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diretto da Romano Luperini

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Cambio metodo o cambio grammatica?

 Mi trovo spesso a discutere su blog (ma anche a scuola) di come insegnare grammatica. Io rispondo spesso che oltre al come, bisogna anche chiedersi cosa. Non mi riferisco solamente a questioni di scelta (faccio anche le subordinate comparative o no?) ma soprattutto a quale modello teorico fare riferimento. Esistono più modelli teorici di riferimento? La grammatica non è una sola? Purtroppo no, ma questa è spesso una questione di cui non si percepisce nemmeno l’esistenza.

Il secondo problema è che per la maggior parte dei casi le “nuove” grammatiche sembrano essere scritte partendo da grammatiche già esistenti con il tentativo di migliorarle, ma solo raramente i presupposti teorici sono davvero diversi. Si potrebbe aprire un capitolo interessante che richiederebbe però ampio spazio: quanto sono cambiate e grammatiche scolastiche in un secolo di scolarità obbligatoria? Poco se andiamo a confrontarle. Ciò che in un secolo e mezzo di studi linguistici è stato studiato nei dipartimenti, sembra non entrare nelle grammatiche scolastiche. Il paradosso è che ciò che troviamo nei dipartimenti delle università (sarebbe) molto più innovativo di ciò che troviamo nell’editoria scolastica. Se dopo l’uscita delle 10 tesi GISCEL c’è stato un movimento di innovazione e specialmente negli anni ’90 e nei primi anni 2000 sono uscite parecchie buone grammatiche, attualmente sembra che ce ne sia dimenticati (per esempio la sociolinguistica e la parte di comunicazione sono relegate spesso ai volumetti accessori). Cambia la veste grafica, cambiano gli esercizi, ci sono videolezioni, strumenti compensativi, compiti di realtà, ma la teoria che sta alla base, la concezione di grammatica, è molto simile a quella che vediamo in una grammatica degli anni ’30. Prima si fa l’articolo, poi si fa il nome, per fare un esempio.

Il problema della grammatica a scuola è dunque di variegata matrice:

  1. Per la maggior parte gli insegnanti conoscono un unico modello teorico: quello normativo
  2. Il modello teorico di riferimento che fa da base alle grammatiche scolastiche è un modello normativo, di inizio ‘900. Un modello di grammatica che prescrive, che è un ricalco della grammatica latina e funzionale ad essa. Questo modello teorico è da un lato eccessivamente particolareggiato, dall’altra non riesce a spiegare moltissime casistiche della lingua che ci troviamo davanti, classificate come eccezioni. Il modello normativo non solo non spiega la realtà linguistica, anzi spesso è in contraddizione con essa.
  3. Abbiamo un concetto del ruolo della grammatica errato: la grammatica non insegna una lingua, bensì a riflettere su di essa, a spiegare alcuni fenomeni che ci sembrano assolutamente naturali e spontanei quando parliamo ma sui quali non ci siamo mai interrogati. Saper riconoscere il modo di un verbo, o che differenza c’è tra un avverbio e una congiunzione, non rende in grado di esprimersi meglio. La grammatica non serve nemmeno a scrivere meglio. Se insegnate grammatica con quello scopo, è abbastanza logico che non vediate un’utilità e una ricaduta, semplicemente perchè non ci può essere se non per una manciata di questioni legate alla norma (uso del congiuntivo, uso dei pronomi relativi, pronomi obliqui e consecutio temporum). Per dirla come Renzi (1977) “la grammatica non dà la lingua, ma la descrive e, quando può, la spiega”. La prospettiva è quella del “perché è così?” piuttosto che del “è così”. Possiamo citare a questo proposito anche Adriano Colombo: “le grammatiche scolastiche sono oggi meno rigidamente normative che in passato, accolgono sparsamente alcuni concetti della linguistica teorica, ma sembrano nel complesso refrattarie ad accogliere la essenziale lezione di metodo che dovrebbero ricavare da questa, l’idea che la riflessione sulla lingua sia appunto riflessione, cioè ricerca, fondata su dati, condotta con procedure esplicite e controllabili, verificabile e falsificabile nelle sue conclusioni.” (Colombo, 2014) 

Solo dopo viene la questione del metodo, dell’approccio didattico. Solo dopo vengono i giochi, la didattica capovolta, gli esperimenti grammaticali, i compiti autentici, la grammatica in situazione.

