
Una biblioteca per sopravvivere: Gli angeli dei libri di Daraya di Delphine Minoui
Ogniqualvolta il tempo me lo consente e ne ho l’occasione, entro in libreria e girovago: puntualmente mi capita di avere una serie di titoli in testa da curiosare e di dimenticarmene non appena mi ritrovo tra gli scaffali, attratta da altri volumi. L’incontro con il reportage di Delphine Minoui è avvenuto proprio così, in un pomeriggio in cui solo una mezz’ora mi divideva dall’inizio di un corso e per ingannare l’attesa mi sono intrufolata in una libreria frequentata per lo più da studenti, fuori dal cuore della città. Sbirciando dalla vetrina, con un po’ di sorpresa, ho visto che questo negozio specializzato in volumi universitari teneva anche un settore destinato alla narrativa e alla saggistica divulgativa e così sono entrata.
Gli angeli dei libri di Daraya ha catalizzato la mia attenzione essenzialmente per due ragioni; da una parte perché pone al centro della narrazione la vicenda di una biblioteca, luogo-magnete della mia esistenza – e dall’altra per l’immagine di copertina, che riporta parte di un disegno tratteggiato da un giovane siriano, Abou Malek al Chami, che ha trovato poi nel cuore del testo la sua esegesi. Il richiamo alla “dannata” attualità siriana – il desiderio di capirne qualcosa di più al di là dei notiziari televisivi – ha fatto il resto e in pochi minuti mi sono ritrovata alla cassa con il libro in mano:
Lungo la strada, sul ciglio di un sentiero devastato, a volte ai piedi di una facciata deturpata, compaiono petali di poesie, costellazioni di disegni, mazzi di parole…Con le sue lattine di vernice, Abu Malek al-Shami, l’artista di strada del gruppo della biblioteca, percorre la città per dipingere la speranza a colori. Su una facciata sventrata dallo spostamento d’aria, ha disegnato una bambina di quattro o cinque anni con un vestito blu e giallo. In bilico su una collina di teschi, la piccina scrive con la mano paffuta la parola “Hope”. Quell’affresco è una lezione di ottimismo. Un’impronta contestatrice sotto forma di marameo alla guerra. […] Ed è anche il desiderio di dire: “Siamo in piedi”. Nonostante i lividi, Daraya si ostina a celebrare la vita (pp. 96-97)
Ecco, quindi, qualche buon motivo per leggere questo libro che racconta di una città, Daraya, considerata dal regime di Assad un pericoloso crogiuolo di dissidenza e di resistenza e per questo messa in ginocchio in quattro anni (2012-2016) di assedio implacabile.
Dal punto di vista formale, è un tipico esempio di instant book incentrato su uno dei focolai di guerra più drammatici di questi anni. L’autrice, una giornalista francese che da anni segue le vicende mediorientali da vari osservatori, si trova da alcuni anni ad Istanbul da dove segue il fronte siriano. Nell’ottobre del 2015, a partire da una foto che la colpisce sulla pagina “Humans of Syria” di Facebook, decide di scrivere un reportage “a distanza” sulla biblioteca segreta della cittadella siriana di Daraya. Impossibilitata a raggiungerla essendo sotto assedio già da tre anni, Delphine Minoui cerca ostinatamente sui social l’autore della foto – Ahmad Mudjahed -, lo rintraccia e avvia con lui un dialogo che può avvenire solo grazie ai fragili e discontinui collegamenti di WhatsApp e di Skype. Ahmad racconta tenacemente, generosamente: il sobborgo di Damasco, insorto nel 2011 in nome della democrazia, è vittima di continui bombardamenti. Gli insorti vengono oppressi in un crescendo di atrocità che, nella logica di Bashar al Assad, dovrebbe spingerli a rispondere con la violenza alla violenza. E tuttavia la strada intrapresa dai giovani partigiani siriani non è solo quella della lotta armata:
“Ma bisognava tener duro. Non lasciarsi abbattere. Proseguire lungo il solco tracciato da Ustez”, contina Ahamad.
E così, negli ultimi giorni del 2013, l’idea di salvare i libri dalle macerie si è presentata come cosa ovvia. Dapprima esitante, Ahamad ha finito per lasciarsi convincere. Quale miglior sfida al rais di Damasco, che smentire il suo racconto rifiutando di cadere nella trappola della violenza? Bashar aveva deciso di seppellirli vivi. Di tumulare la città, i suoi ultimi abitanti. Le sue case. I suoi alberi. La sua uva. I suoi libri.
Dalle rovine, sarebbe germogliata una fortezza di carta.
La biblioteca segreta di Daraya. (pp. 44-45)
Il libro ripercorre così gli ultimi mesi di resistenza di Daraya tra giorni di silenzio che inquietano la stessa giornalista e fortunosi collegamenti. Con lo stile lineare, fluido, diretto, l’autrice alterna momenti narrativo-diaristici alle testimonianze dei giovani che si sono impegnati nella creazione della biblioteca e nella divulgazione del sapere:
“Gli intellettuali di Daraya sono perlopiù in carcere, morti o in esilio” – spiega Shadi. “Bisognava trovare un modo di dare loro il cambio per mantenere il livello culturale della città. Allora noi giovani abbiamo cominciato a impegnarci a turno per condividere le loro conoscenze con chi non ha tempo di leggere. Omar è diventato uno degli insegnanti più popolari: quando riesce a scantonare dalla linea del fronte, incontra i suoi allievi un paio di volte la settimana” (p. 75)
Di capitolo in capitolo e nonostante le brutalità a cui il regime di Assad costringe le vite degli assediati – privati via via di elettricità, acqua, viveri (compreso il latte in polvere), soggetti alle continue incursioni di bombe-barili – l’istant book di Delphine Minoui veicola, esattamente come nel disegno di copertina, “Hope”, speranza. Gli “angeli dei libri” che, nel cuore del conflitto, decidono di portare in salvo i volumi abbandonati nelle case distrutte dai bombardamenti per raccogliergli, riordinarli, renderli di nuovo disponibili in una biblioteca sotterranea ci dicono che la lettura è scampo, via di fuga, salvezza dalla guerra perché mantiene lucide le coscienze, permette di ritrovarsi per discutere e confrontarsi, per tenere viva l’umanità:
Una terra segreta in cui i libri circolano senza favoritismi né giubbotti antiproiettili. In quel luogo fuori tiro, sono riusciti a istituire un’intimità collettiva, ma anche uno spirito di etica e di disciplina. Deve essere senz’altro questo che li aiuta a resistere. L’idea del vivere insieme. E anche il senso di normalità che allontana le frontiere della violenza. (p. 47)
Il reportage della Minoui consegna al lettore un’esperienza di “impegno pacifico, di quel duraturo desiderio di vita e democrazia che [gli angeli dei libri] hanno difeso fino in fondo” (p. 171). In tal modo, ci dice qualcosa di più della guerra in Siria, oltre i dispositivi propagandistici e falsificanti della rappresentazione mediatica.
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