L’ombra di Zaza nelle scritture di esordio di Simone de Beauvoir
ll 7 marzo 2022 si è tenuto all’Università di Pisa il Seminario d’Interpretazione Testuale dedicato alla presentazione del libro di Sandra Teroni, Simone de Beauvoir. Percorsi di vita e di scrittura (Donzelli, 2021), con interventi di Alessandra Ginzburg e Iacopo Leoni. L’intervento di Alessandra Ginzburg (di cui l’autrice ci ha gentilmente fornito una versione rielaborata) riguarda il complesso rapporto con Elizabeth Zaza Lacoin che Simone conobbe all’età di dieci anni e che durò fino ai ventidue, quando la giovane morì all’improvviso, nel 1929: le tracce di questa enigmatica relazione sono presenti in diverse opere di de Beauvoir, e soprattutto in Le inseparabili, il romanzo pubblicato postumo nel 2020 da Sylvie Le Bon, figlia adottiva di De Beauvoir.
Sulla vita personale e sulla formazione intellettuale di Simone de Beauvoir ha avuto una fondamentale importanza la dolorosa vicenda di Zaza, la sua grande amica degli anni giovanili, morta prematuramente. Ne è testimonianza il racconto rimasto a lungo inedito Le inseparabili pubblicato nel 2020 da Ponte alle Grazie.
Nella postfazione la curatrice del racconto, Sylvie Le Bon, figlia adottiva di Simone, spiega la storia del testo scritto nel 1954 e non pubblicato dietro suggerimento di Sartre e illumina la qualità dei cambiamenti rispetto alla versione più nota, contenuta nelle Memorie di una ragazza perbene, del 1956, che si conclude con una frase enigmatica: “Insieme avevamo lottato contro il destino melmoso che ci aspettava al varco, e per molto tempo ho pensato che avevo pagato la mia libertà con la sua morte.” (p.368)
Le ipotesi suscitate da queste parole sono molte, ma prima di formularle è necessario ricostruire brevemente i fatti che hanno segnato un incontro così importante nella scelta di dedicarsi alla narrativa da parte di Simone de Beauvoir, anche se il tentativo di “resuscitare” Zaza, come lei stessa lo definisce, ripetuto più volte negli anni, sembra destinato a lungo a fallire. Volendo affrontare le precoci esperienze di scrittura letteraria di Simone de Beauvoir è dunque necessario ripercorrere, seguendo la narrazione che Simone ne fa nelle Memorie di una ragazza perbene, gli elementi cruciali che l’hanno determinata.
L’incontro: un’amicizia a fasi alterne
Zaza, che Simone incontra a dieci anni nella scuola privata Désir, la colpisce immediatamente al cuore. Il suo è un vero e proprio innamoramento – anche se non gli dà questo nome che assai più tardi – per quella ragazzina bruna e scavata in volto, che da subito la sorprende per la franchezza e il modo diretto di comunicare con gli adulti, a differenza di Simone, più incline al silenzio come espressione del suo distacco emotivo dai genitori e dalle loro idee. Per anni il loro è un rapporto puramente intellettuale, in cui si parla soprattutto di libri, e apparentemente formale: quel vous che lo distingue dalle altre amicizie e che Simone subisce con sofferenza. Il loro è un continuo confronto competitivo sul rendimento scolastico. La differenza si manifesta soprattutto quando Simone è invitata a passare una vacanza estiva a casa dell’amica dove tutto per lei è inedito, dai vestiti alle abitudini sociali che riempiono le giornate. Simone si rende conto che Zaza si sente un essere eccezionale solo se si conforma ai desideri della madre, ma che, al contempo, è capace di ferirsi volontariamente una gamba con un’ascia per evitare le visite mondane a cui la madre la costringe (episodio, quest’ultimo, su cui torneremo in seguito).
Il destino di Zaza è già presente in questi comportamenti contraddittorii: i suoi gesti autolesivi testimoniano un malessere che trova modo di esprimersi solo attraverso l’azione. Infatti, prima ancora di incontrare Simone si era bruciata una gamba e aveva dovuto subire una lunga degenza a letto. La determinazione con cui Zaza agisce utilizzando il suo corpo come strumento inascoltato di comunicazione rende evidente il conflitto a cui non riuscirà più tardi a dare una risposta, diversamente da Simone che riuscirà a distaccarsi dal proprio nucleo famigliare.
