“Disumanizzazione della vita e funzione delle umane lettere”. Il volume del primo convegno LN
La redazione LN è lieta di annunciare l’uscita del volume cartaceo che raccoglie gli atti del primo convegno del blog – Disumanizzazione della vita e funzione delle umane lettere – che si è svolto a Palermo il 3 e 4 ottobre 2024. Per l’occasione, siamo lieti di pubblicare l’estratto dell’intervento iniziale del nostro direttore, Romano Luperini. L’opera è reperibile al seguente link.
(Comunichiamo anche che come ogni anno il blog si ferma per la pausa natalizia. Riprenderemo le pubblicazioni regolari lunedì 5 gennaio. A voi tutti i nostri migliori auguri).
Disumanizzazione della vita e funzione delle umane lettere (Romano Luperini)
A proposito di disumanizzazione della vita, vorrei avervi avuto con me ieri all’aeroporto di Firenze, che era un vero e proprio girone infernale, con coloro che dovevano partire, tra cui io, e degli inservienti che non sapevano nulla e ci mandavano da una parte all’altra dell’aeroporto.
Cinque ore di inferno, alla fine delle quali io ho deciso di tornare casa, perché non ce la facevo più a stare in piedi letteralmente. Questa è una forma minima di disumanizzazione della vita. Ma perché un anziano che paga un biglietto non dovrebbe avere un’assistenza durante un volo? Assolutamente abbandonato a sé stesso e poi vada come vada. Ma vorrei spiegarvi la ragione del titolo e aggiungere qualche considerazione.
Siamo di fronte a quella che oramai la stampa chiama disumanizzazione, ma come utilizzerebbe qualsiasi altro termine, senza nessuna emozione a riguardo. Questa fine dell’umanità, questo disseccamento dell’umanità non può essere sottovalutata.
Abbiamo cercato di fare dei seminari che sono anche degli esercizi di didattica della letteratura. Questo metterà in sospetto alcuni. Infatti, taluni ci rimproverano di voler salvare la didattica che invece andrebbe seppellita, di non seguire i tempi, di essere arretrati. Io non la penso così, penso che intervenire sulla didattica è intervenire sulla visione del mondo, è intervenire su tutto ciò che riguarda la vita sociale e politica. Dentro la letteratura c’è tutto. Spesso abbiamo scritto che insegnare letteratura è già insegnare educazione civica. Allora, cosa risulterà da questi interventi, cosa immagino verrà fuori?
Io penso che la produzione di idee a cui siamo chiamati deve essere all’altezza di una crisi enorme, come varie volte è accaduto nella storia dell’umanità. Non sappiamo chi siamo, dove andiamo, la scuola stessa sembra avere perso il senso della propria funzione. Mi è venuto in mente Pico della Mirandola che in De hominis dignitate fa della letteratura un mezzo di salvezza per la dignità dell’uomo. Ma cos’è questa dignità? C’è un quadro di Botticelli della fine del Quattrocento in cui si vede Pico della Mirandola e altri esponenti di quella che potrebbe essere definita la corte medicea, tutti insieme. Colpisce vedere Pico accanto ad altri artefici delle artes, cioè delle congregazioni degli artigiani. Ora dice Pico della Mirandola che l’uomo è per il cinquanta per cento un bruto e per il cinquanta per cento un essere superiore che si può avvicinare agli angeli, in quanto dotato di spirito intellettuale. Pico della Mirandola usa proprio questo termine: intellettuale. Quindi dentro l’uomo c’è una parte non intellettuale tipica del bruto e un’altra parte che è intellettuale. Il problema che si pone è: perché l’uomo si dimentica della parte superiore e cede invece a quella inferiore? Perché lo fa? Qui Pico sostiene un’idea che a me piace e pare attuale.
Bisogna che l’uomo sappia che il cinquanta per cento di sé è brutale. Deve sapere di essere un bruto, e proprio per questo dovrebbe fare, alla fine di ogni giornata, un bilancio della propria vita, e vedere se è prevalso il bruto o l’uomo. Tutti quelli che dicono: «ma come, gli ebrei vittime della Shoah trasformano in vittime i palestinesi?». Se l’uomo non guarda in sé stesso da vittima può diventare aguzzino. Come vedete questa questione della disumanizzazione, del destino dell’uomo, del destino della letteratura ci riguarda fortemente. Ma si può in una situazione del genere dire «non facciamo più didattica?» Si può arrivare a proporre una disumanizzazione fatta da noi stessi? Proporre noi stessi la fine dell’umanità, dimenticandoci di quel mondo che Pico della Mirandola credeva, il mondo dell’uomo? Siamo ricaduti nel mondo della brutalità.
È questa la situazione che stiamo vivendo. È una situazione estrema, ma proprio per questo non si può rinunciare al nostro compito. Il nostro compito va svolto a scuola, cercando di adattarlo alle situazioni della società. Non è proporre una diserzione, come propose un illustre italianista in una situazione drammatica, ovvero Eric Auerbach alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Quando ci sono partigiani sui monti non puoi utilizzare i libri di una biblioteca. È una situazione che Fenoglio ha rappresentato molte volte, devi anche tu prendere la via dei monti, a un certo punto. Ma questa non è ancora la nostra situazione, non è ancora la situazione in cui bisogna abbandonare il nostro servizio, il nostro servizio ha una ragione d’essere, ma dobbiamo svolgerlo in modo alternativo. Noi abbiamo smesso di giudicare quello che ci viene proposto, finiamo sempre per accettare tutto. Siamo diventati scettici e malinconici perché ci manca la gioia dell’invenzione.
L’insegnamento di Pico della Mirandola, che in questo quadro di Botticelli sta lì, insieme a Poliziano e Giuliano de’ Medici, certo riflette una società aristocratica. Questa situazione non è più quella di oggi, una corte segue criteri che non possono essere nostri, ma può essere nostro lo spirito di una comunità che si unisce al di là delle classi e dei ceti, alla luce di una speranza, quella che noi stessi possiamo portare a tutti gli uomini. Dobbiamo essere speranza nel mondo e nella scuola, trasformarla, la scuola, questo è il nostro compito.
Allora rileggiamo il De hominis dignitate, e ritroviamo il senso dell’umanesimo. È questo il motivo per cui in Europa da secoli si studia l’umanesimo, perché ci richiama alla nostra essenza profonda, ci rimanda a compiti ed esigenze profonde. Io spero che questo convegno possa riflettere non solo su cosa sia un endecasillabo o una figura retorica, ma che possa dire del significato profondo del nostro insegnamento, che non si esaurisce nell’insegnare una materia, ma invece si afferma nel modo in cui insegniamo a guardare il mondo, a dare una interpretazione del mondo.
Se spingiamo gli allievi a interpretare il mondo in cui vivono, allora abbiamo svolto una parte congrua del nostro lavoro. Ora vi lascio, perché sono molto stanco anche per la giornata che ho dovuto sopportare ieri e vi auguro buon lavoro.
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Romano, ottima riflessione. Fare fronte, dunque, esserci, e nessuna diserzione o “distrazione” montana.