Storia della mia copertina /10 – La metà di bosco di Laura Pugno
Per raccontare la storia della copertina de “La metà di bosco”, il mio ultimo romanzo uscito pochi giorni fa per Marsilio, bisogna risalire indietro nel tempo, almeno fino ai due romanzi precedenti con lo stesso editore, tutti editi in un breve arco di anni: “La ragazza selvaggia” (2016) e la ristampa di “Sirene” (2017), il mio romanzo d’esordio, pubblicato per la prima volta nel 2007 nella collana Arcipelago di Einaudi e diventato nel frattempo introvabile. Le tre copertine, infatti, sono legate da un sottile filo, da una figura di giovane donna che sembra ritornare in varie forme, e risuonano di eco le une con le altre.
Ogni copertina, del resto, nasce da una conversazione, un incontro tra l’idea di libro che l’autore, l’autrice porta con sé, nei suoi aspetti coscienti e consapevoli e nei suoi aspetti impliciti e oscuri, e quella dell’editore. A volte è una semplice conferma, altre volte uno svelamento, un’epifania. Come la critica letteraria nel migliore dei casi, quando ti dice cose a cui non avevi neanche pensato, ma che, nel momento in cui le leggi, sai di aver saputo sempre, con il corpo se non con la mente, con qualche parte di te e ora, anche con la coscienza.
Per Marsilio, a cominciare da “La ragazza selvaggia”, il dialogo iconografico è stato tra me e Jacopo de Michelis, con l’aiuto di Giulio Mozzi. Una prima domanda che si è posta, all’ora di dare forma concreta al libro, è stata la scelta tra copertina rigida e copertina morbida. La collana di narrativa offriva entrambe le possibilità. Sono stata io a scegliere la copertina rigida. I miei romanzi fino a quel momento, – il già citato “Sirene” in prima edizione, e poi i successivi, “Quando verrai” e “Antartide” per Minimum Fax nel 2009 e 2011, “La caccia” per Ponte alle Grazie nel 2012 – avevano avuto sempre copertine morbide, e la novità mi tentava. In seguito, sia per la ristampa di “Sirene” che per “La metà di bosco” – e anche tenendo conto del restyling della grafica della collana di narrativa di Marsilio che è avvenuto più o meno l’anno scorso a giugno, in contemporanea con l’entrata de “La ragazza selvaggia” nella cinquina del Campiello – la copertina morbida ha ripreso il sopravvento, e in qualche modo, nel tenere in mano il libro, sembra dare una sensazione di maggiore intimità, di vicinanza con quello che è scritto. Qualcosa, un oggetto, che più facilmente prenderà le nostre tracce nel leggere, l’impronta di noi.
Sin dal giugno del 2015, un anno prima dell’uscita della “Ragazza”, avevamo così cominciato, con Jacopo e Giulio, a scriverci e a inviarci foto, perché di foto, tenuto conto dello stile delle copertine della collana, doveva trattarsi. La ricerca non si presentava, almeno per me, facile, dato che il tema, guardandomi un po’ in giro, sembrava prestarsi facilmente a scatenare i peggiori istinti iconografici.
La mia prima proposta era stata una foto ritenuta un falso, il “Syrian Gazelle Boy”. Una figura in bianco e nero, infantile, androgina, che presto è stata scartata. Era abbastanza evidente, anche solo per concordanza con il titolo, che dovesse trattarsi di una giovane donna, di una figura femminile. Altre ipotesi, come per esempio giochi di cortecce d’alberi, o scorci di paesi che potessero ricordare Stellaria, il borgo abbandonato e invaso dalla vegetazione, sono state anche loro presto abbandonate; tra queste, ricordo in modo particolare “Invierno en Andalucía”, un quadro del 1880 di Emilio Sánchez-Perrier che durante un viaggio in Spagna, il Paese dove da qualche anno vivo, avevo avuto occasione di ammirare a Málaga, nella sede del Museo Carmen Thyssen, e che mi aveva colpito, con le sue cortecce bianche che davano l’idea di un bosco non oscuro ma aperto alla luce, se non completamente luminoso. Il paesaggio del quadro poi non è stato scelto, ma qui serve a ricordare che il luogo dove siamo riverbera in qualche modo anche su ciò che di più immaginario c’è nella nostra immaginazione.