Là dove Simone a quindici anni decide in autonomia di abbandonare la fede e pagherà questa rinuncia con un terribile senso di solitudine e con il terrore della morte che l’accompagnerà per sempre, Zaza pratica seriamente una religione che la lega fortemente alla madre, da cui si sente trascurata rispetto ai fratelli. La fede come unico territorio veramente comune fra loro predispone Zaza a non liberarsi dal giogo imposto dalla madre, la cui unica preoccupazione per le figlie è un matrimonio socialmente accettato.
Quello che apparenta invece il futuro di Simone e di Zaza è la lotta comune che devono affrontare per completare i due baccalauréat e proseguire gli studi frequentando dei corsi universitari purché non siano quelli della Sorbonne, considerati pericolosi, per motivi diversi, da entrambe le famiglie. In questa fase del loro sviluppo Simone è avvantaggiata dalla scelta di dedicarsi a qualunque prezzo agli studi, una decisione autoimposta che la mette in grado di affrontare qualunque sacrificio per poter un giorno dedicarsi alla filosofia, senza che questa scelta significhi rinunciare alla sfida onnipotente dichiarata fin dall’infanzia: diventare una scrittrice famosa.
Per qualche tempo queste novità le allontanano. Zaza non si piega alla volontà di Simone, che in quegli anni (1926 e 1927) attraversa quelle che definisce le notti oscure dell’anima e si sente ancora nella gabbia famigliare pur essendone apparentemente uscita. La solitudine la porta ad idealizzare Jacques, un cugino che le consente nuove esperienze culturali, senza tuttavia mai proporsi a lei quale innamorato. Ciò nonostante Simone, la cui vita immaginaria è all’epoca dominante, fantastica di sposarsi con lui, prima ancora di fare altri incontri ben più appaganti che la rendono consapevole della sua inconcludenza.
Esperienze simili comunque le riavvicinano: Zaza le scrive lettere febbrili sull’amore contrastato per un cugino da cui verrà separata inesorabilmente dalla madre, Simone sente in lei l’ideale platonico di una vera amicizia, mentre per Zaza lei rappresenta l’unico legame con la vita intellettuale che le vien concesso dalla tirannia materna.
Il 1928 è un anno decisivo per le traiettorie delle due giovani donne. Simone ha grandi successi negli studi e comincia ad avere delle amicizie maschili, fra cui Merleau- Ponty (Pradelles nelle Memorie) anche lui come Zaza proveniente da una famiglia fortemente cattolica. Insieme loro tre giocano a tennis la domenica. Fra i due Simone vede nascere un amore che le sembra non dovrebbe dispiacere alla madre di Zaza. Intanto il gruppo strettissimo costituito da Sartre, Nizan, Herbaud attrae Simone che vuole assolutamente farne parte. È Herbaud ad introdurla e a soprannominarla “Castor” perché come i castori lavora indefessamente ed è costruttiva.
Quando nel 1929 la terribile madre di Zaza la spedisce a Berlino per separarla da Merleau–Ponty, Simone è sempre più presa dai nuovi amici. Passa l’agrégation arrivando seconda e si installa, finalmente libera, a casa della nonna. Dirà di sé in anni successivi, per motivare la forte attrazione intellettuale che l’attira verso Sartre, che lei era intelligente, ma che Sartre era un genio.
Nell’estate si scopre innamorata di lui che la inizia ad una sessualità desiderata quanto temuta. Zaza invece è messa sempre più in difficoltà dai divieti della madre e nelle lettere allude a colpe dei padri che ricadono sui figli, mentre Simone, presa dalla nuova vita così stimolante, non capisce la situazione drammatica in cui si trova l’amica ed è sicura che tutto si possa accomodare con un matrimonio che dovrebbe avere tutti i requisiti richiesti. In realtà la madre di Zaza ha scoperto che Merlau-Ponty e la sorella non sono figli del padre legittimo e minaccia uno scandalo. Per Zaza è la fine: il conflitto fra l’amore per la madre e quello per Merleau-Ponty che a sua volta si mostra incerto e non vuole sposarsi così presto per ragioni famigliari, diventa per lei, così intensa nei sentimenti, un impedimento intollerabile. Dopo una visita alla ignara madre di lui in cui inizia a delirare, Zaza viene portata in una clinica dove muore pochi giorni dopo in circostanze poco chiare: c’è chi parla di una encefalite e chi pensa ad una sua esposizione volontaria al gelo notturno.
