La nuotatrice notturna, il nuovo romanzo di Adrián N. Bravi
È da oggi nelle librerie il nuovo romanzo di Adrián N. Bravi, La nuotatrice notturna. Per gentile concessione della casa editrice Nutrimenti, pubblichiamo la prima pagina del romanzo, e di seguito una breve intervista che l’autore ha rilasciato a La letteratura e noi per questa occasione.
La prima pagina de La nuotatrice notturna
Quando Jacopo Bordignola quella mattina sentì squillare il telefono e dall’altro capo una donna che non conosceva, ma che diceva di chiamarsi Ingrid, gli comunicò che la notte prima suo padre era morto annegato in un fiume, in un punto, specificò con voce accorata, in cui le acque ristagnano e diventano impraticabili, la prima cosa che pensò di fare fu di andare a prendere l’armonica che proprio suo padre gli aveva regalato in un tempo ormai lontano. La custodiva da sempre in un cassetto del comò, avvolta da un vecchio fazzoletto di seta. Allora si lasciò cadere sul divano con l’armonica in mano, soffiando appena sui fori e pensando all’ultima volta che aveva visto quell’uomo, tanti anni prima. Portava a quei tempi un cappello bianco a falde larghe su di una chioma riccia che gli cadeva sulle spalle, i sandali, le basette risorgimentali e un paio di pantaloni, bianchi anche questi, a zampa di elefante. Sua madre, poco più che ventenne, lo guardava asciugandosi le lacrime dagli occhi con il dorso delle mani: “Dai, Tintarella, non fare così”, aveva detto lui accarezzandole i capelli lisci e lunghi che le sfioravano la vita, “tornerò presto, lo sai, è solo questione di tempo”. Non era la prima volta che si assentava, ma questa, a differenza di tutte le altre, lei lo sapeva bene, non sarebbe più tornato. Le manfrine e quei vezzeggiativi erano solo un modo per blandire l’addio o per renderlo meno drastico. Lei aveva stretto con rabbia e delusione un fazzoletto bagnato, mentre lui si era tirato un po’ indietro il cappello (gesto destinato a entrare nell’archivio dei ricordi da rispolverare ogni volta che suo figlio avrebbe parlato di lui). Sulla strada, di fronte alla loro abitazione, c’era parcheggiata una Citroën due cavalli arancione con un uomo dentro, le mani appoggiate sul volante, gli occhiali da sole e una sigaretta che gli pendeva dalle labbra. Guardava in avanti, senza girarsi verso di loro, che si trovavano sulla soglia d’ingresso e provavano a illudersi che quella partenza fosse ‘solo questione di tempo’, che da lì a poco l’uomo di casa sarebbe tornato e tutto sarebbe ricominciato da capo, in maniera forse imperfetta ma ugualmente rassicurante. Sui sedili dietro c’erano due o tre ragazze che somigliavano alla madre di Jacopo, parlavano e ridevano tra di loro, con i finestrini abbassati, come se si trovassero lì per caso. “E tu, piccolo”, lo aveva esortato suo padre abbassandosi quel tanto che bastava per guardarlo diritto negli occhi, “prenditi cura della mamma in mia assenza… Me lo prometti?”. Sapeva, erano gli occhi di sua madre a confermarglielo, che quell’uomo sarebbe sparito dalla loro vita, ed era per questo – ricordava ora Jacopo seduto sul divano – che non aveva risposto, era solo riuscito a fare un cenno di assenso con la testa per farlo contento e per non ostacolare la sua partenza, anche se era l’ultima cosa che avrebbe desiderato. Prima di tirarsi su, il padre aveva pescato dalla tasca un’armonica, piccola, sopra c’era scritto il nome della marca o del modello: preludium, e l’aveva messa in mano al figlio: “Tienila tu, era di mio padre, tuo nonno, è l’unica cosa che ho di lui. Conservala bene, è giusto che ora la tenga tu”. Jacopo l’aveva presa, l’aveva guardata un po’ e l’aveva messa in una tasca dei pantaloncini che portava. Il padre gli aveva spettinato i capelli e lo aveva baciato sulla testa. “Ti amo, lo sai”, aveva detto poi a sua madre, avvicinandosi per baciare anche lei, ma lei si era ritratta, voltandosi appena dall’altra parte, asciugandosi le lacrime che le scendevano su quella spruzzata di lentiggini che il tempo, da lì a poco, si sarebbe incaricato di levare. Quando era salito in macchina, sul sedile anteriore, aveva alzato una mano per salutarli ancora e poi, rivolgendosi all’uomo con la sigaretta in bocca e gli occhiali da sole, aveva detto qualcosa del tipo ‘vamos’ e né lui, il conducente, né le ragazze che erano sui sedili posteriori si erano degnati di voltarsi verso di loro che erano rimasti sul marciapiedi immobili a guardarli svanire nel nulla.
