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diretto da Romano Luperini

22 settembre 2025: noi c’eravamo

Il 22 settembre 2025, in oltre 70 piazza d’Italia, insegnanti e studenti, pensionati e lavoratori, si sono mobilitati per dare testimonianza politica e collettiva del rifiuto di arrendersi a quanto di abnorme sta accadendo per l’umanità tutta a Gaza. Una grande e impressionante adunata di popolo, carica di solidarietà e speranza, che alcuni media nazionali stanno tentando in questi giorni di infangare. Per questo, come redazione, ci sentiamo in dovere di chiamare a raccolta le esperienze di tutte le piazze, sollecitando l’invio di testimonianze al nostro blog o direttamente in commento sui nostri canali social. Lo facciamo anche a partire dalle esperienze dei nostri redattori, amici e amiche, che hanno manifestato nelle varie piazze d’Italia e di cui diamo qui testimonianza.

La manifestazione di Padova

Il 22 settembre a Padova è stato un giorno stupefacente di partecipazione popolare, a un tempo festosa e triste, consapevole della tragedia in atto e dell’omertà dei governi. Già alle 17, davanti al palazzo universitario del Bo, non c’erano solo i soliti militanti ma moltissimi ricercatori precari e studenti, spinti dall’intima necessità di non tacere più: tra le altre, sono risuonate le parole di una specializzanda in pediatria sulla distruzione delle vite dei più piccoli a Gaza, impedendo le cure più elementari, e quelle di una ragazza palestinese, in lacrime di rabbia per l’annientamento del suo popolo. Ma l’adiacente piazza Garibaldi intanto andava riempendosi: gente uscita di casa con i bambini in passeggino, ragazzini figli di migranti, persone comuni di tutte le età, giovanissimi che mai avevano partecipato a una manifestazione, stupiti di essere in tanti. E, al contempo, la marea che al mattino aveva partecipato al blocco del porto, pacificamente (i soli ad agire malamente son stati i poliziotti, con la violenza degli idranti) è arrivata da Marghera e si è aggiunta a noi in un lunghissimo corteo che ha attraversato la città, lambito la stazione e infine occupato la grande rotonda della Stanga, ormai al buio, illuminandola con dei fuochi d’artificio.  Non c’è da chiedersi perché di questo moto di popolo nei media, in gara per essere più servili e più “realistici”, non vi sia traccia, mentre si puntano tutti i riflettori sui vetri rotti della stazione di Milano: la risposta la sappiamo da tempo. La speranza dei popoli fa paura al potere, colluso con quello che ha scelto di cancellare il “problema” dei palestinesi per sostituirli con una riviera di lusso. Un potere sempre più saturo di armi e di menzogna e sempre meno degno di ogni consenso.

(Emanuele Zinato)  

La manifestazione al Porto di Venezia

Marghera, ossia la zona industriale e portuale di Venezia, ha accolto ieri mattina migliaia e migliaia di manifestanti che hanno dato vita a un corteo del tutto pacifico,  estremamente consapevole delle molte ragioni per cui chi era presente desiderava partecipare attivamente alla mobilitazione indetta: studenti universitari, precari della ricerca, moltissimi insegnanti, lavoratori di ogni categoria, tra i quali anche liberi professionisti, si sono uniti bloccando di fatto tra le 10 e le 15 l’accesso da terra al porto di Venezia dove, nel corso della notte, era transitata una delle molte navi cariche di armi che fanno scalo nei porti italiani. 

I manifestanti hanno individuato, anche grazie ai molti portavoce che si sono alternati al megafono, la complessità della situazione internazionale, divenuta intollerabile: in primis il genocidio di tutto un popolo affamato e sopraffatto dalla violenza, con la colpevole complicità politica e militare dei governi occidentali al governo di Netanyhau; il riarmo dell’UE che spolperà le risorse nazionali sottratte a scuola, sanità e altri servizi pubblici, destinando denaro alle spese militari. Lucidamente la gente era lì, pacifica, partecipe, desiderosa di mostrare che la politica attuale non è rappresentativa della sua volontà. Gli idranti che la polizia ha messo in azione poco dopo le 14 hanno disperso un popolo di manifestanti non violenti.

(Morena Marsilio)

La manifestazione di Perugia

Le parole per me più belle, quelle che rendono giustizia alla mobilitazione del 22 settembre dall’osservatorio della piazza di Perugia, le ha scritte una cara amica e giovane collega, Sara Picchiarelli, che con tanti insegnanti, studenti, lavoratori, bambine e bambini era con me in piazza. Con il suo permesso, riporto le sue parole.

