Skip to main content
Logo - La letteratura e noi

laletteraturaenoi.it

diretto da Romano Luperini

Mulino bianco barilla toscana

Eroi, narcisi, clienti. Riflessioni psicolinguistiche sull’immaginario pubblicitario, ai tempi del virus

 “I persuasori occulti” fu scritto da Vance Packard nel 1957, ma il suo studio dei meccanismi della comunicazione pubblicitaria conserva una grande attualità, perché fonde in un approccio originale i metodi del giornalismo classico, della sociologia, della psicologia. Nella pagina conclusiva si leggono queste parole:

È evidente che il problema, invero molto vasto, di elaborare un rapporto accettabile tra un popolo libero e una economia in continua espansione non potrà essere risolto se non nel corso di qualche decennio. Nel frattempo, sarà bene considerare seriamente i problemi più limitati che pongono i comportamenti ambigui e aggressivi di certi manipolatori, inclini a trarre vantaggio dalle nostre irrazionalità e debolezze per influenzare il nostro comportamento. Voglio ammettere che, per mantenere in efficienza la nostra immensa macchina economica, è necessario sottoporre il cittadino a una certa pressione, né intendo levarmi contro i buoni-premio, le facilitazioni rateali o altre simili esche. Ma sono convinto che la nostra economia può benissimo continuare a espandersi senza psicanalizzare i bambini o far leva sulle paure che gli adulti cercano di tenere segrete. (…)

Talvolta è più piacevole o più facile essere illogici. Ma preferisco essere illogico di mia volontà, senza che nessuno mi ci induca con l’inganno.

Il sopruso più grave che molti manipolatori commettono è, a mio avviso, il tentativo di insinuarsi nell’intimità della mente umana. È questo diritto all’intimità della mente – il diritto di essere, a piacere, razionali o irrazionali – che, io credo, abbiamo il dovere di difendere.

Nel solco della riflessione di Packard, che si chiede quale possa essere il punto di equilibrio fra pervasività della comunicazione pubblicitaria e libertà del cittadino consumatore, ho provato ad immergermi nell’immaginario pubblicitario di questi giorni di crisi.

Ho raccolto e studiato alcuni blocchi di comunicazioni commerciali sulle reti più popolari (Rai1 e Canale5), nei giorni 10, 11 e 12 aprile, nelle fasce orarie frequentate da un pubblico più variegato (tarda mattinata e pomeriggio). Si è definito così un corpus di testi/ marchi ricorrenti, che qui elenco in rigoroso ordine di apparizione: MD, Vodafone, Lindt, Lidl, Infinity, Esselunga, Prosciutto di Parma, FCA, Pasta Molisana, Enterogermina, Findus, Barilla, Eni, Monge, salumi Beretta. Ad alcuni di essi invio talvolta, in punti salienti del discorso, tramite link.

Ho poi utilizzato un approccio simile a quello proposto nell’attuale tipologia B dell’esame di Stato: dapprima cercando di comprendere in modo obiettivo e preciso alcuni elementi fondamentali dei testi analizzati (nei successivi punti 1/ 3); in seguito tentando un’interpretazione critica (ai punti 4/ 6); infine ho raccolto alcune idee in una conclusione assolutamente provvisoria (punto 7).

L’esperimento non ambisce all’oggettività di una ricerca scientifica, ma spero non sia privo di interesse e di stimoli.

1. RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE

Negli spot analizzati, prevalgono due aree semantiche: il cibo e la cura di sé; la condivisione e la comunicazione.

