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Il paese dalle imposte serrate: Condominio Oltremare di Giorgio Falco e Sabrina Ragucci

Tra racconto e reportage fotografico

Quella pubblicata sullo scorcio del 2014 da Giorgio Falco e Sabrina Ragucci è un’opera originale sia per il connubio tra parola e immagini che per l’ibridazione di generi letterari che la caratterizza: Condominio Oltremare (Roma, L’Orma Editore) è infatti al contempo reportage, diario memoriale e albo fotografico. La commistione di generi e codici – già sperimentata dalla coppia di artisti qualche anno fa con un testo misto di scrittura e fotografia dal titolo The collared dove sound (2012) ispirato alla raccolta di racconti di Falco Lubicazione del bene (2009) – è funzionale a rappresentare uno specifico spazio: la riviera romagnola, rivisitata in un gennaio freddo e solitario dalla voce narrante di un milanese che, dopo ventisette anni, torna nel luogo delle vacanze di famiglia.

Attraversando la riviera romagnola fuori stagione

Oltre a raccontare la storia del mutamento radicale di un territorio fissatosi nell’immaginario degli italiani, a partire dagli anni del boom, come icona del divertimento organizzato, il racconto di Falco è anche un viaggio nell’Italia immobiliare degli ultimi sessant’anni, dal periodo vitalistico e fagocitante della cementificazione della costa alla fossilizzazione “fuori stagione” di oggi.

Gli strumenti percettivi e ricostruttivi di questa trasformazione epocale sono da una parte la memoria autobiografica di Falco, dall’altra l’occhio fotografico di Ragucci che suggella il volume con una breve nota dal titolo «4,7 km».

L’io-narrante, un quarantacinquenne ormai senza genitori dai quali ha ereditato due appartamenti «che al momento nessuno vuole», uno in città e uno sulla riviera,giunge in pulmann a Lido delle Nazioni e ricostruisce la storia di questi luoghi, rilegge la propria vicenda personale nel suo intreccio con la Storia: ripercorre la cartografia del paesaggio romagnolo, ridisegnata dai capitali del dopoguerra (soprattutto da quelli della Nesco S.p.a. di Michele Sindona, operazione narrativa avviata dall’autore già nel romanzo La gemella H, 2014); rivisita le estati della sua infanzia e dell’adolescenza; rievoca l’aspirazione dei genitori all’acquisto della seconda casa, una residenza «Completa de tücc, anca de sculapasta» (p. 24).

La vitalità del passato

In un andirivieni continuo tra presente e passato, il protagonista cerca di “riconoscere” la casa dove ha trascorso tante vacanze, passa in rassegna con precisione quasi ossessiva gli oggetti ancora conservati nell’appartamento, percepisce il senso di estraneità che essi comunque gli suscitano, ricostruisce i rapporti di vicinato tra gli abitanti del condominio, comprendendo solo da adulto come il loro status professionale e sociali influenzasse le reciproche relazioni anche durante la vacanza. Emblematici, a questo proposito, i rapporti tra il padre dell’io narrante («un capoufficio») e Barlassina («un capofficina cattolico») da una parte e, dall’altra, il capofamiglia dei Rummolo («liquidato come uno scansafatiche, un irregolare che non era nemmeno comunista»). (p.92)

Le pagine più “storiografiche” di Condominio Oltremare restituiscono criticamente la vitalità della riviera del boom, quando era meta del turismo di massa del ceto medio italiano e dei molti tedeschi attirati dal mare e dal clima; in queste sequenze si rimemorano anche i traumi che hanno costellato le estati italiane negli anni della strategia della tensione, di cui è emblema la vicenda della famiglia Mader, decimata alla stazione di Bologna il 2 agosto del 1980, dopo la vacanza trascorsa al Lido di Pomposa. (pp. 126-130)

Il presente “morto”

Viceversa le sequenze in cui l’io narrante racconta la sua immersione nel presente fossile, narcotizzato, estinto della riviera fuori stagione restituiscono la visione di un luogo straniato. Da Lido delle Nazioni a Porto Garibaldi il narratore-pellegrino si imbatte, infatti, in un mondo serrato, imballato, che sembra non poter più riprendere vita. E l’occhio fotografico di Ragucci sembra dargli ragione: quando si fissa sulle case, esso registra serrande abbassate, porte irrimediabilmente chiuse, imposte variopinte ma sigillate, muretti e ringhiere a sancire proprietà immobiliari che hanno ceduto alla consunzione. Scrive del resto l’artefice delle foto a conclusione del libro: «Essere guardati dalla casa, dagli oggetti, una forma d’immersione, ciò che raccogli è anche la storia di un momento che finisce» (p.162). I due artisti, ciascuno a modo proprio, sembrano pertanto far proprio il paradosso di Barthes in La camera chiara:

l’immobilità della foto è come il risultato di una maliziosa confusione tra due concetti: il Reale e il Vivente: attestando che l’oggetto è stato reale, essa induce impercettibilmente a credere che è vivo […]; ma spostando questo reale verso il passato («è stato»), essa suggerisce che è già morto. (p. 80)

Paesaggi desolati

Questa dialettica tra presente e passato, tra vivo e morto, tra centro abitato e luogo fossile – vero punto di forza allegorico e cognitivo di Condominio Oltremare – si ripresenta, del resto, nella parte conclusiva del racconto, quando l’io-narrante decide di visitare la necropoli di Spina: qui, durante le bonifiche, «negli anni Venti gli operai avevano scoperto in un campo migliaia di tombe dotate di preziosissimi corredi» (p.134). Il cammino lungo la Statale Romea si risolve in un campionario di desolazione periferica tra capannoni, ipermercati e qualche sparuta casa – luoghi narrativi d’elezione per Falco – , mentre la necropoli sembra inghiottita dal paesaggio silente e abbandonato, al punto che il protagonista non troverà modo di raggiungerla e concluderà:

Forse tra duemilacinquecento anni un altro uomo confuso si metterà in cammino, o stando fermo, nei pressi della spiaggia, guarderà la polvere di un essere antichissimo, passato di qui come tanti, senza lasciare traccia. (p.150)

Un congedo senza rimpianti

L’attraversamento della riviera fuori stagione – la cui mobilità è data dall’alternanza tra le immagini naturalistiche di un paesaggio salvatosi a stento dal cemento e gli scatti fotografici in cui domina l’antropizzazione nelle sue forme edilizie – sembra dunque prefigurare il destino dell’intero territorio italiano in questo inizio di millennio in cui le prospettive di crescita illimitata sono implose: è senza alcun rimpianto, quindi, che l’io narrante si congeda dai luoghi delle proprie memorie estive. Lascia i Lidi del turismo derealizzato per tornare a Milano dove, finalmente, sembra ci sia una famiglia «molto interessata all’appartamento». (p. 151)

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