mondo tra università e lavoro, in Italia e all’estero.
L’emozione suscitata dalle stragi era acuita dalla presenza tra le vittime di Valeria Solesin, di cui man mano che passavano i giorni si ricostruiva la biografia tra aspirazioni e impegno. Inoltre il comportamento dei genitori, Luciana Milani e Alberto Solesin, e le loro parole così inusuali e dignitose, piene di umanità addolorata, violata ma non annientata, aveva colpito i ragazzi. L’Espresso il 17 dicembre 2015 dedicò la copertina e un lungo articolo a Valeria come «persona dell’anno», «volto di una generazione». I ragazzi considerarono indispensabile parlare di Valeria e assumerla non solo come il volto di una generazione, non solo come rappresentante emblematica di ogni vittima di una violenza improvvisa e inconcepibile, ma anche come emblema dell’essere umano nella sua dimensione individuale, familiare, sociale, nella sua esigenza di raffinamento culturale. Il racconto della morte di Valeria doveva essere il racconto di tante esistenze, di tante aspirazioni, nella violenza del nostro tempo in cui sembra impossibile possa albergare la solidarietà, l’amore, il divertimento, l’impegno, la spensieratezza, la giovinezza – infine – , che valga in sé e non in prospettiva di qualcosa di utile.
La vita anteriore
Entrati in contatto con Valeria, i ragazzi hanno cominciato a raccontarne la storia e ad immaginarla protagonista della loro narrazione che sarebbe diventata un video. Sollecitati dal progetto hanno cominciato singolarmente e a gruppi a scrivere la loro narrazione e discuterla con gli altri e poi a scriverla di nuovo facendo tesoro delle osservazioni e dei suggerimenti. Forse perché «Le emozioni […] hanno strutture narrative» (M. C. Nussbaum, 2004), studenti di seconda liceo hanno cominciato a produrre una grande quantità di scritti, usando la scrittura non come esercizio scolastico, non come ripetizione o riproduzione di un modello stereotipato sostanzialmente estraneo, ma come sistema di comunicazione complesso inserito in un ambiente reale in cui si svolgono esperienze concrete: la classe è diventata il luogo della discussione e del confronto anche critico, comunità ermeneutica aperta alla discussione e all’argomentazione rispetto all’interpretazione dei fatti. Questo stare insieme a discutere per un progetto comune ha reso consapevoli quegli adolescenti della dimensione e del valore individuale, ha consentito ad ognuno di proporre e discutere idee. Inoltre, ognuno di loro ha dovuto inserire la biografia (la propria e di Valeria) nella storia e fare i conti con le vicende internazionali più intricate e difficili: il ruolo degli USA e della Russia nella politica internazionale, la guerra in Afganistan, Al Queda, l’ISIS, le torre gemelle, la guerra in Siria, e l’Iraq, il Medio Oriente…
Raccolta tutta la documentazione, si è posto il problema della struttura narrativa da adottare. Tutto il sistema narratologico è stato utilizzato per immaginare nelle sue sequenze il video. Dopo varie dispute sul punto di vista, alla fine si è deciso di usare come voce narrante Valeria, che scopre la sua identità nello spannung, poco prima del finale. In questa fase si è cominciato a stilare la sceneggiatura del video con costanti interventi correttori, a integrazione e a cancellazione, da parte di ognuno degli studenti. Insisto su questo aspetto perché troppo spesso l’attività digitale appare scollata da quelle che un tempo si chiamavano abilità fondamentali e in particolare l’attività che qui si sta descrivendo ha avuto tempi scanditi da lettura e scrittura, dall’ascolto e dall’esposizione orale… Sono stati i contenuti a modificare l’approccio a procedure canoniche nella scuola. E sono stati proprio i nuovi contenuti a permettere la costruzione di competenze. Ogni sequenza del video ha una sua particolare microstoria da cui nasce e da cui prende forma. Il video è la forma di un contenuto complesso, è volutamente un’altra forma di un contenuto che si intende mettere in comune, secondo i sistemi di comunicazione più congeniali alle nuove generazioni. Costruito come articolato messaggio visivo multimediale, il video non ha mai voluto essere una ‘illustrazione’ dei fatti. Per quanto sia stata accurata la documentazione, la struttura ha voluto mantenere un dimensione metaforica sulla scorta di immagini, parole, musica e poesia.