Simone attribuisce la colpa di questa morte soprattutto alle esitazioni di Merleau -Ponty e per diverso tempo smette di frequentarlo, ma la verità è che lei stessa ha abbandonato Zaza nel momento del bisogno perché troppo presa dal legame con Sartre che le offre una qualità di ascolto mai sperimentata prima.
Le trasfigurazioni letterarie di Zaza
A quei tempi, come osserva Simone nelle Memorie, Freud e la psicoanalisi erano da lei e da Sartre ignorati. In Essere e il nulla Sartre propone addirittura l’inesistenza dell’inconscio ed elabora il progetto alternativo di una psicoanalisi esistenziale. Simone ovviamente lo segue e non sembra in grado di esaminare in maniera più approfondita l’inevitabile senso di colpa nei confronti di Zaza. Il 1929 significa per lei la simbiosi con Sartre, l’esperienza di insegnamento che inizia a Marsiglia, una libertà mai provata che spostano, almeno in apparenza, i suoi pensieri altrove.
Eppure come spiegare la scelta ostinata, quasi ossessiva, di raccontare la storia di Zaza, ribattezzata Anne nelle prime opere letterarie da lei intraprese, se la colpa di averla abbandonata per conquistarsi la felicità non si presentasse ad un livello profondo? Il suo progetto esplicito è di “resuscitare” Zaza mediante la scrittura.
Nel secondo volume di memorie, L’età forte, qualche traccia porta ancora l’impronta di Zaza. Nonostante che nel 1929 il futuro le sembri radioso, a Simone sono rimasti pochi amici. Nel libro spiega il desiderio di dedicarsi alla scrittura in questi termini: “Pensavo, inoltre, che per rappresentare lo spessore del mondo è bene tessere insieme diverse storie. Il mio passato me ne proponeva una che mi appariva tragicamente romanzesca: la morte di Zaza. Mi misi a raccontarla.” (L’età forte, Einaudi, 1961, p.94)
In questo primo tentativo, Zaza diventa Anna, sposata ad un marito che le impedisce di sviluppare le sue doti di musicista. “Combattuta tra il suo amore, il suo senso del dovere e le sue convinzioni religiose, e dall’altra parte, dal suo bisogno di evasione, Anne moriva.” (Ivi)
Il difetto principale del proprio romanzo è, per Simone, la mancanza di una costellazione, di una storia, quella appunto di Zazà, e “una devozione verso sua madre di cui un amore coniugale non poteva affatto fornire l’equivalente” (Ivi). E ancora:
Il mio errore fu di separare questo dramma dalle circostanze che gli conferivano la sua verità. Ne mantenevo da una parte il senso teorico – il conflitto fra la sclerosi borghese e la volontà di vivere- e dall’altra parte il fatto bruto: la morte di Zaza.” (ibidem p.95)
Come si può notare la colpa ora è attribuita a una mentalità più che ad una singola persona.
In una ennesima prova, sempre riferita al tentativo di resuscitare Zaza, questa volta chiamata Anne, la protagonista ha una relazione profonda ma platonica con l’amico Pierre, ma il marito non accetta il suo aprirsi alla vita intellettuale. “Come nel romanzo precedente, dilaniata tra il dovere e la felicità, essa moriva.” (Ibidem p.137) Pur considerando i progressi fatti, Simone si rende conto di avere ancora una volta fallito, tradendo Zaza, con un intreccio le cui motivazioni non ne rendono plausibile la morte. È un fatto che in ambedue i testi la grande assente è la figura di una madre possessiva eppure molto amata, come chiave di volta del dramma.