Soluzione chimerica? No, ma occorre studio e sperimentazione, un lavoro di reset e di costruzione mattone su mattone di una nuova casa in cui cercheremo di individuare innanzitutto i fondamentali, sistemarli nei cassetti giusti, ristabilire delle priorità, chiederci DOVE vogliamo arrivare e quali strumenti di conseguenza ci servono. Le metodologie per portare ai ragazzi la competenza grammaticale, quelle vengono dopo.

La rete per filtrare la lingua

Formiamoci noi, con dei buoni manuali

Il punto di riferimento dovrebbe essere una buona grammatica di livello universitario, indipendentemente dal modello teorico che prendiamo in considerazione, sia esso tradizionale/normativo, generativista, valenziale, comparativo. Occorre studio, certo. Ma entrereste mai in classe avendo studiato “Tanto gentile e tanto onesta pare” solo da un manuale di seconda media?

Non diamo per scontato che esista solo la grammatica che abbiamo imparato alle medie noi a suo tempo, esistono altri modelli teorici.

I modelli teorici sono come delle reti attraverso cui si filtra la lingua. Cambio intreccio, cambia il modo di separare e organizzare la lingua su cui voglio ragionare coi ragazzi. Possiamo distinguere due grandi famiglie: da un lato le grammatiche normative (prescrittive) dall’altro quelle descrittive (che possono avere diverse varianti).Di queste reti, quella più utilizzata è senza dubbio quella normativa. Quella del “si dice così, e non così”, quella del “prima di P e B ci va M”; quella che “LEI è complemento e non soggetto”; quella del “A ME MI non si dice”. È la grammatica del rigore, che dà sicurezza a molti genitori e a molti insegnanti e che molto spesso si trova nei manuali che vengono giudicati “buoni manuali”. È la grammatica della distanza: un modello da seguire, elitario, corretto sempre e comunque, puro, fisso e immobile, immutabile nel tempo. L’obiettivo è dare un modello e stabilire delle norme che vanno seguite. La grammatica normativa dice “come dovrebbe essere la lingua”.

La linguistica descrittiva dice invece “come è la lingua”, senza pregiudizi e senza distanza tra parlante e descrizione. Non dà un insieme di norme da seguire, ma piuttosto rispetto alle devianze di ciò che viene considerato “norma”, ne prende atto e in caso si interroga sui perché. Segue l’evoluzione della lingua, davanti ai fenomeni linguistici che mutano, ne dà delle spiegazioni. Non ha paura di individuare nuove categorie oltre a quelle tradizionali che risultano essere dei contenitori stretti e incongruenti con la realtà linguistica. Quella del “prima di P e B ci va M, perché la M facilita la pronuncia che parte dalle labbra come per la P e per la B”; quella che “LEI ha sostituito ELLA che già nel 1400 si usava quasi solo nello scritto”; quella del “A ME MI è una dislocazione a sinistra”.

Per la linguistica descrittiva è il parlante madrelingua ad essere competente, si considera la grammatica quell’insieme enorme di regole linguistiche che apprendiamo inconsciamente e che utilizziamo quotidianamente. Il modello valenziale di Tesnière, da qualche decennio introdotto in didattica, è solo uno dei possibili approcci descrittivisti, ma lo sono anche il modello generativista e strutturalista.

Come cambia in classe

In classe cosa succede se cambiamo modello teorico e se concepiamo la grammatica con un ruolo diverso?