«Ieri ho aderito allo sciopero e sono scesa in piazza. Come tantissime altre delle persone che erano lì, era la prima volta che aderivo a uno sciopero. Questo anche perché, in un paese come l’Italia, in cui gli stipendi sono tra i più bassi in Europa, scioperare è diventato un lusso. Perché sì, scioperare significa anche rinunciare a una parte della propria retribuzione mensile. Eppure, lo abbiamo fatto in tantissimi ieri. Lo abbiamo fatto perché certe immagini, certe notizie, certe sensazioni, non sono più sostenibili. Lo abbiamo fatto perché avevamo bisogno, forse, di riconoscere in altri volti la nostra stessa indignazione, rabbia, paura. Lo abbiamo fatto senza pretesa di fare la rivoluzione, ma con la volontà di farci sentire. Ed è stato bello. È stato sentirsi parte, dopo tanto tempo. E mi è venuto in mente, mentre ero lì, quello che scrive Calvino ne Il cavaliere inesistente, quando i Curvaldi si ribellano all’oppressione dei cavalieri del Gral grazie alla guida di Torrismondo e finalmente si conoscono e si riconoscono: 

“– Neanche noi sapevamo nulla, neppure d’essere persone umane, prima di questa battaglia… E adesso ci par di potere… di volere… di dover far tutto… Anche se è dura… – e si voltavano a piangere i loro morti.” 

Ci siamo riconosciuti essere umani, in un momento di sconfinata disumanizzazione, e abbiamo pianto i morti. I morti senza aggettivi possessivi, perché non esistono morti miei e morti tuoi, loro. Esistono solo i morti, soprattutto quando si tratta di bambini. E non siamo stati migliori o peggiori di chi non ha scioperato, per qualsiasi motivo, sicuramente più che valido. Però eravamo tanti, i dati più o meno ufficiali parlano di numeri tra i 50 e 100 mila partecipanti, 80 piazze. A Milano erano un centinaio di persone. E oggi, si parla solo di quelli. Di quel centinaio di scemi che ha usato la violenza, che non ha saputo tradurre la rabbia in partecipazione pacifica. Sono da condannare? Certo che lo sono. Per tutte le ragioni che non sto qui a riscrivere, perché di quelle mi pare si sia già scritto abbastanza. Ma sono stati una piccola, piccolissima parte di tutto quello che è successo ieri, e che spero continuerà a succedere. Mi pare molto vile, molto comodo, parlare solo di quel centinaio di persone; mi pare, onestamente, la cartina di tornasole di questa politica che usa le narrazioni per trasformare la realtà, per non rispondere alle sue responsabilità, a quello che le viene imputato. Mi sembra che, ancora, per l’ennesima volta in questi ultimi mesi, si stia cercando dirottarci su un’altra a strada, di spostare la nostra attenzione; per l’ennesima volta non abbiamo ricevuto risposte, ma solo controverità. Tra qualche anno, sui libri di storia, in classe con i miei alunni, a casa con i vostri figli, onestamente non penso che nessuno di noi o di voi racconterà di quei 100 scemi di ieri a Milano. Mi chiedo però come potremo o potrete evitare di raccontare degli oltre 20.000 bambini ammazzati a Gaza, in mezzo al nostro/vostro silenzio».

(Roberto Contu, Sara Picchiarelli)

La manifestazione di Pisa

A Pisa, poco prima delle 9 (orario stabilito per il concentramento), dal cielo piovono cani e gatti.

Ma questo non interrompe il flusso di persone che hanno scelto di esserci lo stesso: al limite, con l’ombrello, al limite, un po’ bagnate.

Dal balcone di casa mia, un po’ in ritardo perché sto cambiando attrezzatura per uscire, sento avvicinarsi l’unisono degli studenti e delle studentesse dei Collettivi (una delle scuole più militanti sta lì dietro), che si preparano per raggiungere piazza XX settembre.

Finalmente, intanto il cielo si è taciuto, arrivo anche io e il corteo è un fiume accanto al fiume: insieme alle sigle sindacali organizzatrici, docenti, altri militanti politici e sindacali, i vigili del fuoco, famiglie e bambini, cittadini e cittadine, tanti; e tanti, tantissimi studenti. 

Forse è un filo rosso ideale, per chi, docente a Pisa, ha vissuto le giornate del 24 febbraio 2024 e oltre, ma l’impressione, forte, da subito, è che, oggi come nelle manifestazioni che hanno fatto seguito a quel maledetto venerdì, a farci da guida siano loro, gli studenti, in una complicata eppure limpida gimkana che attraversa strade e luoghi topici, il filo rosso dei luoghi e dei corpi che segna e lega quello dell’esserci e delle idee. Sono loro che con la grazia unica che viene dalla consapevolezza di agire nel giusto perché si è nel giusto, senza sottopensieri, hanno portato le persone là dove era importante che ci fossero, tutte insieme, in un unico corpo, pacifico, politico e di cittadinanza.

(Orsetta Innocenti)

La manifestazione di Torino

Insolita e imponente: così si è andata formando fra le 9 e le 10, sotto una pioggia battente, la prima manifestazione torinese di giornata, a cui ha partecipato una marea di persone, tante di scuola, per testimoniare la vicinanza a chi viene affamato o ucciso ogni giorno a Gaza.

