Le sardine: due lettere da Messina e Grosseto
Dopo i nostri due interventi sull’iniziativa delle sardine (uno di Alberto Bertino, l’altro del nostro direttore Romano Luperini nella forma dello scambio di lettere con la nostra collaboratrice Luisa Mirone), sono arrivate in redazione altre due lettere, di Beppe Corlito e di Fabio Rossi. Le pubblichiamo volentieri.
***
Caro Romano,
sono pienamente d’accordo con la tua lettera sull’Arcipelago delle Sardine a testimonianza delle nostre esperienze comuni e della formazione politica e culturale condivisa. Allora perché ti scrivo una lettera “pubblica”? Mi pare un rafforzativo del dibattito, utile nel blog. Tra l’altro anche i quattro promotori delle Sardine hanno scelto lo stesso strumento per fare il punto del movimento su “La Repubblica” di venerdì 20 dicembre. Non credo sia un caso perché una lettera pubblica contiene insieme due versanti, quello privato, a cui siamo stati costretti per troppo tempo, e quello pubblico, a cui volentieri ritorniamo. Ti scrivo sul blog perché fin dall’inaspettato successo della piazza di Bologna ho simpatizzato per le Sardine, che hanno aperto una speranza nel buio dei tempi in cui siamo costretti a vivere.
Innanzitutto l’allegria: è la stessa reazione che ho avuto nella piazza di Grosseto del 15 dicembre, mi sentivo euforico: tremila persone in piazza non si vedevano qui da moltissimo tempo, se si esclude il primo sciopero mondiale per il clima dello scorso anno. Avrei voluto abbracciare tutti. In effetti ho abbracciato molte/i compagne/i, giovani e meno giovani che non vedevo da tempo. Nel precedente “ritorno a casa” hanno giocato sicuramente le divisioni tra le sinistre, che poi si sono ribaltate anche nel rilevante astensionismo degli elettori di sinistra.
La metafora ironica della sardina con il riverberarsi dei significati in un continuum inventivo (i piccoli pesci, la loro capacità di fare banco, l’agilità nel nuotare in mare aperto ecc.) ha attivato un prolifico immaginario collettivo, che è una delle cause dell’onda coinvolgente una città dietro l’altra di questo movimento di massa. Perché come tu dici siamo di fronte ad un movimento con “caratteristiche di assoluta spontaneità”. Occorre dire con chiarezza che si tratta di un movimento di massa con dinamiche tipiche, ma altre del tutto nuove. Come tutti i movimenti dilaga inaspettatamente seguendo un tam tam, un’accelerazione improvvisa e inaspettata della circolazione delle idee e delle forme di aggregazione. Una novità assoluta è quella che i quattro di Bologna hanno definito come lo stabilire un legame stretto tra il virtuale e il reale, che è all’altezza dei tempi e che ha tagliato l’erba sotto i piedi al feroce staff della comunicazione dell’ex ministro di polizia, per molti mesi pagato dai contribuenti, che ne ha fatto la fortuna (oggi in declino per merito proprio delle Sardine). Il punto è che comunicare sui social non basta, essi devono servire a far sperimentare ancora la vicinanza dei corpi, il potere dirompente dell’essere massa, dello stare insieme. È quanto sperimentammo la prima volta nella discesa in piazza del “popolo di Seattle” il 30.11.1999 all’esordio del movimento di massa no-global, convocato via Internet.
Come tutti i movimenti di massa è come tu scrivi “pre-politico” nel senso che non nasce come Minerva armata di tutto punto dalla testa di Giove, non può avere un discorso politico organico. Nessun movimento esprime una coscienza compiuta, ma in particolare negli ultimi 70 anni (fu così anche per noi nel 68) costituisce la base per una nuova fase politica che le istituzioni non sono in grado di “comprendere” in senso letterale e a cui i partiti esistenti non sono in grado di dare uno sbocco positivo. Così questo movimento come tutti gli altri che lo hanno preceduto deve industriarsi a costruire una rappresentanza e una direzione politica, che non sono già date. Però la semplice filosofia delle Sardine, apertamente dichiarata, democratica, antifascista e antirazzista, che si contrappone in modo salutare alla linea autoritaria dell’ex-ministro di polizia, costituisce il possibile terreno di coltura dove può nascere una nuova Politica. È un discorso simile alla “riforma della Politica”, invocata dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, con cui le Sardine condividono i valori di base. Senza alcuna pretesa di “metterci il cappello”, i vecchi partigiani e la loro Associazione sono stati convocati dalle Sardine in molte in piazza come per il passaggio del testimone dentro un patto tra le generazioni. La canzone è la stessa: la partigiana “Bella ciao”, che ormai viene assunta in più lingue da tutti coloro che a vario modo “resistono” nell’intero pianeta, dai combattenti curdi ai ragazzi di Fridays for Future, alle Sardine. Credo sia indicativo di un destino del “caso italiano”, quello di incubare il rischio autoritario più severo e quindi la necessità di resistere ad ogni costo.
Non mi ha meravigliato il rifiuto di ogni bandiera, anche la gloriosa e da noi tanto amata bandiera rossa. Anzi credo che la ripulsa di ogni bandiera in particolare quelle della sinistra “inutile”, che parassita posizioni del passato, sia una delle ragioni del successo delle Sardine, ne segnala plasticamente a livello di massa la necessità dell’unità e non delle divisioni. Secondo me le bandiere rosse dovrebbero tornare a rappresentare il valore iniziale, fondativo, quello delle giornate parigine del giugno 1848, quando il movimento operaio riconosce per la prima volta se stesso e le strappa alla polizia, che segnalava con essa i quartieri in lotta. La bandiera rossa, dunque, come segnale della lotta dei lavoratori contro il potere del capitale, solo così potrebbe riacquistare un senso.
