Narratori d’oggi. Intervista a Filippo Tuena
a cura di Morena Marsilio
Oggi inauguriamo un ciclo di interviste dal titolo “Narratori d’oggi” che coinvolge alcuni tra gli autori e le autrici più rappresentativi del panorama letterario contemporaneo. L’intervista sarà seguita, il giorno successivo, dalla pubblicazione di una recensione o di una scheda della rubrica “Perché leggere questo libro” dedicata a un romanzo del narratore in questione.
Intervista a Filippo Tuena
1. Sui generi letterari
Negli ultimi vent’anni la narrativa italiana sembra essere stata egemonizzata da due generi dallo statuto ibrido, la non fiction e l’autofiction. Il primo sembra porre al centro del racconto, seppur con diversi “effetti di narratività”, la ricostruzione di fatti di cronaca, l’attraversamento in chiave saggistico-riflessiva di temi legati all’attualità, il diario di viaggio, la rielaborazione di un’inchiesta; il secondo, invece, è la risultante dell’operazione in parte mistificante da parte di un “trickster” (Siti), ossia di un io-narrante che mescida liberamente fatti realmente accadutigli e fatti inventati.
Come si pone rispetto all’uno e all’altro genere? Li sente consoni al suo modo di rappresentazione del mondo?
FT – Ho iniziato a pubblicare narrativa nel 1991. In quegli anni la questione non fiction non era neppure accennata (o non ricordo che lo fosse). C’era sempre il modello di ‘A sangue freddo’ ma in qualche modo, ormai cristallizzato. Romano Bilenchi scriveva brevi racconti autobiografici, Parise faceva qualcosa del genere, Nuto Revelli lavorava sulla memoria storica. Questi erano gli scrittori italiani che amavo allora ma non avevo ancora affrontato la questione come autore. In quegli anni la mia era, essenzialmente, narrativa d’invenzione, ambientata in luoghi reali, che appartenevano al mio passato o al mio presente: gallerie antiquarie, case d’asta, biblioteche. Il protagonista di quelle storie, scritte in prima persona, si chiamava come me. Ovvero: ero io alle prese con vicende relativamente plausibili ma immaginarie. (A dire il vero in qualche caso intervenivano fantasmi o licantropi; dunque l’aspetto immaginario era molto presente ma dato come assolutamente normale). Mi ponevo tuttavia il problema del rapporto tra la realtà e la finzione che si sviluppa sulle pagine di un libro. Alla fine i due aspetti sono andati a coincidere in una narrativa che trae origine da dati reali. Col tempo mi sono dedicato a scrivere questa vicende, a cercare di dar voce a personaggi realmente vissuti. Ne è venuto fuori un ibrido, che si vivifica soprattutto nel rapporto tra narratore e materia del suo narrare e nell’impatto che avviene quando una storia trova il suo narratore. I frantumi che se ne ricavano sono l’argomento dei miei libri.
2. Sulla finzione
Non è tuttavia venuta meno la scrittura di romanzi e di racconti “tout court” in cui nel trattamento del tempo, nella costruzione dei personaggi e nel patto con il lettore agisce quella “sospensione dell’incredulità” che già due secoli or sono Coleridge aveva indicato come tratto distintivo dell’opera finzionale. Qual è la sua posizione in proposito? Crede che la finzione sia ormai colonizzata dall’intrattenimento o che mantenga viceversa un proprio potere di rivelazione e di verità?
FT – In effetti sono poco interessato, adesso, alle opere d’invenzione. Concedo poca fiducia al narratore fantastico; ovvero, gliene darei se riuscisse a rielaborare le strutture narrative e la lingua in maniera da rappresentare un passo avanti rispetto al romanzo che, per comodità, diciamo ‘novecentesco’. In questa ‘sfiducia’ ha una sua parte anche la mia precedente esperienza di narratore d’invenzione. Ritengo molto più interessante stabilire un rapporto con una vicenda reale, con notizie scarne, con vuoti di conoscenza, che non elaborare una struttura articolata sulla base della credibilità dei personaggi d’invenzione e del loro agire. La percepisco come una materia troppo duttile, poco ‘agonista’ rispetto all’autore e al terreno di scontro: il libro.
3. Passato e presente
Gli autori contemporanei tendono ad avere un forte legame con forme di espressione extraletteraria e non necessariamente italocentrica: i frequenti riferimenti vanno alla musica, ai fumetti, al cinema, alla fotografia oltre che alla letteratura straniera, specie nordamericana. Quali sono i suoi modelli prevalenti, letterari e non? Ritiene che la condizione visiva e multimediale dell’immaginario abbia interrotto l’eredità dei padri e la duplice tradizione del realismo e del modernismo?
FT – Se ripenso alle mie letture da studente, l’impatto che provocarono in me La peste di Camus e Guerra e pace di Tolstoi, è ancora fortissimo. Ma altrettanto importante è stato il linguaggio cinematografico del dopoguerra. Da Hitchcok a John Ford, da Rossellini al primo Francesco Rosi, da ‘La battaglia di Algeri’ di Pontecorvo all’intera opera di Clouzot. La musica è altrettanto importante nella composizione della pagina. Posso trarre vantaggio dall’ascolto di un brano jazz, o da quello di un quartetto di Beethoven. Su una struttura complessa come quella delle ‘variazioni musicali’ ho poi modulato gran parte dei miei libri più recenti.