Alla base del mio agire didattico ci sono dei pilastri:

  1. La competenza del parlante madrelingua e l’uso dei giudizi di grammaticalità
  2. L’idea della morfologia come processo combinatorio e creativo, e non solo classificatorio/tassonomico
  3. La lingua come un insieme di pezzetti che si combinano tra loro su più livelli
  4. Pensare per sintagmi e non per parole isolate
  5. La terminologia si può semplificare e rendere giocosa
  6. Economia, economia e ancora economia

UN ESEMPIO DI GRAMMATICA IN PRIMA MEDIA: IL VERBO

Nella mia prima media quest’anno abbiamo iniziato con la fonologia e solo successivamente siamo approdati all’ortografia, ma in questa sede vorrei invece dirottare il discorso sul secondo modulo che stiamo affrontando.

Dal vecchio manuale di Della Casa ho ripreso l’idea di identificare le parti del discorso in:

  1. Parole centro (verbo-nome)
  2. Parole satellite (articolo-aggettivo-avverbio)
  3. Parole rinvio (pronome)
  4. Parole legame (preposizioni-congiunzioni)

Le “parole centro” traducono visivamente l’idea di testa del sintagma, legate ad esse sono le parole satellite. Il legame è costituito dalla concordanza. Ho disegnato (e fatto disegnare sul quaderno) l’universo della frase, con al centro un pianeta grosso (il verbo, con il suo satellite), e altri pianeti con i propri satelliti. È una traduzione visiva di una frase tipo, costituita da sintagmi con le proprie teste.

Solo successivamente siamo passati a parlare di morfologia, partendo appunto dal pianeta che avevamo messo al centro: il verbo.

MODI E TEMPI DEL VERBO

Abbiamo dedicato il mese di novembre allo studio della coniugazione e dell’uso dell’indicativo; l’ultima settimana di novembre e le prime due di dicembre alla coniugazione e uso del congiuntivo, con un’ultima lezione di coda sulla coniugazione del condizionale, prima delle vacanze di Natale. Lo studio delle coniugazioni dei verbi è un fine esercizio di osservazione e di generalizzazione. Abbiamo lavorato alternando attività di costruzione delle regole (esperimenti grammaticali) ad attività di gioco. Sullo sfondo l’idea costante che “la grammatica è dentro di noi, la tiriamo fuori, e ragioniamo su come essa funzioni”. Sullo sfondo l’idea di rendere più economico possibile lo studio e di scovare le regolarità e le simmetrie presenti. Il nostro motto in classe è questo: più ragioniamo, meno dobbiamo studiare, un concetto che naturalmente i ragazzi apprezzano molto, ma sotteso al quale c’è l’idea che la grammatica prima di tutto sia estremamente funzionale allo sviluppo di un pensiero analitico e logico. Procediamo più che nella memorizzazione, nel cercare di capire analogie e ricorsività presenti nelle coniugazioni un po’ come diceva Simoni (1984), contro la grammatica delle liste e pro una grammatica del ragionamento. Alcuni concetti utili che possono aiutare noi insegnanti nel guidare questa scoperta possono essere:

La vocale tematica: è un concetto teorico è vero, ma che ci permette di essere molto più economici poi. In molti tempi infatti è l’unico elemento a cambiare.

  1. la regola 8-4-2-1 (indicativo 8, congiuntivo 4, condizionale 2, imperativo 1). Se c’è numero pari, metà sono tempi semplici e metà composti
  2. le 3 coniugazioni sono in effetti molto simili, è molto più fruttuoso procedere per modi e tempi piuttosto che per coniugazione in blocco. 
  3. uso il concetto dei “tempi fratelli”: ogni tempo semplice ha il suo “tempo fratello”, cioè il suo equivalente composto. Due tempi fratelli funzionano in modo molto simile, in tutti i modi.
  4. procedere in orizzontale anziché in verticale 

