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diretto da Romano Luperini

Anne Carson, Come l’acqua

Il 7 ottobre uscirà per Crocetti editore Come l’acqua della poetessa canadese Anne Carson, per la cura e traduzione di Patrizio Ceccagnoli. Ringraziando, pubblichiamo in anteprima un estratto dell’introduzione di Patrizio Ceccagnoli e la traduzione di un testo.

Sull’idiosincrasia e Anne Carson

Nel tradurre, ho cercato di mettere per iscritto nella lingua più semplice tutto ciò che si può leggere in ogni poesia, usando, ove possibile, lo stesso ordine di parole e di pensieri di Saffo. Mi piace pensare che, più mi faccio da parte, più Saffo si rivela. Questa è un’amabile fantasia (la trasparenza dell’io) entro cui si dibatte la maggior parte dei traduttori.

Anne Carson, If Not, Winter: Fragments of Sappho

Trent’anni fa esatti, usciva a New York per la prestigiosa casa editrice Alfred Knopf il libro della scrittrice canadese Anne Carson intitolato Plainwater; libro degli esordi poetici, insieme al coevo Glass, Irony and God, uscito sempre nel 1995 per New Directions.1 Entrambe le raccolte si caratterizzano per la commistione di generi e forme, tratto tipico dell’opera letteraria dell’autrice, e per una sezione di ambientazione italiana. Ecco che, all’istante, una studiosa dei classici greci e latini diventa un classico moderno, un classico vivente, una scrittrice libera che ripropone il canone in maniera non canonica: Saffo, Simonide, i tragici greci, Catullo, Platone, ma anche Beckett, Kafka, Simone Weil, Heidegger visto da Celan, e così via. Ne deriva un effetto liberatorio ben recepito in Italia, dove le sue opere sono ugualmente apprezzate da pubblico e critica. L’apparente casualità della doppia pubblicazione newyorkese, in realtà dovuta a mere vicende editoriali, segna il difficile passo dalla scrittura accademica del primo libro, Eros the Bittersweet, verso una più libera ed eclettica fase della carriera in cui Anne Carson, in età già matura, si impone come scrittrice di testi non convenzionali e a loro modo rivoluzionari, appunto liberati liberatori.

A fatica, forse, ma con forza, Carson si libera dalle restrizioni di chi la vuole in un certo modo, probabilmente diversa da quella che è o da chi vorrebbe essere, restrizioni familiari, sociali e professionali; si libera da un senso di inadeguatezza che può farsi quasi identitario.

La scrittura, allora, diviene lo strumento per esplorare sé stessa e per liberarsi da un io invadente che ci perseguita tutti, diviene lo spazio in cui esperire quella libertà che le restrizioni familiari, sociali e professionali ci negano. Guadagnandosi da vivere come docente universitaria di greco antico, Anne Carson matura una sorta di idiosincrasia per il mondo accademico a cui appartiene, un’idiosincrasia per le sue rigide norme, per le convenzioni, per un’erudizione che non concede scampo.

Parlando del suo ultimo libro, Wrong Norma (“La Norma sbagliata”), finalista ai National Book Awards del 2024, la poetessa ha dichiarato:

Quando mi chiedono: “Qual è la differenza tra canadesi e americani?”, io dico: “I canadesi hanno una caratteristica, sono gentili ma si sbagliano. Tutto il tempo, gentili ma sbagliati”. Ho voluto Wrong [“sbagliata”] nel titolo proprio a causa di questa caratteristica canadese. Ma è anche qualcosa che si percepisce continuamente nella vita accademica, l’idea di essere sbagliati o in procinto di esserlo, e il bisogno assoluto di preoccuparsene perché tutto quel mondo è assai critico e gerarchico. Ottenere una cattedra dipende dal fatto che xyz non siano sbagliati quando si parla. È un tipo di mentalità che volevo disinnescare. Un po’ come quello che Simone Weil scrive in un saggio a proposito della contraddizione; poiché la contraddizione nei testi filosofici generalmente lascia perplessi, e lei invece ci si specializza. Weil sostiene che la contraddizione sia un utile evento della mente, perché la fa allentare, sciogliere. A quel punto, si possono pensare cose diverse o più vaste o che si trovano al di sotto dei nostri pensieri. È un improvviso cambio di paesaggio.

E quell’allentarsi della mente è consentito dall’essere sbagliati.

A distanza di trent’anni, il genio di Anne Carson è contagioso come i pidocchi. O almeno così verrebbe da dire raccogliendo le suggestioni dell’ironico ritratto di un suo testo frammentario, uscito nel numero per il centenario del “New

Yorker”; in una narrazione in prima persona, pubblicata nella sezione poetica del periodico newyorkese, la scrittrice, al suo solito, lascia spiazzato il lettore giocando con possibili ambiguità di genere che la lingua inglese consente in misura superiore all’italiano:

Entro nella vostra vita come un lampo, sono gentile, educato e versatile, uno storico e un uomo di lettere, e anche se ho creato una nuova forma letteraria vitale e ho scritto qualcosa che durerà tanto quanto la lingua inglese, è anche vero che puzzo e che quando visito la Knopf mi fanno sedere sul davanzale della finestra per evitare che i miei pidocchi finiscano sulle loro sedie. Il genio non è contagioso, dico loro.

L’identità maschile dell’anonimo protagonista del testo appena citato, anch’egli geniale scrittore di successo legato all’editore Knopf, può anche esser letta come uno dei tanti depistaggi messi in atto dall’autrice, uno dei camuffamenti con cui l’io della scrittrice si dissemina nella sua opera sperando di scomparirvi. Spesso la scrittura di Carson ci lascia col sospetto di essere dinanzi a qualcosa di profondo, tormentatamente meditato o, al contrario, qualcosa di semplicemente scherzoso, un sottile e fragile gioco di parole, non sempre di facile decifrazione. Come ha argutamente notato Emily Wilson, che, come Carson, è traduttrice dal greco antico e vincitrice della MacArthur Fellowship, spesso dinanzi a tante opere della poetessa canadese si ha come l’impressione di assistere a una commedia brillante o di leggere una battuta di spirito, però senza saper mai bene quando sia il momento giusto per riderne. Anche in questo risiede la peculiarità dello stile idiosincratico dell’autrice, “idiosincratico” nel senso linguistico o, meglio, etimologico del termine: un tratto originale, fortemente individuale, senza la connotazione semantica negativa che ha sviluppato nell’italiano corrente, bensì neutra come in inglese. D’altra

parte, conclude ancora Wilson, “la sua disponibilità a provare diversi travestimenti, diversi generi letterari, diversi generi sessuali e diverse voci è un segno del suo coraggio e della sua curiosità”.

On Defloration
The actions of life are not so many. To go in, to go, to go in secret, to cross the Bridge of Sighs. And when you dishonored me, I saw that dishonor is an action. It happened in Venice; it causes the vocal cords to swell. I went booming through Venice, under and over the bridges, but you were gone. Later that day I telephoned your brother. What’s wrong with your voice? he said.

Sulla deflorazione
I fatti della vita non sono poi tanti. Andare dentro, andare, andare di nascosto, attraversare il Ponte dei Sospiri. E quando mi hai disonorato, ho visto che il disonore è un fatto. È successo a Venezia; fa gonfiare le corde vocali. Andavo rimbombando per Venezia, sotto e sopra i ponti, ma tu non c’eri già più. Più tardi quel giorno telefonai a tuo fratello. Cosa c’è che non va nella tua voce? mi disse.

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