Insolita, per almeno due motivi. Prima di tutto perché in questo caso tanti hanno sconfitto il loro DNA: non si è sentito risuonare il tipico “Verrei, ma… (riempire a piacere)”; invece, proprio lì, dal vivo, si è sentito risuonare “Free free Palestine”. Poi anche perché non c’erano parole di conflitto e di risentimento, come troppo spesso accade nelle manifestazioni: per una volta almeno, essere più o meno radicali non è diventato motivo di divisione. La buona causa non ha cancellato i dubbi di tante persone, quelle che erano in piazza e quelle che non c’erano. Ma ha fatto sentire chi era lì una cosa sola, e non mi sembra poco. 

Imponente, come avevo visto di rado. A partire da quella zona sulla destra di Piazza Carlo Felice, davanti alla stazione di Porta Nuova. In pratica una grande sala insegnanti in cui cercare volti amici, colleghe e colleghi, spesso con la gioia di scoprirli presenti e di parlarsi fuori dagli schemi. Grande per la sua capacità di tenere insieme generazioni diverse (anche di docenti, cosa non scontata), differenti esperienze e sensibilità. Grande perfino nell’intelligenza delle forze dell’ordine. Sì, perché anche a Torino ci sono stati sconfinamenti tentati o riusciti, fino al blocco dei binari, ma polizia e carabinieri hanno pensato, bene, di non picchiare. Molte persone sono state identificate, saranno denunciate e si difenderanno, com’è legittimo che sia. Ma nessuno ha sporcato l’anima del corteo, né ha colto il pretesto per nascondere la realtà di una manifestazione di pace. 

(Stefano Rossetti)

La manifestazione di Catania

Catania, assolata e viva, abituata a gridare nelle piazze la disperazione di troppi tradimenti e abbandoni, si è stretta come in un grande abbraccio al popolo palestinese, abbandonato e tradito, sentendolo profondamente vicino, fratello. Si è colorata delle voci concordi dei tanti partecipanti al corteo che si è snodato lentamente dal centro della città fino al porto, varcati gli archi della marina. Tante persone hanno chiesto la fine della strage, il riconoscimento di un popolo ad avere uno stato, la libertà dalla fame e dalla guerra. L’antica via Etnea ha accolto una folla pacifica e trasversale in ogni senso possibile: studenti, spesso accompagnati dai loro genitori; docenti, moltissimi, di scuola e di università; operatori culturali; anziani e bambini e lavoratori di ogni settore. Tanti rappresentanti della cosiddetta “comunità araba”, che a Catania è numerosa. E via via che il corteo ha preso ad avanzare verso il mare, ha raccolto dalle banchine passanti di ogni età: “giusto è, giusto è”, ripetevano alcune signore con le sporte della spesa al braccio; ed è stato facile, per chi ha voluto unirsi, ripetere gli slogan semplici, inequivocabili: RESISTENZA! PALESTINA LIBERA! Per strada, sui balconi, bandiere palestinesi, bandiere della pace. Così la città ha sfatato il luogo comune della sua indifferenza, canalizzando il suo magma, le energie migliori della sua irruenza vulcanica, fino al porto, dove lentamente la folla si è sciolta: pacata, affettuosa, mite. Qualcuno ha proseguito, tentando di raggiungere – respinto – una nave israeliana, che si pensava ormeggiata al molo commerciale. Da qui a parlare di gravi disordini ne corre. Offende profondamente Catania e la sua gente chi voglia ridurre a questo tre ore ininterrotte di solidarietà e di autentica partecipazione nel nome dell’umanità e della giustizia. 

(Luisa Mirone, Alberto Bertino)

La manifestazione di Milano

La realtà di lunedì a Milano sono state decine di migliaia di persone, tra cui sindacati, associazioni, realtà politiche, lavoratori, studenti, anche bambini, che sono scese in piazza e hanno sfilato pacificamente, per ore, in solidarietà di un popolo oppresso, cantando, danzando e manifestando il loro dissenso come in ogni società sana e civile dovrebbe accadere. Facciamo diecimila. E quanti manifestanti hanno tentato di forzare il blocco della polizia per occupare i binari, per esercitare una forma di disobbedienza civile? Forse cento? Dieci arrestati, ma diciamo cento. L’uno per cento. Uno per cento. Uno per cento. Che spazio ha avuto questo uno per cento nella narrazione mediatica? Il 99%. Manipolazione. Iperrealtà. Che serve a generare riprovazione verso la partecipazione, verso il giusto dissenso. Che serve a contenere la mobilitazione delle masse, che da sempre fa paura al potere.Quella di ieri è stata una manifestazione quasi del tutto pacifica, ma non priva di rabbia e indignazione, di una rabbia costruttiva però, di una rabbia che torna ad unirci, a renderci comunità, a farci sentire partecipi dell’umanità degli altri, una rabbia che ci spinge a guardare la verità con gli occhi aperti, a verificare le narrazioni che ci propinano e a tornare nei nostri posti di lavoro e, come docenti e studenti, nelle nostre classi, con le menti più libere e forti, con la consapevolezza che il nostro impegno può contribuire a togliere il velo a quell’iperrealtà in cui siamo immersi 

(Elisabetta Condò)

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