L’ambientazione è prevalentemente domestica, ed è molto importante l’antitesi interno/ esterno; quest’ultimo è caratterizzato da una proiezione ideale nel patrimonio comune della tradizione ( le immagini di giardini e campi lavorati, associate ai prodotti alimentari), o dall’aspettativa di un futuro prossimo di ritorno alla normalità (nello spot di Monge, ad esempio, la famiglia che si tiene per mano, correndo sulla spiaggia). L’interno è pulito, ampio, sereno, luminoso; l’affollamento, dovuto alla presenza di molte persone e animali, si risolve in un’allegra collaborazione e in un pieno rispetto degli spazi altrui. La parola “insieme” definisce l’ambito della convivenza fisica, lo slogan “anche quando non possiamo stare vicini, possiamo essere insieme” caratterizza la comunicazione a distanza, in contesti sempre attrezzatissimi sul piano tecnologico, dove non esiste digital divide, e non è possibile essere privi di supporti e strumenti; ne costituisce un esempio perfetto uno qualsiasi degli spot Vodafone.

Le vicende di casa manifestano, in quest’universo immaginario, quelle locali e nazionali, sempre caratterizzate da armonia e comunanza d’intenti. Che si tratti di integratori, antiacidi, prodotti per animali, pasta o salumi, telefonini e tablet, poco cambia: il vocabolario è costituito da parole ed espressioni come “gli italiani sanno rispettare le regole”, “il Sole dell’Italia”, “ognuno fa la sua parte”, “non arrendersi”, “puro”, “tenace”, “coraggioso”, “non mollare”, “in silenzio”, “resistere”, “veri”, “responsabili”, “seri”, “grazie”. Questo sfondo profondamente narcisistico viene occultato da un uso smodato del pronome di prima plurale: il “noi” è dappertutto, spesso accompagnato da “italiani, o decisamente sostituito dal nome della nazione.

La retorica dell’eroismo che ha caratterizzato il racconto giornalistico della lotta al virus nelle prime settimane (dalla fine di febbraio a buona parte del mese di marzo), è quasi del tutto assente in queste comunicazioni, confinata nelle frequenti richieste di donazioni che intervallano le pubblicità commerciali. Non è difficile spiegarselo: l’immaginario di questi racconti – come proverò ad argomentare nella seconda parte dell’articolo – mal si concilia con immagini di guerra, dolore, sconfitta, che porterebbero la realtà in un universo che deve esserne assolutamente privo.

2. I RICCHI E I POVERI 

L’osservazione degli spot rende evidente che, fra gli inserzionisti, ci sono enormi differenze di disponibilità economiche, e conseguentemente di risorse creative e produttive.

In generale, è facile distinguere spot “ricchi” e spot “poveri”.

Questi ultimi sono identici a quelli che esistevano prima della crisi, o corretti con la semplice aggiunta di un hashtag (ad esempio il classico “iorestoacasa”). Si tratta di comunicazioni magari costose (il cachet di Antonella Clerici per lo spot MD non è certamente basso), ma basiche e prive della concezione seriale che caratterizza invece le campagne delle grandi multinazionali; sulla base di essa, infatti, si girano più versioni di ogni spot (destinate a diversi contesti comunicativi), e si crea una continuità narrativa fra episodi della “serie pubblicitaria” che, come quelli delle popolarissime serie televisive, si susseguono a ritmo molto ravvicinato.

I costi di queste ricche produzioni sono ovviamente insostenibili, da parte di realtà produttive più piccole e con minori margini di guadagno, e questo spiega come mai le pubblicità più belle e raffinate siano quelle di grandi marchi e gruppi.

La differente fisionomia di queste forme pubblicitarie è estremamente importante, ai fini di una sua interpretazione, perché mentre i “poveri” vivono alla giornata, cercando di ottenere consenso ed adesione su messaggi momentanei, talvolta sporadici, i “ricchi” hanno come obiettivo la fidelizzazione del cliente, e la trasmissione di idee e valori di lunga durata, attraverso storie di raffinata concezione estetica.

Si tratta di produzioni all’avanguardia, soprattutto dal punto di vista dell’estetica visiva, per certi versi cinematografiche.

3. IL PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONE

In un contesto sociale dominato dall’esaltazione della “competenza” e dalla riflessione sul rapporto fra conoscenza scientifica e decisioni politiche, colpisce come gli spot considerati promuovano un approccio alla “scienza del quotidiano” superficiale e disinvolto.