Come faccio

Prendo sempre in esame due tempi alla volta (due tempi fratelli naturalmente!), per esempio congiuntivo presente e congiuntivo passato, e procedo sempre in orizzontale (es. sono – sono stato; sei-sei stato; cammino-ho camminato) , e non in verticale (sono-sei-è), per far notare le grandissime analogie tra un tempo semplice e il suo fratello composto. Tutti i modi e tutti i tempi funzionano con questa logica: uso l’ausiliare al tempo semplice e aggiungo il participio. Sulla stessa linea ciò che cambia è la presenza del participio, che però d’altra parte è identico per tutte le persone. Una volta che si è fatto notare questo meccanismo insieme, i ragazzi possono essere guidati nel fare previsioni in modo autonomo e qui entra in gioco una competenza linguistica, più specificatamente morfologica. Ma si potrebbe anche sperimentare un approccio prettamente scientifico del tipo osservazione del fenomeno-individuazione delle regolarità-astrazione.

Inizio partendo dai verbi avere ed essere, per poi proseguire con i verbi con ausiliare avere, procedendo appunto in orizzontale con le tre coniugazioni messe in luce contemporaneamente, con tre colori diversi (amavo-temevo-sentivo). Può essere un’idea quella di utilizzare il think-pair-share per operare in coppia previsioni da condividere poi in plenaria. Questa operazione di può fare sia utilizzando la lavagna, che fornendo una scheda con la coniugazione al tempo semplice già stilata e vuota la parte dei tempi composti, come quella che trovate in allegato sul condizionale.

Si passa poi alla fase di osservazione del fenomeno: cerchiamo di scovare delle analogie o delle differenze che si ripetono in modo regolare, per esempio l’alternanza delle vocali tematiche, o certi suoni che diventano marche fonetiche di un determinato tempo e modo (per es. la V dell’imperfetto e del trapassato, la R del condizionale, la T del participio, le SS del congiuntivo imperfetto e trapassato…), la regolarità nell’alternanza di certi suoni che tornano sempre con certe persone (es. -ebbe; -ebbero al condizionale, -st- del congiuntivo imperfetto, …). Non si tratta di complicare le cose, ma di vedere (e allenare a vedere) le regolarità presenti nella lingua.

Il lavoro di osservazione delle regolarità nell’alternanza fonetica di certi suoni diventa poi fondamentale per i verbi irregolari (che di solito lascio per la classe seconda) e alla quale rimando ad un’altra occasione. 

Per quanto riguarda i verbi con ausiliare essere, basta solo far notare che c’è un effettivo cambio nei tempi composti che funzionano però sempre allo stesso modo; proprietà speciale: se c’è essere il participio si declina.

Mentre per l’indicativo questa operazione (normalmente) è un ripasso, per gli altri tempi diventa un serbatoio di strategie predittive. Un mio alunno di prima quando abbiamo studiato il condizionale ha esclamato “No prof, io non ci sto! è troppo facile!” e una mamma ai colloqui mi ha confessato che il figlio afferma che “con questo metodo basta solo capire, non si deve neanche studiare”. Agire in questo modo mi ha permesso di dedicare molto più tempo all’uso di modi e tempi, aspetto su cui ragioneremo più avanti.

La glottodidattica ludica

Su questi principi si possono attivare varie attività, quelle che preferisco sono quelle giocose, sempre con premi golosi: tris, partite a dadi, gare di velocità, battaglie navali coi verbi oppure flash cards con sfide a punti, gioco dell’oca,… qui entra in gioco la nostra creatività. Abbinare la grammatica ad attività ludiche risulta particolarmente efficace, ma lo è in generale anche nelle altre materie. Come scrive Balboni: “Lo scopo dell’azione è giocare, e se possibile, vincere: il gioco è autotelico, non vuol fare prendere un bel voto, non incute la paura di un brutto voto, non contrappone docente/studente, non ha un giudice (linguistico), ma un arbitro del gioco, che può anche essere l’insegnante: la rule of forgettingdi Krashen si applica al massimo in quanto si usa la lingua dimenticando che lo scopo ultimo è quello di perfezionarla”. Oltre a ciò il gioco implica un’area di negoziazione in cui ci si spiega il perché di determinati funzionamenti della lingua. 