Il vecchio capitano
Il rumore della città in cui si compie il destino di morte è stato realizzato attraverso Baudelaire: il suo sguardo sulle cose e le sue parole hanno fornito ai ragazzi la possibilità di dire in modo definitivo e allusivo quello che altrimenti non avrebbero saputo dire. La lettura dei Fiori del male, dopo un inquadramento generale delle caratteristiche dell’opera, dei temi e dell’autore, è proceduta secondo la curiosità individuale dei ragazzi, ed anche attraverso la capacità di fascinazione di alcuni temi, che erroneamente si considerano del tutto estranei ai nostri alunni. Certamente non tutti hanno letto l’intera opera, ma tutti hanno ragionato sulla raccolta e studiato alcuni testi (La vita anteriore, L’invito al viaggio, La Musica, L’amore del nulla, Il viaggio) che poi sono stati usati come citazioni all’interno del discorso visivo. Le immagini e le parole, nella stesura definitiva della sceneggiatura, hanno trovato così una collocazione significativa, che faccia risaltare il rincorrersi di alcuni temi (la città: Venezia, Parigi; il mare; la musica; la guerra) prevedendo che lo spettatore si ponesse in una prospettiva di interpretazione di ciò che vede e che ascolta. Le forme dovrebbero, nell’intenzione del gruppo che ha costruito il video, indurre un atteggiamento iconologico, e i suoni dovrebbero rafforzarne la necessità. Si è voluto innestare la realtà (registrazione sonora del momento dell’attentato durante il concerto, foto di Valeria, foto dei soccorsi, suono delle sirene delle autoambulanze, elenco dei morti) all’interno di una struttura che ne estendesse il senso: la metaforizzazione è stata voluta come ampliamento di significati e di referenti che consentisse il coinvolgimento di ognuno. Il titolo del nostro video è ovvio, dunque, che sia una citazione di Le voyage. Come è ovvio che il «viaggio» e «il vecchio capitano» ci riguardino tutti.
L’ultima frase del video, affidata per l’unica volta ad una voce maschile – «So cos’è questo dolore» – è stata pronunciata nella storia che sta fuori e intorno alla storia raccontata da Dario Solesin, fratello di Valeria, a proposito della morte di Giulio Regeni. A significare come la violenza mieta in continuazione le sue vittime. A dimostrare che non è vero che i giovani non si occupano di quanto accade nel mondo. Sedicenni hanno voluto offrire un piccolo omaggio, oltre che a Valeria, anche a Giulio. Morti a 28 anni seguendo le loro passioni. Ma anche a un bambino di tre anni, rifiutato e morto annegato. Si chiamava Aylan Kurdi. E a suo fratello di cinque anni… e a tutti i disperati a cui non viene riconosciuto il diritto alla fuga.
In Fine
Dal punto di vista dell’insegnante, che svolge un’attività didattica, il percorso ha molto più significato rispetto al prodotto, ma dal punto di vista degli studenti il processo assume significato in funzione dell’esito del prodotto, giudicato da loro come «bello» solo quando è riconoscibile una sua dotazione di senso, e la sua capacità di comunicare significati in relazione con altri significati. Il fatto che gli studenti si trasformino da fruitori passivi di un prodotto multimediale, letteralmente spettatori, ad agenti attivi, facitori, è una grande opportunità di formazione offerta dall’educazione multimediale. È questo un momento in cui risulta evidente la centralità dello studente che compie delle scelte e acquisisce competenze trasversali – di natura metacognitiva (imparare ad apprendere), relazionale (sapere lavorare in gruppo) e attitudinale (autonomia e creatività) – attraverso specifiche competenze disciplinari che hanno a che fare con un consapevole e stratificato uso della lingua e con le capacità di «ri-uso» del testo letterario, letto, commentato e interpretato. L’incontro con Baudelaire è stato vissuto da quei ragazzi come una possibilità di arricchimento del reale e per questo è stato voluto nel video. Quello che ogni insegnante di letteratura vorrebbe acquisissero i suoi studenti alla fine del quinquennio è stato assorbito come ovvio da ragazzi di secondo liceo.
Ulteriore elemento di riflessione merita il fatto che attività di questo genere rompono la ciclicità del lavoro scolastico. Sia per quanto riguarda l’insegnante (lo svolgimento del programma), sia per quanto riguarda l’alunno (seguire la spiegazione e ripetere la lezione). È diversa la richiesta che viene rivolta alla classe dall’insegnante. In un simile lavoro non ha alcun senso ripetere la lezione o imparare a memoria ciò che si deve, per l’appunto, ripetere. L’individuazione del percorso che deve condurre alla realizzazione del prodotto spezza la ciclicità a vantaggio della linearità che ha un fine. Per una generazione che sembra aver perso la capacità di puntare l’orizzonte e in cui il futuro sembra perduto, programmare un cammino del genere, credo sia assolutamente significativo.
Infine, questo lavoro dimostra la possibilità di individuare un terreno di intersezione di letteratura, educazione linguistica, media education che tenga conto delle trasformazioni che la tecnologia ha apportato nella nostra vita.
Aspettarsi che il bambino “sempre acceso” dell’era elettronica risponda ai vecchi modelli educativi è un po’ come aspettarsi che un’aquila nuoti. Semplicemente, ciò non fa parte del suo ambiente ed appare, perciò, incomprensibile.
Dunque
Se l’uomo occidentale alfabetizzato fosse davvero interessato a preservare gli aspetti più creativi della propria civiltà, non si rinchiuderebbe nella sua torre d’avorio a lamentarsi del cambiamento, ma si tufferebbe nel vortice della tecnologia elettronica e, comprendendolo, dominerebbe il suo nuovo ambiente—trasformando la torre d’avorio in una torre di controllo.
Sembrano parole scritte oggi. Invece le ha pronunciate McLuhan in un’intervista pubblicata nel marzo 1969 su Playboy.
Forse gli insegnanti dovranno imparare a non scandalizzarsi troppo.
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