A cosa serve la letteratura? Note a margine dell’Addio ai monti
LN si prende una pausa estiva. Nel prossimo mese e mezzo ripubblicheremo alcuni articoli usciti quest’anno. Auguriamo a tutti i nostri lettori e lettrici buone vacanze. Ci rivediamo i primi di settembre.
A che serve la letteratura? Perché io mi ostino a credere che sia sempre più necessaria? Più passa il tempo più mi trovo a non avere una risposta netta e univoca: so quello che vale per me, ma non trovo una spiegazione assoluta e il tutto si complica se penso al suo senso in classe oggi, in un mondo così liquido o orizzontale. Un tempo credevo che proprio la sua inutilità fosse segno di quanto ci fosse necessaria, ma mi rendo conto che è retorica anche questa e certo non una risposta; non mi convince appieno nemmeno chiamare in causa bellezza e piacere perché spesso le due cose arrivano dopo molto tempo e sono frutto di mediazione. Per trovare bellezza e piacere nella Commedia ho dovuto leggerla e rileggerla più volte, spaccandomi la testa sopra, e certo bellezza e piacere sono stati frutto anche di percorsi accidentati; senza considerare il fatto che certe opere ti aprono voragini dentro, altro che piacere.
Se penso ai miei studenti, poi, la faccenda si complica.
“Ma che te ne importa di Ser Ciappelletto!”: quasi urla uno studente a un altro durante l’intervallo, senza accorgersi che stavo in classe, o forse proprio per questo. “Ma è divertente” ha risposto lui. Certo, io ho sempre idea che le cose serie per loro stiano dentro logaritmi, equazioni, sistemi, ma sorrido della semplicità della risposta: sì Ser Ciappelletto è divertente e la lezione era filata via liscia con soddisfazione di tutti.
Forse il senso della letteratura è proprio nel percorso di conoscenza che suggerisce, nella rete di legami che tesse, nella possibilità di vivere altre vite e di interrogarsi, nella connessione con milioni di lettori, competenti e non, nello strumento di evasione che può garantire. Oppure, semplicemente, ha così a che fare con il nostro bisogno di narrazione che spiegarne il senso è inutile, come succede per il respiro.
Però capita talvolta in classe che il significato emerga, diventi concreto e renda palese quello che prima era confuso: a me è successo con l’Addio monti.
L’addio monti: prima lettura, far risuonare il testo
La luna entrando per lo spiraglio illuminò la faccia pallida e la barba d’argento del padre Cristoforo che stava qui dritto in aspettativa (Promessi Sposi c. VIII).
Ho iniziato la lettura della sequenza da qui, da questa luna che è sempre presente nei momenti topici del romanzo e che avevamo visto la prima volta in casa di Tonio quando la povera polenta bigia versata dal paiolo pareva una piccola luna in mezzo ai suoi vapori. Come in un quadro di Caravaggio, la luce pallida della luna filtra dalla porta e illumina padre Cristoforo, l’unico che può aiutare, la luce nel buio: grazie a lui Renzo, Lucia e Agnese troveranno una via di fuga e un ricovero sicuro. Prima però c’è da attraversare il fiume allo sbocco del Bione: oggi il torrente ha un corso diverso (è stato deviato nel 1846) ma al tempo di Manzoni era uno dei tre affluenti dell’Adda. Il tratto che attraversano è breve, il lago è calmo e non tira un alito di vento. Ho la fortuna di abitare a Como e di poter chiamare alla memoria l’ambiente: i miei studenti sanno cosa voglia dire quando il Lario è liscio e piano, nero che sembra inchiostro, appena mosso dalla luna tremolante che si specchia nelle acque; c’è quest’aria malinconica e greve, su cui poggiano le montagne a picco nell’acqua che paiono quasi sentinelle arcigne. Una delle caratteristiche del lago è la lentezza, la calma, il mondo che sembra sempre uguale e incantato: lo sguardo di Lucia dalla barca ha questo andamento placido, ma, come spesso succede alle persone che sul lago ci vivono, il tumulto è tutto dentro, nascosto e invisibile, vissuto segretamente.
In questa prima lezione sull’Addio monti ho semplicemente letto, cercando di far risuonare le parole prima come suono e poi come significato e, semplicemente, riformulando le frasi più complesse: questa lettura è stata funzionale alla prima comprensione.