Analisi della struttura morfologica (cioè analisi “grammaticale”)

Nell’ottica di non mettere in difficoltà i ragazzi se in futuro si dovessero trovare a fare la classica analisi grammaticale, ci ho dedicato dall’inizio dell’anno due lezioni, con risultati pari al procedere unicamente con quella. Il tempo che dedico ad attività strettamente legate all’analisi grammaticale in senso stretto come vedete è veramente poco, il resto è ragionamento, osservazione, gioco, discussione. Anche se il mio obiettivo non è che facciano una buona analisi grammaticale, ma che incrementino la propria competenza linguistica (e in senso più lato la propria capacità di osservazione e analisi), vi assicuro che anche messi davanti al classico compito, i risultati sono sorprendenti. 

Uso dei tempi e dei modi: visualizzare ed esperire fisicamente

Il tempo che non dedico all’analisi grammaticale lo dedico invece all’uso di tempi e modi. In questo caso lo strumento che reputo fondamentale sono le linee del tempo sulle quali posizionare i fatti espressi dai verbi. Possiamo anche ricorrere a scenette in cui i ragazzi possono vivere anche fisicamente ed esperire visivamente ciò che succede. 

Prima di procedere con l’indicativo abbiamo fisicamente posizionato i verbi lungo il corridoio della scuola. A ogni ragazzo ho affidato un cartellino con un tempo; una linea di scotch di carta segnalava il punto zero: il presente. Ho chiesto poi ai ragazzi di posizionare il tempo che rappresentavano relativamente alla posizione del presente, segnato sul pavimento; ultima tappa: i tempi che lavoravano in relazione ad altri tempi hanno fatto un passo avanti.

Il passo successivo è stato realizzare delle scenette per capire l’ordine cronologico in cui si realizzavano gli eventi espressi dai verbi, chiamando in causa gli stessi alunni a rappresentarle: la dramma-grammar. es. Francesca è entrata in classe dopo che aveva bussato e ha consegnato alla prof. il libro che le aveva prestato alla prima ora. In questa prima fase possono aiutare gli avverbi che stabiliscono, anche dove non sono chiarissimi, i nessi temporali che comunque per un adulto sono già impliciti nelle proprietà dei verbi.

Abbiamo poi iniziato ad utilizzare le linee del tempo, mettendo come punto fisso il presente e sistemando i verbi in ordine cronologico lungo la linea. Trapassato prossimo, remoto e futuro anteriore li abbiamo trattati insieme notando che in effetti la loro funzione è analoga: posizionare un evento nel tempo anteriormente a un altro evento.

In alternativa alle linee del tempo (o anche in abbinata ad esse) può essere utilizzato anche la metafora: azioni in primo piano/azioni-sfondo. Le azioni perfettive costituiscono le azioni in primo piano, mentre le azioni all’imperfetto costituiscono lo sfondo su cui si svolgono le azioni in primo piano.

Abbiamo poi osservato e annotato che non tutti tempi esprimono eventi della stessa durata, ma che d’altra parte alcuni verbi proprio nella loro semantica esprimono in modo intrinseco azioni che non durano. Abbiamo discusso molto sulla questione della durata delle azioni e forse per una prima media tale discussione richiede un livello di astrazione troppo alto. Si può tranquillamente puntare solo sulla contrapposizione tra perfettivo/imperfettivo e rimandare a un altro momento l’aspetto inerente alla semantica del verbo; va detto però che la questione l’hanno sollevata loro ed è giusto che tali slanci vengano colti. D’altra parte un intervento di questo tipo dimostra che la competenza linguistica è già in fase di acquisizione. Anche in questo caso abbiamo utilizzato la dramma-grammar, della Lo Duca. 

Per l’uso dei tempi abbiamo utilizzato anche il metodo degli esperimenti grammaticali di M. G. Lo Duca, che propone un approccio scientifico alla grammatica: osservazione del fenomeno, analisi, astrazione della regola e generalizzazione; controesempio, riformulazione della regola con maggiori restrizioni, utilizzando i giudizi di grammaticalità. 

