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diretto da Romano Luperini

Il convegno di LN: i laboratori/1. Oltre le ideologie del digitale

L’esperienza dei laboratori assume, nel contesto complessivo del convegno, un chiaro significato simbolico: si tratta infatti dei luoghi naturali in cui si dà forma di seminario e di esperienza collegiale alle idee discusse nelle relazioni e nel dibattito che ne è seguito. Il lavoro della plenaria e i laboratori fanno quindi emergere i due pilastri fondamentali della professione di chi insegna: la ricerca teorica e il confronto intellettuale, da una parte: e dall’altra la capacità di tradurre idee e stimoli culturali, acquisiti attraverso i percorsi di formazione personale e il confronto fra pari, in proposte didattiche concrete, da mettere alla prova della classe.

Da quali presupposti prende avvio, allora, l’attività laboratoriale sulla media education? Perché nel titolo si parla di “ideologie del digitale”, enunciando il proposito di praticare una media education “non tecnocratica”? Quali approcci didattici possono derivare da simili premesse culturali?

Non è possibile sintetizzare in modo esauriente il lavoro svolto insieme. Proveremo però a restituirne il significato complessivo, partendo dalla breve riflessione iniziale dei coordinatori sulla comprensione delle immagini e sull’intreccio fra formazione letteraria e alfabetizzazione ai media e con i media, e accennando ai risultati concreti dei gruppi impegnati nel lavoro.

Media education come comprensione delle immagini

La lettura impressionistica è una delle più serie minacce rivolte alla sicura comprensione ed alla corretta interpretazione dei testi letterari, come ben sanno gli insegnanti, che cercano, quotidianamente, di estirpare dalle giovani menti un simile approccio semplicistico e semplificatorio. Non bisogna, del resto, nascondersi che qualche docente indulga romanticamente a credere che noiose conoscenze storiche, filologiche, metriche, letterarie, su cui fondare l’analisi testuale, debbano essere sostituite dalle vibrazioni del cuore…. A soccorrere un simile atteggiamento oggi arrivano in aiuto le soft skills e le necessità dell’intelligenza emotiva, che sembrano, spesso, confondere cause ed effetti del processo di apprendimento. Quando si ha a che fare con immagini, le cui capacità emozionali sono istantaneamente attive, ed in cui è sempre fortissima la valenza simbolica, fondata sull’insight immediato, piuttosto che su un elaborato ragionamento razionale, il pericolo di una lettura impressionistica si tramuta nell’approccio usuale ai video. Come insegnanti non possiamo accettare la supina passività dei giovani all’enorme quantità di messaggi visivi a cui essi (e non solo) sono quotidianamente sottoposti. Come adulti consapevoli non possiamo, a nostra volta, essere succubi di un sistema economico che utilizza i media come strumento di controllo. Sembra estremamente urgente ricordare a sè stessi, prima che agli altri, che essere un cittadino della Repubblica italiana non significa essere soltanto un consumatore. Dunque, nel nostro mondo reale abbiamo la necessità di confrontarci con la realtà di un nuovo mondo, virtuale e pervasivo, piuttosto che negare che esista e far finta che non sia l’acqua in cui anche noi, come tutti gli altri, siamo immersi.

L’insegnante di letteratura auspicato da Romano Luperini, piuttosto che essere un esperto, deve essere qualcuno che cerca un “modo nuovo” di insegnare letteratura e di dare significato adeguato al mondo in cui convivono le immagini dei cataclismi naturali, delle guerre, delle morti, e quelle dei Mulini bianchi.