Mentre leggevo, il grosso della classe ascoltava un po’distratto, lasciandosi scivolare le parole: probabile facesse loro sorridere la disperazione di una ragazza che si trova a passare dall’altra parte del lago, che rimpiange casa, matrimonio e chiesa e per la quale Monza (che sta a 30 km) rappresenta il mondo oscuro e ignoto. La Lucia manzoniana quando hai sedici anni affascina ma resta lontana, indecifrabile, i moti di rabbia di Renzo li avevano colpiti maggiormente. Eppure in mezzo a quest’attesa del suono della campana, tre studenti hanno fatto qualcosa di diverso: hanno smesso di seguire sul libro e mi hanno ficcato gli occhi in viso senza toglierli più, quasi respirando le parole di Manzoni.
“ Prof ma questa è la storia dei miei genitori! Stasera glielo faccio leggere. Lo sa che mio papà non vede l’ora di comprarsi una casa in Marocco?”
“ Mio papà adora stare qui, dice sempre che è la sua seconda casa, ma io mi accorgo quando pensa all’Argentina: la sua testa prende il volo!”
Sbottano quasi all’unisono al sentire la storia di chi lascia la sua casa in cerca di fortuna e di fronte agli strabilianti monumenti della città nuova non fa che pensare alla sua casa lontana.
Lei invece non dice niente, mi guarda da sotto un su e dopo un po’ sussurra accarezzandosi le spalle: “Avevo i brividi” e guarda fuori dalla finestra.
Addio Monti: seconda lettura, leggere per scrivere
A questo punto ho riletto il brano soffermandomi sulla struttura del testo, sulle scelte lessicali e stilistiche, sui personaggi: la rilettura è stata funzionale alla scrittura, avevo, infatti, proposto ai ragazzi di scrivere un proprio Addio, prendendo Manzoni a modello.
L’Addio monti celebra un distacco, un abbandono ingiusto e carico di sofferenze: i luoghi, immersi nella solenne quiete della natura, vengono passati in rassegna con lo sguardo del ricordo, osservati non nella loro oggettività ma per la relazione che i personaggi instaurano con essi, il narratore esterno ci offre prima tanti particolari ravvicinati, poi il punto di vista passa ai personaggi e infine a Lucia, che si sovrappone per lessico e sensibilità al narratore stesso. Per aiutare i ragazzi a individuare il luogo intorno cui ciascuno avrebbe costruito il proprio addio ho proposto questo schema, che ho prima esemplificato sul testo di Manzoni, poi su un esempio creato da me ad hoc.
Luogo scelto ……Olate………..
Singoli momenti legati a questo luogo Quando tutte le sere aspettava l’arrivo di Renzo Casa di Renzo guardata di lontano arrossendo Chiesa in cui è stata felice e in cui avrebbe dovuto sposarsi | Descrizione dell’ambiente guardando dall’alto in basso Monti Torrenti Villaggi, case, capanne, palazzotto di Don Rodrigo Casa di Lucia Casa di Renzo Chiesa |
Elementi legati al tatto/vista/ gusto/udito Lago liscio e piano Tremolare e ondeggiare della luna Fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie Gorgoglio L’onda segata dalla barca Palazzotto Casupole | Intenzioni (cioè qual è l’obiettivo del narratore nella scelta di questo luogo e di questo addio) Pausa narrativa Momento lirico Sottolineare il dolore e l’ingiustizia per il distacco |
Le successive lezioni di scrittura hanno interessato:
- La struttura dell’incipit in terza persona che prevede la descrizione dell’ambiente (giorno/notte/condizione atmosferica), l’elenco dei luoghi visti per l’ultima volta e delle conseguenze che provoca in chi guarda (Lucia rabbrividì)
- La descrizione di un gesto che costituisce il momento che dà inizio all’addio (posò il braccio sulla sponda, posò sul braccio la fronte, come per dormire, e pianse segretamente)
- La descrizione dall’alto verso il basso, l’uso dell’aggettivazione (la forma aggettivo + nome la superficie azzurra, la dittologia liscio e piano) e del tricolon (si distinguevano i villaggi, le case, le capanne) e gli effetti che determinano nel lettore
- L’anafora di addio cui seguono la descrizione di oggetti o ambienti a cui si dà addio con lo scopo di raccontare qualcosa di sé e inserire considerazioni sul presente o sul motivo dell’abbandono (addio casa natia, dove sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de passi comuni il rumore di un passo aspettato con misterioso timore)
- L’uso della forma impersonale (dove s’imparò a distinguere)
- Il finale in cui il narratore riprende il filo (di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia)
Aver attraversato il testo da lettori e da scrittori ha permesso agli studenti di leggerlo e rileggerlo più volte, di farne modello formale di scrittura e guida all’analisi della relazione personale con un luogo. La lettura e la scrittura si sono svolte in circa due settimane, per un totale di circa sette ore
A che serve la letteratura: una risposta
Ho corretto i testi e in mezzo ad addii a palestre, case dei nonni, luoghi dell’infanzia, scuole e via dicendo c’è un addio diverso da tutti gli altri e che, forse, fornisce la risposta alla domanda da cui siamo partiti. E questa volta i brividi sono i miei.