Uso tantissimo anche inserti fotografici. Un po’ per la mia provenienza dalla storia dell’arte e un po’ perché credo che in questi anni le commistioni non solo di generi ma anche di media siano molto interessanti. Ho cominciato a modificare il mio modo di scrivere quando la Bompiani pubblicò a fine anni ’90 i primi libri di W.G. Sebald, Gli anelli di Saturno e Gli emigrati. Ma fondamentali sono stati alcuni testi di storia dell’arte. Primo fra tutti Michelangelo e la Controriforma di Romeo De Majo.
Mi aspetterei dalla tecnologia libri con inserti musicali, filmati, interviste, in continuo divenire, mutevoli, sempre imprevedibili. Ecco, mi affascinerebbe lavorare a un progetto così. Forse giù si può fare sul web, ma circoscriverlo a una pubblicazione sia pure su un e-reader sarebbe molto stimolante.
4. Sullo stile e sui temi
Quale ruolo attribuisce all’aspetto stilistico del suo lavoro? Quali sono gli elementi preponderanti su cui fonda la sua espressione linguistica? La sua sensibilità di narratore quali temi le fa sentire particolarmente vicini al suo modo di rappresentazione della realtà?
FT Per quel che mi riguarda l’incidenza sul contemporaneo si attua, in letteratura, più intervenendo sull’architettura dell’opera che sui temi narrativi. Come sopra accennato il vero argomento dei miei libri è la descrizione delle macerie che emergono dall’impatto che la storia narrata ha col narratore.
Il ‘come’ è enormemente più importante del ‘cosa’. Il lavoro sul linguaggio inteso come struttura è essenziale. Dal mio punto di vista sono più interessato alle strutture che al vocabolario. Dunque prediligo periodi complessi, articolati, che mimino il flusso del pensiero e poco attratto da un linguaggio troppo ricercato. Preferisco il coinvolgimento emotivo a volte anche a scapito della precisione lessicale. Inoltre credo che sia lo stile a dover descrivere le atmosfere e le situazioni narrative.
I miei testi sono assolutamente marginali rispetto al presente, almeno come tematiche. Mi sono interessato di artisti rinascimentali, di Shoah, di esplorazioni antartiche, di musicisti romantici, – il prossimo libro trae spunto da una commedia di Shakespeare – tutto estremamente lontano dal mondo d’oggi. Piuttosto, è stato nella frammentazione del tessuto narrativo che ho affrontato il rapporto con la contemporaneità. Più vado avanti e più cerco di scardinare l’impianto narrativo tradizionale. Paradossalmente, sono un rivoluzionario senile.
5. Sullo storytelling
Negli ultimi decenni la narrazione è stata “esportata” massicciamente, dando luogo a uno storytelling diffuso. Ogni “discorso” viene narrativizzato, dalla politica al marketing, per approdare alle «convergenze» che Ceserani ha segnalato tra le molte discipline, anche di area scientifica e tecnica, e la letteratura, capace di “prestare” loro potenti strumenti espressivi. Ritiene che questo sconfinamento della narratività sancisca un suo punto di forza o che, viceversa, ne riveli la crescente debolezza in un mondo sempre più assediato dall’immaginario?
FT La banalizzazzione della politica, soprattutto del suo mostrarsi, mi sembra un risultato di questa invasione. Ma la ritengo soprattutto una conseguenza dell’approccio televisivo al consenso, emerso negli ultimi venti anni. Con il declino della televisione e l’emergere del web si avrà (e si sta già verificando) un’inversione di tendenza e un ritorno a una ‘non narrazione’ fatta di flash, impatti forti, spot quasi pubblicitari.
6. Lettori in formazione
Nonostante la diffusa disaffezione delle giovani generazioni per la pratica della lettura, la scuola resta un importante baluardo per cercare di innescare un circolo virtuoso tra giovani e lettura, soprattutto facendo leva su quello spazio, insieme periferico e centrale, di libertà costituito dalle letture personali assegnate nel corso dell’anno scolastico. È in questo ambito, inoltre, che, accanto ai classici, si potrebbe utilmente mettere in contatto i ragazzi con la narrativa dell’estremo contemporaneo. Potrebbe indicare tre romanzi o raccolte di racconti italiani o stranieri degli ultimi vent’anni, a suo parere irrinunciabili, che proporrebbe in lettura ad adolescenti tra i 16 e i 18 anni?
FT – Considerando l’età dei possibili lettori, vorrei proporre libri un po’ fuori dal loro mondo. Sono costretto a sforare di qualche anno il limite e, piuttosto che dall’estremo contemporaneo, propongo altro leggermente più datato, ma caldeggio vivamente: W.G. Sebald, Gli emigrati (Adelphi), Romano Bilenchi, Due ucraini e altri amici (Rizzoli) e Nuto Revelli, Il disperso di Marburg (Einaudi).
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