Nel nostro laboratorio abbiamo avuto l’opportunità di ribadire che il “modo nuovo” non è sic et simpliciter un video: una lezione frontale in video è peggiore di una lezione frontale in presenza, per l’assoluta assenza di interattività. Tuttavia, è possibile provare a ragionare sulle possibilità ‘nuove’ del racconto per immagini, che includano il riconoscimento della valenza retorica dell’immagine (metafora, sineddoche, metonimia, simbolo, allegoria, non sono soltanto parole, ma riacquistano propriamente la dimensione di figure) e quelle dei meccanismi di difesa (spostamento, sublimazione, negazione, regressione, formazione reattiva, etc. estremamente attivi nella costruzione del racconto) al fine di rappresentare non la forma letterale della letteratura (il video come recita scolastica: la bambina con la barba finta impersona san Giuseppe), ma per dare forma alla ricezione del contenuto letterario. Una simile procedura comporta il rischio di potenziare le tendenze impressionistiche (proprio quelle che si vogliono evitare) e il narcisismo. Le prime si sconfiggono con il rigore del controllo delle fasi di costruzione (a partire dalla scrittura) del video; il secondo con il lavoro di gruppo, il team che lavora insieme, o, meglio, la comunità ermeneutica luperiniana.

Educazione letteraria e realtà dei media

Tradurre nella pratica d’aula queste intenzioni significa interrogarsi sull’intreccio fra educazione linguistica-letteraria e alfabetizzazione ai media e con i media. In assenza di una seria ipotesi di curricolo in quest’ambito, chi insegna procede per forza tramite tentativi e approssimazioni successive. La nostra scelta, in questo contesto, è stata quindi di proporre in apertura come spunto di riflessione due semplici attività legata alla comprensione dei messaggi pubblicitari: uno spot istituzionale sull’utilità delle cinture di sicurezza e uno addirittura governativo sull’importanza dell’isolamento durante la pandemia. Collocati nel segmento del biennio della secondaria di secondo grado, non costituiscono ovviamente modelli da seguire per forza; sono invece esempi di un’impostazione didattica non episodica, ma al contrario fortemente integrata nel contesto dell’apprendimento della grammatica del testo verbale narrativo e poetico: capaci, dunque, di potenziare la conoscenza e l’acquisizione di categorie di analisi e lettura dei testi, non solo quelli scritti, e di sviluppare/ potenziare le capacità di comprensione e di formulazione di giudizi motivati sul loro significato: nell’analisi degli spot proposti, dunque, le classi possono lavorare sulle nozioni di “realismo”, “verosimiglianza”, “genere”, “parodia”, “voce narrante”, “punto di vista”; sulle figure retoriche come forme del pensiero e sulla loro diversa presenza e traduzione nelle parole e nelle immagini; sulle strategie discorsive e sul rapporto fra senso esplicito e implicito, anche in prospettiva interpretativa. L’appartenenza dei video alla categoria testuale delle cosiddette “pubblicità progresso” consente inoltre alle classi di familiarizzare con la commistione di etica e marketing che caratterizza il mercato contemporaneo delle storie audiovisive: che si tratti di vendere merci, ideali o ideologie, infatti, la retorica del cosiddetto “storytelling digitale” – un riuscito miscuglio di buoni sentimenti, tecnologie all’avanguardia e soluzioni estetiche popolari – costituisce il brodo di cultura dell’immaginario visivo delle giovani generazioni.

Si affermano così due principi fondamentali di quella che consideriamo “media education non tecnocratica”.

Il primo è il primato del significato sullo strumento: lavorare in quest’ottica significa infatti ragionare sul problema del senso che produciamo attraverso le tecnologie di cui disponiamo. Non è cosa da poco, in un mondo in cui si afferma il valore delle tecnologie in quanto strumenti di per sé utili, senza essersi prima interrogati sull’opportunità del loro utilizzo e della loro stessa presenza. Una situazione, questa, che ormai non riguarda semplicemente il mondo fuori dalla scuola – dominato da interessi commerciali e politici tanto pervasivi quanto oscuri e ambigui, ma investe in pieno la realtà della formazione e dell’educazione, come ampiamente dimostrato dai progetti del PNRR.

