Sono comuni le cose degli amici. Su “Platone. Una storia d’amore” di Matteo Nucci
“Espressione perfetta: amore platonico. Ma è una beffa che vale solo per chi non sappia niente di lui”: sono le parole con cui Matteo Nucci in Platone. Una storia d’amore, uscito di recente per Feltrinelli, si riferisce al protagonista del suo libro e della filosofia di ogni tempo, “lui”, Platone, il filosofo “dalle spalle larghe”, come lo battezzò il suo maestro di ginnastica – profeticamente, in considerazione del calibro della sua influenza sul pensiero occidentale – quando ancora per tutti era il giovane Aristocle.
Nucci rivela il carattere mendace, costruito da secoli di monopolio culturale cristiano, della definizione “amore platonico”: il Platone che lo scrittore romano ci restituisce è, invece, un uomo che ama in modo umano, che vive anche amori sbagliati, come quello per il giovane Alkis, seducente e infedele; un uomo che costruì una relazione fatta di affinità intellettuali, oltre che di appassionato trasporto, con il siracusano Dione, ispiratore del progetto politico che per ben tre volte Platone tentò di realizzare a Siracusa. È a Dione che Platone, nella veste meno conosciuta di poeta, dedica i versi accorati del “rimpianto per tutto quel che poteva essere e invece non fu mai” (p.505), “l’ultima poesia” (p.501) che si chiude con una dedica dettata da una passione ardente: “Tu che hai reso folle d’amore il mio animo. Dione.” (p.505)
Il libro di M. Nucci del romanzo ha la veste esteriore, le strategie narrative, la seduzione della voce narrante: lo Straniero, l’alter ego dell’autore, attraversa il tempo e la storia, è sì contemporaneo di Platone, compagno di viaggio nella vita del filosofo, ma è pure vicino alla nostra sensibilità. In ogni punto del romanzo lo Straniero è pronto a dichiarare l’inafferrabilità di Platone:
[…] ho passato una vita con quest’idea. Una vita a rincorrere l’uomo, fin dal primo incontro (p.544) […] Talmente intricato, Platone con la sua scrittura di artista filosofico, che è impossibile agguantarlo (p.546).
Il filosofo ateniese rimane sempre “contraddittorio”, al punto che persino chi lo ama e gli dedica la vita per studiarlo, si sente comunque e sempre “straniero”, capisce di non poter abitare fino in fondo i suoi passi, i suoi testi. Eppure l’impenetrabilità, l’oscurità, la difficoltà sono di stimolo all’amore: χαλεπά τά καλά, sono difficili le cose belle, lo ha scritto Platone in molti suoi testi, lo ripete, a se stesso e ai lettori, lo Straniero.
Un romanzo, quello di Nucci, che non lascia mai spazio all’arbitrio o alla fantasia: tutto è testimoniato con cura filologica dai riferimenti alle opere platoniche, dai Dialoghi ai versi composti dal filosofo e raccolti nell’Antologia Palatina. Di romanzesco c’è la sfida della ricerca (quête), il tentativo di cogliere “lo sviluppo dell’anima e dello spirito” di Platone, nonostante la sua “multiformità”, che lo rende refrattario a ogni possibile tentativo di interpretazione univoca e definitiva. Di romanzesco c’è ancora l’avventura di chi, come lo Straniero, è stato pronto a tutto per amore:
ero pazzo di quell’uomo che faceva sognare, pieno di una fiducia in se stesso che gli permetteva di lanciarsi verso il futuro come se niente fosse, come se non esistessero ostacoli. Amavo lui e il suo sogno oltreumano e trovai invece un uomo che allora era un ragazzino: Aristocle. Un uomo che da allora ho rincorso di continuo. Ma non per catturarlo. Non per comprenderlo, come se fosse poi possibile. Solo per continuare ad amarlo (p.546).
Tuttavia l’abilità mostrata da Nucci nella costruzione dell’intreccio narrativo e nella sensibilità che traspare dalle considerazioni dello Straniero, si affianca al rigore della ricostruzione storica di un’Atene devastata dalla guerra contro Sparta, di una città caduta nel baratro della demagogia e della miopia politica dei Trenta Tiranni che condannano a morte il Maestro, Socrate, uccidendo così, in un simbolico parricidio, la forza della coscienza critica e decretando la fine di una civiltà, quella della polis, della parresia, della libertà: un passato che non sembra poi così lontano e che proietta le sue ombre sul nostro cupo presente.
Una storia d’amore, è il sottotitolo del libro di Nucci: l’amore non è solo l’ammirazione radicale dell’autore per il filosofo, ma è soprattutto la dedizione di Platone per quell’idea di Bellezza a cui il filosofo si impegnò a far somigliare il mondo, affrontando con il coraggio della scrittura, la sua catabasi nelle viscere infernali di un’Atene prostrata. Platone, discendente del sapiente Solone, da cui eredita l’ideale dell’εὐνομία, il buon governo fondato sulla giustizia; Platone, amico del pitagorico Archita che gli lascia come ideale testamento la massima incisa sull’architrave della scuola tarantina e poi confluita nel Fedro: κοινὰ γὰρ τὰ τῶν φίλων, “sono comuni le cose degli amici”, è l’uomo che ci lascia un insegnamento immortale. Dalle pagine di M. Nucci si apprende chiaramente quale fu la spinta morale che animò Platone e che dovrebbe essere di monito anche oggi: l’amore appassionato per ciò che si fa e per un’idea di mondo – giusto, bello, umano – che non si può soltanto vagheggiare, ma bisogna sforzarsi di realizzare, rischiando anche di fallire. In Platone – e Nucci lo sottolinea in modo sentito e chiaro – è sempre forte e radicata la convinzione che il sapere è una ricchezza troppo preziosa perché sia coltivata in solitudine contemplativa, è piuttosto un bene che va condiviso (“sono comuni le cose degli amici”, appunto) perché solo “una comunità organizzata con cura” può costituire “una grande scuola per la formazione di uomini capaci nella politica cittadina”.
E oggi ne abbiamo bisogno più che mai.
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Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore

Sembra che sul concetto di amore Platonico ,che Ficino usò per primo, Nucci abbia forzato o male inteso il Simposio di Platone. Il quale ha ben chiarito i vari gradi dell’amore. E poi che c’entra Cristo e il suo modo di intendere l’amore che è in altre dimensioni.