Letteratura per ragazzi/1. Intervista ad Angela Nanetti
a cura di M. Marsilio
1. Quando ha iniziato a scrivere narrativa destinata ai ragazzi e quale è stata la molla che l’ha spinta a scegliere proprio i giovani come destinatari privilegiati dei suoi testi?
Ho iniziato pubblicando nel 1984 “Le memorie di Adalberto”, che ha come protagonista un preadolescente: il libro attualmente è edito da Giunti. L’obiettivo era quello di indurre a leggere il non-lettore, quindi una storia fresca e ironica, con un io narrante dodicenne alle prese coi problemi della crescita del corpo e delle relazioni familiari. Successivamente, nella collana “Ex libris” di El sono usciti “Cambio di stagione” e “Guardare l’ombra”, dove i protagonisti sono dei sedicenni, un ragazzo e una ragazza, e il tema è l’amore. Perché ho iniziato rivolgendomi ai ragazzi, e quindi ai bambini? Per il desiderio di stare dentro quelle età, di viverne i pensieri e le emozioni, di dare loro voce.
2. Quali sono i temi più ricorrenti nella sua narrativa e a quale bisogno comunicativo rispondono?
Credo di avere pubblicato una trentina di libri rivolti all’infanzia e alla adolescenza e ho sperimenta to registri narrativi e contenuti diversi. All’inizio hanno prevalso le tematiche legate alla crescita e alle relazioni con gli adulti e coi coetanei, successivamente, a partire da “Mio nonno era un ciliegio” e senza escluderle, i temi si sono fatti più complessi e differenziati e altrettanto le modalità comunicative. Tutto questo rispondeva a un mio bisogno di esplorare altri percorsi e di rivolgermi a un lettore trasversale, offrendo della storia livelli di lettura diversi. L’uso della metafora (vedi “Mio nonno era un ciliegio”, “L’uomo che coltivava le comete”, “Un giorno un nome incominciò un viaggio”) , di strutture narrative più mosse, alternando dialogo, io narrate e terza persona (vedi “Era calendimaggio”, “Due stagioni”, “Morte a Garibaldi”), insieme alla mescolanza di registri e tecniche narrative hanno permesso questo risultato, mentre il lavoro sul linguaggio e sulle psicologie ha favorito il meccanismo di identificazione tra me e i personaggi e tra me e il lettore . Tra i temi frequenti quelli legati alla crescita e alle relazioni interpersonali, ma anche quello della identità e della accettazione dell’altro.
3. Ritiene che sia cambiato il modo in cui la sua generazione ha vissuto l’adolescenza e quello in cui la affrontano i giovani di oggi?
Credo sia cambiato moltissimo. Gli strumenti comunicativi che avevo a disposizione erano fondati essenzialmente sulle relazioni personali, scritte e orali. Molte conversazioni, lettere e cartoline per superare le distanze, il telefono e alle volte il telegrafo riservati alle necessità e alle urgenze. Quanto alle relazioni tra i due sessi, il controllo sociale e familiare creava difficoltà e ostacoli e stimolava strategie per il suo superamento che oggi sono impensabili. Di qui molto spazio alla immaginazione e la necessità spesso di differire i desideri o di trasferirli su altri oggetti; infine molte letture, poca tv e il cinema, che era lo strumento principe per sognare.
4. Quali sono state le letture che l’hanno “formata” e quali sono, oggi, i modelli letterari cui si rifà?
Leggevo molto e in modo disordinato, da bambina i classici per l’infanzia di “La scala d’oro” e dopo la letteratura americana del Novecento e quella russa dell’Ottocento, poi gli inglesi Maugham, Lawrence, Stevenson, Cronin…Quindi Remarque, Thomas Mann…Tra gli italiani ricordo che a quindici anni mi impressionò “Cristo si è fermato ad Eboli”: Pavese, Vittorini, Fenoglio li ho scoperti dopo, perché nella biblioteca comunale dove attingevo non c’erano. Almeno così mi pare. Oppure, siccome si era molto orientati verso l’America (Usa), musica e cinema, sceglievo autori soprattutto anglosassoni. Modelli letterari non mi pare di averne, mi sforzo invece di costruire una mia “identità” letteraria, ma certamente Italo Calvino è stato all’inizio un modello di lingua e di stile, per la limpidezza e la precisione della lingua, per l’ironia e la leggerezza sulla pagina.
5. La disaffezione dei giovani nei confronti della lettura è sempre più diffusa: quali pensa possano essere sono le ragioni principali e come le agenzie educative potrebbero operare per remare controcorrente?
Non ne conosco le ragioni e non so se la domanda si riferisca a un campione circoscritto (ragazzi italiani) o più ampio. Per quanto riguarda il nostro Paese, se confrontato ad altri europei, credo che si possa dire che l’Italia non è stata mai un paese di forti lettori, specie adulti. E qui probabilmente hanno giocato ragioni di arretratezza culturale storiche. Diverso il discorso dei bambini, che ancora oggi sono i lettori migliori, mentre con gli adolescenti il rapporto con la lettura è stato sempre più difficile e oggi si è ancora più complicato:interessi nuovi, maggiore libertà personale, disponibilità di strumenti di socializzazione e di informazione molto diversi e potenti (internet e i cosiddetti social media), hanno creato nuovi interessi e introdotto nuovi linguaggi assai più facili e allettanti, soprattutto per dei nativi digitali come essi sono. Per remare controcorrente e in maniera efficace, da incompetente quale sono, mi viene in mente soltanto la lettura condivisa (adulto-bambino) fin dall’infanzia, non come dovere ma come interesse e piacere comune, protratta oltre le scuole dell’obbligo e non solo nei licei, ma anche e soprattutto negli istituti professionali e tecnici.
Naturalmente ciò presuppone un’idea di scuola diversa da quella di stampo anglosassone a cui si tende, sempre più “finalizzata” al mercato del lavoro, e insegnanti disponibili a mettersi in gioco con gli alunni e a condividere e a rispettare le loro scelte, sapendo anche proporne di proprie con passione ed entusiasmo, disposti ad accettare il rifiuto e /o lo scacco come parte della libertà di lettori che deve essere a tutti riconosciuta . Una scuola quindi che riservi alla lettura non lo spazio delle vacanze e dei compiti domestici, ma uno spazio scolastico calato nella quotidianità, anche ridotto ma consueto come una buona abitudine.
Insomma, una scuola lontana anni luce dalla attuale ma non impossibile, se la lettura, invece di essere considerata un accessorio o un arnese un po’ superato, fosse ritenuto uno strumento importante della formazione complessiva. Succedeva già negli anni novanta, allorché essa poté godere di un’attenzione e di una considerazione mai avute prima e la letteratura per ragazzi diede forse i suoi frutti editoriali migliori. Ma si rimase all’interno della scuola dell’obbligo, soprattutto di quella primaria, e non si andò oltre per il pregiudizio che la lettura, una volta appresa la tecnica, fosse da considerarsi un hobby personale o rientrasse quasi esclusivamente in una formazione di tipo umanistico.
Per questa ragione non ritengo proponibili per gli adolescenti letture assegnate, anche in forma di consiglio, né suggerimenti di letture irrinunciabili, perché non credo ne esistano di valide per tutti. Se la lettura cresce solo nella libertà dei gusti e delle scelte individuali, vedrei piuttosto al primo posto l’ascolto e il confronto e successivamente, all’interno di uno spettro, le proposte. Insomma, le strategie di un bravo bibliotecario o di un libraio che sa fare il suo mestiere, piuttosto che quelle di una insegnante, in particolare se è ormai ex e per giunta autrice!
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