* * *
Tre domande all’autore
D. Adrián Bravi, questo tuo nuovo romanzo si intitola La nuotatrice notturna: puoi raccontarci il perché di questo titolo e qual è stata la scintilla che ha fatto nascere in te la voglia di raccontare questa storia?
R. Come è successo con altre storie che ho scritto, sono partito da un’idea che man mano è andata costruendosi insieme alla scrittura. Vale a dire che la ricerca di un timbro stilistico, se vogliamo chiamarlo così, si è sviluppata insieme alla storia che ho voluto raccontare. Dunque, la scrittura non solo racconta, ma ordisce anche l’intreccio della trama. L’idea di base, comunque, era raccontare la vita di un quarantenne goffo e impacciato (per via dell’altezza e, soprattutto, del quintale che si porta addosso da quando aveva quindici anni, distribuito malamente su tutto il corpo). Jacopo, così si chiama il protagonista, lavora in un cimitero, il Santa Maria dei Canti; sistema le tombe, assiste ai funerali, taglia la siepe. A volte parla con i morti, si confronta con loro, anche con i parenti dei defunti. Ho un amico che fa questo tipo di lavoro e lui mi ha raccontato diverse cose interessanti sui cimiteri e sul lavoro che si svolge tra i morti. Ecco, ambientare una parte del romanzo in un cimitero mi ha permesso di raccogliere e di dare ordine a tutte le storie che mi riferiva il mio amico. A volte i romanzi servono anche a questo, a dare unità alle singole storie che ti colpiscono e che possono trovare la scusa per raccontare anche altre cose. All’interno del libro c’è anche un personaggio importante che nuota di notte in un fiume, da lì il titolo del libro.
D. Massimo Raffaeli, recensendo in anteprima il romanzo sul Venerdì di Repubblica, ha scritto che in questo romanzo affronti «temi divenuti roventi anche sotto il punto di vista etico e politico, a partire dall’identità di genere»: come mai hai sentito il bisogno di affrontare questo tema, e più in generale quali problemi ti poni quando le tue storie ti portano a confrontarti con questioni di rilevanza etica e politica?
R. Come dicevo, sono partito da un’idea base e attraverso la scrittura è andata sviluppandosi, prendendo alcune pieghe a cui non avevo pensato all’inizio. Vale a dire, avevo in mente solo ciò che ho scritto nelle prime pagine, il resto ha preso forma man mano che andavo avanti. All’inizio non mi ero prefissato di affrontare il tema dell’identità di genere (uno degli argomenti cardine del libro), ma poi, certe letture che stavo facendo, Manuel Puig, Il luogo senza confini di José Donoso, Le regine dell’Avana di Barnet, Camila Sosa Villada, ecc. mi hanno portato a risolvere alcuni punti della trama. Mi capita spesso di fare delle letture che poi vanno a influire su quello che sto scrivendo. Comunque, anche se spesso affronto temi di rilevanza etica e politica, come in questo libro, io metto sempre al primo posto la scrittura, nella sua valenza estetica, il resto, se posso dire così, entra dalla finestra e inizia ad articolarsi con la forma. Ma in prima istanza c’è la scrittura e tutto ciò che comporta. Certo, nel libro si toccano alcuni temi molto attuali come, si diceva, la diversità di genere, la disabilità, la memoria, l’abbandono, temi che mi sembrava interessante sviluppare, e poi ci dono i balletti sulle note di Billie Jean di Michael Jackson che Jacopo fa nei momenti di tristezza.
D. Come si evince anche dall’incipit che abbiamo appena letto, La nuotatrice notturna è anche una storia di perdita, una perdita che provoca un trauma difficile da superare – puoi dirci qual è, secondo te, il ruolo della scrittura e della narrativa in relazione proprio alla perdita e al trauma?
R. La scrittura ha sempre avuto un ruolo profondo e trasformativo nell’elaborazione della perdita e del trauma, sia a livello individuale che collettivo. Ci permette di dare forma a tutti i nostri rattristamenti (quali che siano), di comprenderli, di comunicarli e, a volte, persino di trascenderli. Jacopo non aveva gli strumenti per poter elaborare la perdita del padre, nel senso che non sapeva nemmeno che fine aveva fatto e perché se ne era andato quando lui era piccolo. Ecco che intraprende un viaggio in Portogallo (da dove aveva ricevuto una telefonata in cui una donna che non conosceva, ma che diceva di chiamarsi Ingrid, gli aveva comunicato che suo padre era morto il giorno prima per annegamento). Dunque, parte per avere delle risposte. Solo quando potrà fare i conti con la verità riuscirà a capire la suo storia, a soggettivizzarla e a darle una dimensione etica. In letteratura, questo Manuel Puig lo sapeva bene, non è necessaria una grande idea o un’idea originale e profonda, ma è decisivo il modo in cui si tratta quell’idea e come si risolve stilisticamente. A me era questo aspetto che interessava: come raccontare la storia della perdita di un padre sconosciuto.
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