Si tratta di un vero e proprio scemenzaio, legato prevalentemente alla cura di sé e in piena continuità con il “prima della crisi”, al cui interno è interessante cogliere fior da fiore.

Si comincia con le “proprietà sbiancanti dei licheni islandici”, che assicurano denti bianchi in 5 giorni grazie all’ossigeno attivo naturale. “Nell’intestino – veniamo poi a sapere – risiede il 70% del’ sistema immunitario”, che deve essere salvaguardato dal bacillus clausii (un po’ di latinorum sta sempre bene), potenziato dal selenio; in questo caso c’è anche un tocco di eroismo, perché il bacillus deve “arrivare vivo” nello stomaco, superando i temibili succhi gastrici. Più semplice la vita per Calgon, che elimina fino al 99,9 % dei batteri ad ogni lavaggio, e – in quanto a supereroismo – fa il paio con Vanish: quest’ultimo, personificazione del dio Pulito, “individua le macchie” e le elimina, con l’immancabile contributo dell’”ossigeno attivo”.

Tutte queste storie in tre soli blocchi di spot, sabato 11/ 04 su Canale5, durante la riedizione di Forum all’ora di pranzo.

Il loro significato è enfatizzato dalla cornice: la proiezione ripetuta dello spot sulle fake news prodotto da Mediaset, che invita lo spettatore ad affidarsi agli editori “veri, responsabili, seri”, di cui il marchio è garanzia.

In pratica, l’affermazione di una sorta di “principio di contraddizione”, per cui il controllo di veridicità e serietà che riguarda le notizie giornalistiche, non toccherebbe invece affatto l’universo della comunicazione pubblicitaria, regno di illusioni e giochi di prestigio tanto divertenti quanto incontrastati.

Un principio di cui si trovano evidenti tracce anche quando certi politici affrontano tematiche scientifiche e sociali di grande importanza: per un’esemplificazione pratica del concetto, vi invito a seguire le considerazioni dell’onorevole Giorgetti (dal minuto 5.15 al minuto 6.15) sul taglio della medicina di base in Lombardia.

E che ci fa rimpiangere una volta di più la fantasia di Primo Levi, che avrebbe certo raccontato da par suo il “sistema periodico” in questi spot, a partire dall’onnipresente “ossigeno naturale attivo”.

4. NARRARE FIABE AGLI UOMINI-BAMBINI

L’ambizione di ogni pubblicitario è insinuarsi nella zona di confine che è dentro ciascuno di noi, dove “reale” e “fantastico” si confondono e si sovrappongono; poi, facendo leva sulla seconda dimensione, indurci a compiere azioni nella prima: in genere, a sentire qualcosa che ci spinga ad acquistare qualcosa. Per realizzare quest’obiettivo, la rappresentazione e il racconto hanno una funzione determinante, e il linguaggio pubblicitario è terra di conquista dello storytelling contemporaneo.

Ebbene, le storie raccontate dagli spot più lunghi, costosi e strutturati fra quelli che ho studiato realizzano questa sostituzione/surroga del reale, ad opera del fantastico, grazie a straordinari effetti di realismo e verosimiglianza.

Esemplare, sotto questo profilo, la pubblicità di Esselunga  in onda su tutti i canali in questi giorni: uno spot caldo, estremamente finzionale (a partire dall’utilizzo di una colonna sonora conosciutissima, che evoca scene di film e serie televisive, in molti spettatori), con un montaggio in cui si mescolano a effetto scene documentaristiche e momenti “reali” della vita all’interno di un supermercato. Lo spot saccheggia il repertorio di immagini che tutti vediamo in questi giorni, con un calibrato uso del tricolore, la strumentalizzazione del linguaggio infantile che “eroicizza” lavoratori e padroni, suggerendo un’idea di ordine e regolarità (nelle linee rette, nell’assenza di incroci, nelle distanze regolari, perfino fra i camion), fino al plagio della celebre immagine dell’infermiera addormentata, sostituita in questo caso da un dipendente dell’azienda che sta per crollare dal sonno.