Ora la svolta impressa dal movimento di massa delle Sardine alla situazione politica nazionale che sembrava irrimediabilmente chiusa, riapre i giochi in primo luogo con la speranza concreta di non dover consegnare alla destra autoritaria l’Emilia Romagna. Nella lettera aperta dei quattro fondatori dell’Arcipelago delle Sardine uscita su “La Repubblica” vengono lanciati i coordinamenti per discutere sui programmi futuri, che per fortuna non dovrebbero servire solo a delineare meglio gli obbiettivi del movimento, ma soprattutto a scendere nuovamente in piazza. L’auspicio è non dividersi sugli obbiettivi, ma avviare un circuito virtuoso che agli obbiettivi corretti dà le gambe dell’azione di massa.
Sarebbe bene che tutte le Sardine uscissero dai loro anfratti e tornassero a nuotare in mare aperto.
Beppe Corlito
Natale 2019
***
Messina, 18/12/2019
Cara Luisa,
qui a Messina tra tre giorni avremo la nostra “sardinata”, cui parteciperò.
Spererei davvero che si possano raggiungere i numeri catanesi. Certo, un po’ di timore d’esser quattro gatti ce l’ho, perché Messina è Messina, si sa, e per smuoverla ci vuole parecchio. Però in effetti, come giustamente osservate tu e Luperini, stavolta anche a me sembra di intravedere qualcosa di diverso, proprio perché pare essersi risvegliata (o almeno essere sul punto di farlo), in molti di noi, la voglia di stare insieme per dire no all’inciviltà, per provare a parlare una lingua nuova, meno aggressiva, meno vuota, meno falsa.
Certo, a qualcuno (a esser sinceri anche a me) piacerebbe che tutto questo si traducesse presto in una chiara azione politica, però mi rendo conto di quanto sia prematuro, a pensarci meglio. Bisogna prima tornare al grado zero della comunicazione civile e poi, pian piano, mattoncino dopo mattoncino, provare a ricostruire tutto quello che negli ultimi venticinque anni è stato demolito. Ho cinquantadue anni e, se provo a tornare indietro con la memoria, mi pare che l’ultima volta che ricordi una simile voglia di cambiamento risalga ai tempi della caduta del Muro e ai vari movimenti (anche studenteschi) che ne derivarono (“La pantera”, ricordi?). Stiamo dunque parlando degli anni 1989-1991. Di lì a poco ci sarebbe stata la famigerata discesa in campo e poi una progressiva discesa verso il disinteresse nei confronti, non soltanto della politica, bensì dei valori di civiltà, anche verbale. Poi, sempre ricordando a braccio e senza tante riflessioni, il pessimismo post 11 settembre 2001 pare aver fatto il resto: da quel punto in poi, neppure la fiducia nei confronti del “nuovo” uomo forte e ricco è stata in grado di motivarci.
Da quel momento in poi il precipizio, anche linguistico (scusa la deformazione professionale, ma mi pare che mai come in questo caso la lingua sia rivelatrice di svolte sociali, e non c’è bisogno di Gramsci per capirlo), è stato rapidissimo. Chi più insultava, chi più mostrava i muscoli, più era gradito, che fosse Sgarbi, Bossi, Grillo o Salvini poco importava. È come se non ci fossimo resi conto che, a forza di demolire tutto quel che c’era stato prima, stavamo demolendo anche i più elementari valori dell’educazione, della convivenza civile, della democrazia.
Ora, non so se sia troppo tardi per provare a recuperare quei valori e a risalire. Spererei di no: in fondo son passati soltanto, appunto, meno di trent’anni dall’inizio della catabasi (certo, mi si dirà: ma i germi c’erano ben da prima, almeno dal riflusso anni Ottanta). Non so se sia tardi o no, però il fatto che un gruppo di persone più giovani di me senta l’esigenza di provare a cambiare e riesca a trainare anche me, anche noi, mi pare un segnale molto confortante. I più giovani, quelli come i nostri figli, è vero, si accendono solo per il clima e per l’ambiente: è una protesta, pur importantissima, meno strutturata sui rischi della democrazia, è vero, però mi pare anche quello un segnale di cambiamento positivo. Speriamo che, tra non molto, si passi dal generale esser contro al proporre concrete soluzioni a favore. Nel frattempo, non posso che augurarmi la folla più vasta possibile per la sardinata del 21 pomeriggio innanzi al municipio di Messina.
Un saluto affettuoso
Fabio Rossi
PS (29/12/2019): Son passati 11 giorni da quell’ultima mia lettera, cara Luisa, e la sardinata messinese del 21 dicembre c’è stata, ci sono andato, ed è stato molto bello cantare Bella ciao insieme a un numero di persone, sicuramente non oceanico, ma enorme, per Messina, ben oltre le mie più rosee aspettative: abbiamo riempito la piazza del Municipio, non certo piccolissima. Insomma, anche noi messinesi (ché, pur romano, ormai mi sento quasi in toto messinese anch’io) ci siamo fatti onore. Ma la tendenza anagrafica è quasi la medesima che avevi notato tu: noi vecchietti, altri più vecchi di noi, un po’ di ragazzi liceali, miei allievi universitari pochissimi. Insomma: mancano le persone dai 18 al 30, più o meno, porca miseria! Manca, cioè, una fetta importantissima della società. Speriamo sia un caso, speriamo che altrove siano più numerosi, questi giovani adulti, speriamo che si risveglino anche a Messina!
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