Il metodo delle linee del tempo si può utilizzare non solo per l’uso dell’indicativo, ma anche per il congiuntivo e il condizionale, procedendo gradualmente. Anche in questo caso siamo davanti a un ragionamento che è applicabile in altri ambiti.

UNA PROPOSTA DI SUDDIVISIONE DEL VERBO LUNGO I 3 ANNI DI SCUOLE MEDIE

classe prima

  1. struttura morfologica del verbo
  2. coniugazione di tutti i modi e i tempi
  3. Uso dei modi finiti
  4. sintagma verbale semplice
  5. concordanza soggetto-verbo
  6. verbi copulativi e predicativi
  7. differenza tra struttura e funzione del verbo

classe seconda

  1. coniugazioni irregolari
  2. argomenti del verbo
  3. riflessivi, impersonali, fraseologici, modali
  4. sintagma verbale semplice e complesso
  5. coniugazione passiva, transitivi e intransitivi

classe terza

  1. ripresa dei complessi verbali e differenza con subordinate infinitive
  2. ripresa dei verbi impersonali
  3. ripresa dei modi finiti e indefiniti
  4. i modi indefiniti nelle subordinate (integrato con sintassi)
  5. consecutio temporum e trasposizioni cambiando tempo guida 

MAI PIÙ SENZA…

differenza tra verbi copulativi e verbi predicativi: semplifica poi la vita per capire la vera differenza tra un Predicato nominale e il predicato verbale

complessi verbali con v. fraseologici e modali: da trattare simultaneamente vista la funzione molto simile: quanta differenza c’è, a livello di funzionamento, tra voglio mangiare e finisco di mangiare? Uso la terminologia “modale” e non “servile” per facilitare il confronto interlinguistico (Modalverben, modalverbs). Trattare modali e fraseologici non è un capriccio, ma evitare di dover riparare problemi in sede di analisi in costituenti della frase semplice e complessa, e individuazione di subordinate errate; per questo motivo andrebbe ripresa anche in terza.

argomenti del verbo: anche se non si utilizza l’ottica valenziale, vale comunque la pena di utilizzare il concetto della forza di attrazione che esercita il verbo all’interno della frase. Molto utile anche per capire il senso dei verbi impersonali e la differenza tra soggetto sottinteso e soggetto-zero, senso dei verbi riflessivi.

transitivi/intransitivi: diventano più semplici da comprendere se trattati in relazione alla diatesi passiva: un concetto spiega l’altro. Un verbo può essere passivo se è transitivo, un verbo è transitivo se si può fare il passivo, molto più efficace della spiegazione tradizionale “può avere un complemento oggetto”.

vocale tematica: semplifica la vita. A volte cambia solo quella!

concordanza soggetto-verbo: è l’unica, ripeto l’unica, strategia veramente efficace che ci permette di individuare un soggetto; a nulla valgono altre mille strategie di tipo semantico (colui che fa l’azione, chi? che cosa? etc.) a meno che non s chieda di fare individuare un ruolo semantico (agente, paziente, etc). Se vogliamo far individuare il soggetto sintattico, dobbiamo dare una strategia sintattica; anche soggetto, oggetto e parte nominale di un PN rispondono tutti e tre alle fatidiche domandine “chi? che cosa?”. La vera domanda da farsi è quale sia all’interno della frase il SN che concorda con il predicato. Concordanza e accordo sono poi le più forti regole insite in un parlante madrelingua, nessuno dirà mai “le sorelle mangi” o “il divani rossa”.

testa del sintagma: ovvero l’elemento che comanda all’interno del sintagma. Un concetto che solo apparentemente è complesso, ma che legato al concetto di accordo, aiuterà poi moltissimo nell’analisi in costituenti (analisi logica).

giudizi di grammaticalità: ciò che valido per un parlante madrelingua, è valido (quasi) sempre se parliamo di regole. Se parliamo di norma non sempre.