Un messaggio molto pervasivo, il cui significato è sintetizzato dalle ultime parole che leggiamo: “Grazie Esselunga”. Naturalmente, la lettera del filmato sembra indirizzare il ringraziamento allo spettatore, ma la sua logica ne tradisce le intenzioni, riprendendo con leggerezza la retorica dell’eroismo (“supereroi”, scrive sul suo disegno, la mano di un “bimbo”), della vicinanza, del futuro che verrà.

Secondo Giovanni Valentini (“La conversione paraideologica della pubblicità”, “il Fatto Quotidiano”, sabato 11 aprile), attraverso questo genere di storie pubblicitarie affiorerebbe “uno slancio socio-pedagogico nella comunicazione pubblicitaria; un anelito alla sobrietà; un richiamo alla consapevolezza e alla responsabilità”.

A me sembra, invece, che questo genere di filmati segnali semplicemente la velocità con la quale i pubblicitari adattano la realtà alle proprie esigenze di marketing, cogliendo in tempo reale e talvolta anticipando le attese e i bisogni emotivi più profondi delle persone, e facendo leva su di esse per indurre atteggiamenti di gratitudine e sottomissione al marchio.

Forse sarò influenzato dalla lettura di Bradbury e di Philip Dick, ma la visione aerea di camion, strisce orizzontali e parcheggi evoca in me più il presagio di una distopia che il calore di una fiaba.

5. PRIVATIZZARE E VENDERE LA STORIA

Un altro interessante tratto di questa strategia comunicativa è la cancellazione dello spirito critico, ad opera di un vuoto sentimentalismo retorico.

Ne costituisce un esempio compiuto lo spot di FCA, capolavoro di sceneggiatura e regia. Sono evidenti macroscopici elementi di affinità con il video di cui ho appena parlato (dettati evidentemente anche dalla matrice culturale che accomuna le agenzie che li realizzano).

Il compito di costruire emozione è affidato all’inno nazionale, che accompagna tutto il racconto; alle immagini del vuoto delle strade e delle piazze si accompagna il pieno della voce calda che lo nega; progressivamente, si rivela il substrato storico della vicenda descritta: siamo un popolo che ha vissuto drammi e difficoltà, ma li ha sempre superati (il lessico è quello già definito in precedenza: “forza”, “orgoglio”, “rialzarsi”, “più forti di prima”). La conclusione coincide – nella logica narrativa – con l’inizio della storia unitaria: la Mole Antonelliana, Torino.

Il messaggio complessivo, però, anche in questo caso non coincide con il “detto” (“tutti insieme”), ma con il “visto”: i marchi aziendali dell’ex gruppo FIAT, ora FCA. In sostanza, secondo una filosofia inaugurata con lo spot della nuova Cinquecento, la storia stessa della nazione coincide con il marchio, guida e garanzia non solo nell’acquisto di un’automobile, ma nella “formazione del carattere” e nella distinzione fra “bene” e “male”.

Qui, dunque, assistiamo ad un altro aspetto della cancellazione della realtà, per sostituirla con un suo surrogato tanto superficiale quanto spettacolare e commovente: la privatizzazione della storia, ad uso e consumo di un’azienda commerciale.

6. SOSTITUIRE LA RAGIONE CON IL SENTIMENTALISMO

Una terza mossa di questa strategia commerciale travestita da messaggio civile e solidale, per la verità onnipresente e quindi ben percepibile anche nei testi studiati in precedenza, consiste nella retorica dei buoni sentimenti, fino alla deriva.

Un esempio chiaro mi sembra in questo caso la più recente pubblicità Barilla.

Il repertorio è a questo punto ben riconoscibile: scene di strade silenziose, tricolori appesi, richiami al disinteresse e al sacrifico (“chi dà tutto senza chiedere nulla”), alla bellezza, alla storia e all’identità nazionale, ad un lessico ormai familiare (“non mollare”, “stare vicino”, “chi è spaesato ma si sente ancora un paese”, “l’Italia che resiste”). “Grazie”, leggiamo, e subito dopo “Barilla”. Nella nostra mente: “Grazie, Barilla”.