Addio uccelli d’estate
L’aria calda e la rugiada sull’erba avvisavano dell’arrivo del mattino. La frescura della notte mano mano spariva, svegliando le nuvole, gli uccelli e le piante. Gli ultimi fiori ballavano insieme al vento e si muovevano al ritmo delle mani dei bambini che salutavano gli amici. I cespugli alti e larghi che poco prima erano sembrati quasi dei muri per nascondere la casa dal mondo reale, adesso apparivano soltanto una culla per fiori bianchi e sonnolenti. Il cancello azzurro del giardino era aperto con una tristezza nascosta, come se non volesse più invitare i bambini a giocare, come se non fosse del colore del cielo d’estate. La casa non dormiva e sembrava l’unica sveglia tra tutte quelle del villaggio.
Lo sguardo di Genika correva da un oggetto all’altro, dai fiori eleganti, all’altalena, dall’albero alto e misterioso al garage oscuro e ai rami d’uva che coprivano la veranda della casa. Per qualche momento alla ragazza era sembrato che tutto quello che la circondava si fosse svegliato prima del previsto solo per lei, per salutarla per l’ultima volta e poi cadere in un sogno infinito. Il canto improvviso degli uccelli la spaventò: sembravano la voce del villaggio poiché cantavano in modo diverso dai loro parenti lontani in città.
Solo qui, nella casa della bisnonna, gli uccelli da sempre cantavano per le bambine, sincronizzandosi con il vento e dando loro il benvenuto alle cinque del mattino, quando portavano sulle proprie ali la giornata nuova, le scoperte e i giochi.
Quel giorno, però, la mattina non era ancora arrivata; anche loro, quindi, erano giunti prima del previsto, soltanto per dire il proprio addio. La ragazza, chiudendo gli occhi mentre ascoltava il canto disperato, rispose.
Addio garage oscuro ma generoso, che nascondeva i propri segreti offrendoli uno per uno alle bambine curiose per mantenere e far crescere il loro entusiasmo con scoperte piccole ma piene di storia. Dormi coraggiosamente sotto le sirene d’allarme come se fossero soltanto una ninna-nanna.
Addio albero grande e saggio che ospitava le altalene, le capanne, le chiacchiere e le facce arrossate. Dormi sotto le bombe che volano nel cielo vicino a te, come sotto una coperta e come se non potessero mai colpirti.
Addio casa azzurra con una veranda dal profumo di uva matura, sempre pronta ad ospitare tutti, insieme alle risate, alle battutacce, ai piatti tradizionali.
Addio veranda che abbracciava sempre le ragazze con le proprie tende morbide e calde nei momenti di difficoltà.
Dormite soli e abbandonati.
Dormite e sognate ancora le bambine sorridenti che giocano, gridano e cantano le loro canzoni insieme agli uccelli d’estate
Genika prese la sua valigia, chiuse il cancello e iniziò a camminare. Tutto divenne silenzio.
In due anni, dei cinque da quando è arrivata a Como, non aveva mai parlato di casa sua, dell’Ucraina e della fuga in Italia, né io avevo chiesto, per pudore, rispetto e attesa. In due anni, giorno dopo giorno, si è appassionata alla lingua e alla letteratura italiana, da appassionata di libri e scrittori russi.
Riconsegno il testo e mi dice: “Volevo ringraziarla perché grazie a questo lavoro sono riuscita a dire addio a quella casa, non ci ero mai riuscita, non ne avevo mai parlato, nemmeno tra me e me. Siamo andati via dall’Ucraina prima di poterci tornare e io mi sono sempre sentita in colpa. Questo testo di Manzoni mi ha aperto una porta che avevo tenuto chiusa per tanti anni.”
A questo punto la domanda “A che serve la letteratura?” torna a far capolino nella mia testa, insieme alla risposta: questo può fare la letteratura, darci parole, darci voce, farci sentire umani e aprire porte. Non mi pare poco.
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