Una figura femminile, una giovane donna, quindi. Era lei, che come la ragazza nel bosco, dovevamo trovare.
Da qualche parte aleggiava sulla scelta, anche se solo per suggestione, dato che è fin troppo famosa, “L’incantatrice di serpenti” del Doganiere Henri Rousseau. Per un po’ alcune immagini di Anina Bird, e soprattutto di un’incantata fotografa polacca, Laura Makabresku, sono sembrate la soluzione, finché, nello scambio di mail, non si è imposta “The Coldness of Dreams” di un fotografo francese di Lione che è stato anche un insegnante di letteratura – e forse gliene è rimasto qualcosa dentro -, Olivier Ramonteu. Inserire qui La ragazza-selavaggia_Pugno_Copertina E così la bambina, adolescente vestita di rosso che dorme nel bosco è diventata la mia copertina. Ma questa ragazza non è la Bella addormentata, non è qui come un’estranea. Ê profondamente parte. Dorme nella sua casa, il corpo la casa il bosco indistinguibili. L’immagine dice il contrario dello stato di abbandono. Se c’è conoscenza, se frutti neri o dorati pendono dagli alberi intorno, li ha divorati, o assimilati, ed è passata oltre. Potrebbe svegliarsi e prendere una qualsiasi strada, anche quella di casa. La sua emozione non è la paura. È una foto che avvolge completamente un romanzo che affonda naturalmente nei registri del perturbante, dell’unheimlich, e ne porta alla luce la sospettata dolcezza.
Tra “La ragazza selvaggia” e “La metà di bosco”, esattamente in mezzo, a giugno del 2017, esce la ristampa di “Sirene”. Sono passati dieci anni dalla prima pubblicazione ed è un appuntamento importante, per me e per una comunità di lettori che in tutto questo tempo si è riunita intorno al libro. La copertina della prima edizione riportava, nel riquadro bianco, una foto di Joerg Steffens, un volto di donna in colore azzurro, tagliato a metà dai cerchi della superficie dell’acqua. Un’immagine onirica e classica. La nuova copertina, con un particolare di “Above” di Elif Sanem Karakoç, una giovane fotografa turca che vive a Los Angeles, in qualche modo, la richiama, ma allo stesso tempo è come se assumesse il portato di interpretazioni e letture che in questi anni si è concentrato e condensato intorno al libro. Il volto della giovane donna in immersione è coperto da lunghi capelli neri, il corpo è insieme vestito e scoperto, lei stessa è insieme oggetto e soggetto, crediamo sia umana ma non abbiamo la certezza che sia davvero così, se la guardassimo negli occhi potremmo scoprire che non lo è affatto. E guardando la foto con attenzione, intravediamo le sue labbra, da cui non sappiamo se possa scaturire una parola, o chissà, un nome. I capelli neri sono gli stessi della ragazza vestita di rosso che dormiva nel bosco, forse è lei a essersi gettata, o a essere stata gettata in acqua, e anche l’acqua è il suo luogo naturale.
E sul punto di gettarsi in acqua sembra anche l’adolescente, la bambina con la maglietta gialla e anche lei, lunghi capelli neri, in piedi sul bordo di una grande vasca – o è il mare? – nella foto “Bitter Skies”, ancora di Olivier Ramonteu, che diventerà la copertina de “La metà di bosco”. Mi imbatto in quest’immagine quando sto ancora cercando la copertina de “La ragazza selvaggia”, all’inizio di qualcosa, quindi, e addirittura la metto nella lista delle foto possibili, anche se è evidente, manifesto, che non ha nulla a che vedere con la storia di bosco che ho già scritto, sì con quella di insonnia, isole, e di intermittenze di vita e morte, che ho finito di scrivere e sto rileggendo. La metto da parte, e la tengo da parte per due anni, finché non arriva il momento di fare il nuovo romanzo, di trovare, di nuovo, la mia copertina. Non sappiamo cosa sia, il gesto misterioso che la bambina dai capelli neri compie, se si prepari in qualche modo a spogliarsi e a tuffarsi, o anche a tuffarsi vestita, se cerchi di far cessare un dolore nel corpo, uno sbocco di sangue dal naso o nella gola, o se ancora sia solo un gioco, il suo. Intorno a lei si stende una distesa d’acqua e sembra pronta ad accoglierla.
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