Italianisti fuori dall’Italia. Primo bilancio
Primo bilancio
Con l’intervista di mercoledì 19 ottobre termina il nostro primo ciclo di domande sull’italianistica vista da fuori. Il ciclo si è esteso per sei settimane ed è frutto della preparazione di diversi mesi. Ci tengo molto a ringraziare tutte le persone che hanno aderito all’iniziativa e che hanno risposto con attenzione e serietà a sollecitazioni diverse relative alla loro attività didattica e di ricerca. Ho un debito di riconoscenza nei confronti di Alessio Baldini, Novella di Nunzio, Alberto Godioli, Maddalena Graziano, Maria Anna Mariani, Alessandro Metlica, Eloisa Morra, Cristina Savettieri, Francesco Schiavon. Tutti loro non hanno esitato a soffermarsi anche su aspetti personali della loro vita fuori d’Italia e l’hanno fatto con sensibilità e ricchezza di riferimenti. La redazione di «Laletteraturaenoi» ha editato le domande e ha partecipato a tutte le fasi del lavoro.
Inchieste come questa hanno una vita propria e i dati raccolti non sempre rispettano le aspettative. È possibile trarre un primo bilancio? È corretto trattare questi esempi come campioni rappresentativi di un’intera generazione, o di tendenze diffuse? Cosa sono i “cervelli in fuga”? una trovata retorica, un insieme di stereotipi, un gruppo con caratteristiche definite?
Di certo, nonostante le differenze di contesto e formazione, esistono alcune costanti che riuniscono diverse risposte. Gli intervistati hanno rifiutato all’unanimità qualsiasi accostamento tra la propria esperienza e quella dei migranti che, ogni giorno, rischiano la propria vita per varcare le frontiere per entrare in Italia e in Europa. La scelta degli italianisti di muoversi all’estero è consapevole e libera: chi lavora in questo campo sa di appartenere ancora ad una parte privilegiata del mondo, per quanto non manchino difficoltà legate alla vita all’estero. Quasi unanime è la sensazione di estrema difficoltà nell’immaginare un rientro in Italia, ma qui le risposte si diversificano: la maggior parte degli intervistati non condivide questo desiderio, anzi esprime dubbi sulla possibilità di condurre la propria ricerca in Italia. Impostazioni teoriche che si fondano su cultural studies, trauma studies, o sull’uso di altri media sembrano lontane dalle aspettative dell’accademia italiana, così, ad esempio, sostengono Maria Anna Mariani ed Alessio Baldini, rispettivamente impegnati a Chicago e a Leeds. In altri casi, invece, l’abbandono dell’Italia è visto come un modo per evitare attese lunghe ed incerte, questa la posizione di Alessandro Metlica e di Novella di Nunzio. Da notare che alcuni intervistati stanno ancora completando la loro formazione, si pensi a Eloisa Morra e a Maddalena Graziano: la loro esperienza di ricerca è arricchita da responsabilità didattiche e amministrative.
È importante, inoltre, segnalare l’attenzione per la comparatistica, unita ad una riflessione sul ruolo della letteratura italiana nel contesto occidentale. Lavorare sul canone è una priorità molto sentita da tutti gli intervistati: la sua definizione ed il modo in cui si evolve sono aspetti che appassionano, anche a causa dei contesti diversi in cui gli intervistati operano e vivono.
Tutti mantengono un forte legame con l’Italia attraverso social networks, quotidiani on line e blog letterari. Dall’elenco che si può costruire attraverso le risposte emergono soprattutto i siti «Doppio zero», «Le parole e le cose» e «Internazionale». Per pochi degli intervistati il reperimento di risorse bibliografiche costituisce un problema: biblioteche dei campus, ma, soprattutto, internet, riescono ormai quasi completamente a colmare qualsiasi lacuna.
È ovvio che i rischi a cui è soggetta l’Europa e i recenti fatti di Brexit creino ansie, tensioni o scoramento. La fine dell’Europa non significa soltanto la fine delle burocrazie e dei finanziamenti a pioggia, ma anche il tramonto di un progetto politico e umanistico a cui nessun intervistato ha smesso di credere. Quasi tutti vivono in Europa e la dimensione europea è quella che sentono più vicina, oltre i confini delle nazioni in cui vivono.
L’Inchiesta sull’Italianistica è solo all’inizio. Abbiamo in programma un secondo giro di interviste aperte a generazioni differenti.
Lo scopo, come sempre, non sarà quello di disegnare mappe di disagio, ma di presentare profili di studiosi che operano in contesti diversissimi, una condizione che influenzerà sempre di più la produzione critica futura. I prossimi libri importanti nel campo dell’italianistica verranno scritti anche dalle persone che hanno risposto alle nostre domande: è importante capire da dove provengono gli stimoli che li influenzano, come sviluppano lo studio dell’italianistica fuori dai confini nazionali e quanto sono determinanti tutte le esperienze di alterità a cui sono soggetti.
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