Il secondo è l’ordine logico fra comprensione e produzione, che rimette al primo posto le operazioni di lettura e decodifica dei testi: detto in parole semplici, insegna che prima di produrre un video significativo (girare e montare) è necessario un serio lavoro di progettazione (ideazione di un soggetto e stesura di una sceneggiatura). Saper smontare, quindi, viene prima di saper montare: il che non è poco in una realtà come quella della scuola attuale, nella quale si esalta ben oltre il ragionevole la capacità di “saper fare” e si tende spesso a concepire la possibile esistenza di una “competenza” senza le necessarie conoscenze.

Le esperienze dei gruppi

L’attività laboratoriale, nel breve tempo concesso, ha puntato essenzialmente su due livelli: 1. L’analisi di uno spot costruito appositamente per suscitare una partecipazione esclusivamente emozionale e la successiva demistificazione del messaggio, 2. La programmazione di un’esperienza didattica in uno specifico ordine (o tipologia) di scuola, in un preciso anno di corso, con la definizione di finalità e obiettivi da perseguire (nella loro dimensione disciplinare o multi/ interdisciplinare).

Per analizzare il sistema della formalizzazione dell’emozione attraverso l’immagine è stato utilizzato, in quanto prodotto esemplare, lo spot di Esselunga La pesca.

L’approccio all’esperienza didattica è stato ampiamente condiviso, pur senza bisogno che fosse stato stabilito a priori: tutti i gruppi hanno definito finalità e obiettivi in relazione alle stesse dimensioni dell’insegnamento/ apprendimento: analisi del testo e sua comprensione approfondita; dialogo fra i linguaggi e i testi; costruzione di una comunità ermeneutica e socializzazione delle ipotesi di interpretazione e ricerca.

L’analisi del testo visivo ne ha messo in luce, anche servendosi delle categorie narratologiche e delle figure retoriche, le dinamiche interne realizzate attraverso le inquadrature, la costruzione del punto di vista, il focus su particolari dissonanti, il ruolo simbolico assunto da alcuni particolari e il sistema dei personaggi. Condividendo l’obiettivo di riflettere sulla possibile natura mistificatoria del messaggio, tutti i gruppi hanno condiviso l’assoluta incongruenza, rispetto al narrato analizzato, della frase finale che, magicamente, viene assunta, invece, come indiscutibile verità, proprio perché collocata alla fine, come sugo della storia o come morale della favola. Evidente, perciò, è risultata la forza evocativa della forma, utile a nascondere, attraverso l’onda emotiva, l’interesse economico esplicito, addirittura conosciuto a priori trattandosi di uno spot pubblicitario. Lo scarto, rispetto al passato (sono stati infatti proposti anche riferimenti ad altre epoche storiche del linguaggio visivo e televisivo), è rintracciabile nel fatto che ad essere pubblicizzata non è una merce, ma un brand che garantisce la qualità delle merci vendute: l’unica buona pesca sentimentale si può comprare in ogni supermercato Esselunga. In fase di programmazione di un’attività i vari gruppi hanno esplicitato, secondo la consegna, vari ordini di scuola e diverse classi in cui realizzare percorsi che potessero coinvolgere insegnanti di altre materie (la più citata risulta essere Storia dell’arte), o che riguardasse, più inclusivamente, l’insegnamento trasversale e multidisciplinare, o infine che fosse relativo allo specifico disciplinare degli insegnanti di lettere e riguardasse, oltre la Letteratura italiana, il Latino e la Storia. In questo senso, pur in presenza di un campione ristretto di esperienze e di una comune impostazione metodologica, è stato possibile individuare tre ipotesi di lavoro: percorsi legati alla centralità dell’analisi testuale e allo sviluppo di abilità critiche/ interpretative; percorsi di approfondimento tematico, molto aperti in direzione interdisciplinare; attività mutlidisciplinari declinate in prospettiva di Educazione Civica. L’auspicata acquisizione finale comune è sembrata ai partecipanti ai gruppi la capacità di leggere i testi visivi, decodificando correttamente i dettagli ed i messaggi espliciti, e demistificando i messaggi impliciti.

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