L’effetto di commozione e fidelizzazione è rafforzato dall’accompagnamento musicale, che in questa storia immette lo spettatore direttamente nell’immaginario commerciale del marchio: la riconoscibilissima melodia degli spot del Mulino Bianco, da anni emblema della capacità dei pubblicitari di creare mondi paralleli di evasione e di rifugio consumistico.

E proprio questo è l’effetto di una simile comunicazione (anche al di fuori dell’ambito pubblicitario): spostare la percezione della realtà dal pericoloso campo della razionalità – che potrebbe voler indagare su quel che sta dietro alle semplificazioni e alle generalizzazioni – al consolante sentimentalismo, che evita la fatica del pensiero critico e la sostituisce con la passività di una commozione suscitata ad arte.

CONCLUSIONI PROVVISORIE

Le conclusioni del mio ragionamento, ovviamente provvisorie, sono le seguenti:

  • La comunicazione commerciale potenzia, in questo periodo di crisi, la sua tradizionale vocazione a negare la realtà, sostituendola con sogni illusori di evasione
  • Non subordina, nemmeno momentaneamente, i suoi interessi commerciali ad un’istanza sociale e solidale
  • Al contrario, coglie l’occasione offerta dalle difficoltà emotive nelle quali versano gli spettatori italiani, per consolidare le sue strategie di convincimento, per loro natura autoritarie
  • Queste strategie si basano su meccanismi testuali, che si traducono in forme di pensiero e processi logici fondati sull’emozione e privi di contenuto razionale: la tendenza a sostituire alla percezione del reale quella di un suo surrogato fittizio e consolatorio; la perdita del senso della profondità storica; l’abbandono di un ragionamento complesso (caratterizzato dalla ragione), a vantaggio di uno banalizzato e semplificato (dominato dal sentimentalismo).

La pericolosità di queste inclinazioni, a mio parere, consiste anche nel fatto che un simile modo di comunicare è ben lontano dall’essere confinato nell’ambito della pubblicità.

Lo dimostra la vicenda che voglio ricordare al termine del mio ragionamento: “milanononsiferma”, il video promosso dall’Unione dei Brand della Ristorazione italiana, virale dal giorno 27 febbraio, sposato e rilanciato sui social (in particolare si Instagram) del sindaco di Milano Sala.

Una storia bellissima, raccontata con maestria, da pubblicitari di altissimo livello. Una storia nata per occultare la realtà del crescente contagio e delle probabili imminenti misure restrittive– considerata fastidiosa, perché complessa e dolorosa -, e per sostituirla con una rappresentazione finzionale legata ad idee di efficienza, normalità, eccezionalità/ superiorità, miracolo.

Nella convinzione, tragica quanto evidente, che il discorso testuale potesse piegare il reale alle esigenze di chi l’aveva raccontato così bene questa storia.

Massimo Recalcati, ragionando sulla nostra situazione psicologica (“La curva dell’angoscia”, “la Repubblica”, 12 aprile), parla della “durissima prova di realtà che questo trauma collettivo esige, e che non si potrà rinviare”.

Sarà bene ricordarsi, allora, che non gli argomenti degli uomini, ma solo la Natura (attraverso la morte) ha avuto la meglio sul delirio di onnipotenza che si manifesta in questo video.

E che la fattoria del Mulino Bianco non esiste.

Altrimenti dopo, in quel futuro che tutti attendiamo, potremmo essere tentati di cadere nelle trappole di chi certamente ce la proporrà, come nuova casa politica degli italiani. Con una bella melodia in sottofondo.

{module Articoli correlati}

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti recenti

Colophon

Direttore

Romano Luperini

Redazione

Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Gabriele Cingolani, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato

Caporedattore

Roberto Contu

Editore

G.B. Palumbo Editore