Simone tuttavia non demorde, e coltiva un progetto più ambizioso: sei storie di donne protagoniste di altrettanti racconti, le cui vite si intrecciano in vari modi. I personaggi chiave sono Anne e Chantal, un’insegnante in cui si fondono le figure di Simone e quella di una collega da lei poco amata. Il libro, rifiutato da Gallimard, esce soltanto nel 1979 ed è intitolato Quand prime le spirituel. Certamente non si può definire un’opera riuscita: troppo evidente risulta il progetto ideologico di colpire l’uso prevaricatore della fede. In particolare il personaggio di Chantal, in buona parte ricalcato sulla figura di un’altra insegnante ai tempi di Marsiglia, tradisce involontariamente aspetti fortemente narcisistici appartenenti all’autrice. Zaza, a sua volta, mimetizzata come sempre dietro il nome di Anne, conserva alcuni tratti reali, mescolati però ad una personalità fragile che Chantal cerca di manipolare non meno di quanto faccia la madre. La narrazione fa pensare ad un tiro alla fune fra queste due figure in cui Anne non esprime sé stessa se non attraverso gesti clamorosi (come il tuffarsi nel fiume o il ferirsi con l’ascia) che risultano anche in questo caso contradittori rispetto alla descrizione che Chantal nel suo diario fa del personaggio, di fatto succube dei suoi interventi autoritari. Anche Merleau-Ponty, che qui si chiama Pascal Drouffe, viene dipinto come un essere privo di volontà, fondamentalmente irresoluto e incapace di cogliere le richieste di aiuto di Anne. La loro unione è sollecitata da Chantal, il cui fine è dichiarato esplicitamente: “strappare Anne al suo ambiente, distruggerne i pregiudizi, farne una donna libera e felice”. (Ibidem p. 200). Nel romanzo il conflitto di Anne sembra soprattutto riferito a una scelta che non è in grado di compiere fra la madre e l’amica desiderosa di imporle il suo punto di vista.
Nel 1954 Simone scrive Les inséparables, bocciato da Sartre perché troppo legato alla concretezza della realtà: qui la storia di Zaza acquista finalmente uno spessore ed una coerenza che giustifica l’ossessione con cui Simone ha cercato a lungo di rappresentarla. Le due protagoniste sono Sylvie e Andrée, che rappresenta Zaza. Benché i fatti narrati non siano del tutto dissimili da quelli evocati nelle Memorie, sono i sentimenti ad essere nominati con il loro nome autentico. Andrée parla in modo esplicito del cugino, Sylvie una notte le confessa il suo amore, ma dopo questa confessione osserva che i suoi sentimenti sono mutati: Zaza non è più “il suo tutto”. Si direbbe addirittura che i ruoli fra le due amiche siano rovesciati. Anche l’idillio con Pascal viene anticipato e ha molto più spazio nel racconto, così come la figura della madre di Andrée: nel conflitto che la tormenta “tenere testa alla madre significava forse rivoltarsi contro Dio stesso” (Ibidem p.110). L’episodio della ferita con l’ascia viene invece posticipato e avviene quando Sylvie è sua ospite. La ripetizione costante in quasi tutti i testi precedenti dell’episodio del ferimento con l’ascia nasconde un mistero che recentemente Gabriella Bosco ha svelato (“Les inséparables” di Simone de Beauvoir: un interessante errore di lettura in Studi francesi, 193, 2021):nella lettura della riproduzione grafica del testo originale di una lettera di Andrée si scopre che il 3 settembre 1927 Zaza ha scritto a Simone di essersi ferita volutamente con una bêche cioè una vanga e non con una hache ben più pericolosa. Lettura sbagliata di Simone o bisogno di enfatizzare il gesto che l’aveva tanto colpita? Non c’è dubbio che il desiderio di morte di Andrée sia posto in primo piano a più riprese. Morta, Andrée appare come una mummia e la descrizione del suo corpo scarnificato corrisponde quasi letteralmente a quella delle Memorie di una ragazza perbene che segnano la fine, almeno apparente, di una ossessione.
Eppure, se torniamo alla conclusione enigmatica delle Memorie, forse la verità più profonda presuppone anche per Simone la necessità della sparizione (proprio come avviene ne L’invité)di questo altro da sé più spontaneamente libero e vitale, forse sentito come un ostacolo alla sua assoluta simbiosi con Sartre.
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