contesto: se si fa analisi “grammaticale”, usare sempre gli elementi nel loro contesto d’uso e non come parole isolate. 

binomio osservazione-raggruppamento: permette di economizzare in tempo ed energie

tempo principale (o tempo guida): è quello da cui dipendono gli altri tempi dei verbi; è importante farlo notare perché gli altri tempi si relazionano ad esso per i rapporti di anteriorità, posteriorità, contemporaneità.

anteriorità, posteriorità, contemporaneità: tre concetti fondamentali per capire il funzionamento dei verbi all’interno di una frase, forse più della triade “tempi passati-presenti-futuri”

É VERAMENTE NECESSARIO?

verbi difettivi e sovrabbondanti: no, si noteranno le particolarità d’uso man mano che verranno incontrati

tutti i modi e i tempi dei verbi irregolari: no, in effetti i tempi che hanno irregolarità si contano sulle dita di una mano, perché prenderli in esame tutti? 

liste di verbi irregolari: no, si possono invece suddividere in gruppi che funzionano in modo analogo; a loro volta questi gruppi hanno delle forti analogie di funzionamento. Su una delle più comuni grammatiche per le scuole medie corrispondono a 11 facciate di elenco!!

obiettivo=analisi grammaticale: no, l’obiettivo è stimolare osservazione, riflessione, astrazione, potenziamento del pensiero formale

partire dalla definizione: no, anche perché nella maggior parte dei casi le definizioni date dai libri sono inesatte e facilmente smentibili

fare una coniugazione alla volta: no, perché sono più le analogie tra una coniugazione e l’altra che tra un tempo e l’altro della stessa coniugazione.

i verbi in -care -gare: no, è logico che aggiungano un’H per mantenere il suono velare: non c’è nessuna particolarità

particolarità ortografiche: anche queste possono essere raggruppate e trattate una tantum anzichè ripetute ogni volta per ogni coniugazione

prima di fare l’uso, fare tutti i tempi e i modi: no, anzi. molto meglio procedere compattamente per modo.

valori dei modi indefiniti:sì, ma non in prima media. In questa fase resterebbero concetti senza nessun appiglio. Molto più utile se affrontata in tandem con le subordinate

coniugazione riflessiva: no, è sufficiente far notare che alla normale coniugazione (sempre con ausiliare essere) viene aggiunto il pronome riflessivo

Alcune risorse risorse online:

http://www.iclipunti.gov.it/wp-content/uploads/2016/09/Lo-Duca-Analisi-logica.pdf 

http://www.aitla.it/images/pdf/ebook-AItLA-6.pdf

https://giscel.it/dieci-tesi-per-leducazione-linguistica-democratica/

https://www.disll.unipd.it/grammatica-e-didattica

https://www.lend.it/eu/index.php

Bibliografia:

Andorno (2018), La grammatica e le grammatiche lette dagli insegnanti, in http://www.aitla.it/images/pdf/ebook-AItLA-6.pdf

Balboni (2008), Fare educazione linguistica, UTET, Torino

Della Casa (1995), Italiano insieme, La scuola, Brescia

Giscel (2007), A trent’anni dalle tesi, Franco Angeli, Milano

Lo Duca (2004), Esperimenti grammaticali. Riflessioni e proposte sull’insegnamento della grammatica dell’italiano, Carrocci, Roma

Paggi-Albini-Ferrari (2016), Nel suono il senso. Teoria, Itaca, Castel Bolognese

Renzi Lorenzo (1977), Una grammatica ragionevole per l’insegnamento, in Gaetano Berruto (a cura di), Scienze del linguaggio ed educazione linguistica, 1977 

Salvi-Vanelli (2004), Nuova grammatica italiana, Il Mulino, Bologna

Simone (1984), ‘Per una grammatica nozionale’ in: CIDI-LEND, L’educazione linguistica dalla scuola di base al biennio della superiore. Milano: Bruno Mondadori vol. 1 pp. 131-157.

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