La lotta e il negativo nel romanzo storico contemporaneo: un saggio di Emanuela Piga Bruni
Esistono nel panorama letterario contemporaneo due tipi di romanzi storici, che si confrontano rispettivamente con modalità diverse di scavo nella memoria storica. A una prima categoria appartengono quelle opere che si confrontano con l’evento indagandone il rimosso attraverso l’azione degli esclusi della storia ufficiale e la narrazione della loro lotta. Una seconda categoria è invece costituita dalle opere che dell’evento narrano il negativo, ovvero la mancata rielaborazione delle esperienze traumatiche.
È questa la tesi di fondo dell’importante saggio di Emanuela Piga Bruni, La lotta e il negativo. Sul romanzo storico contemporaneo (Mimesis, 2018), in cui la studiosa solleva alcuni quesiti che risuonano più che mai attuali: quale rapporto intratteniamo con la memoria? In quali modi la narrativa contemporanea rappresenta il rimosso storico rendendolo accessibile e concreto nella narrazione, piazzandolo davanti al lettore perché ne faccia un uso consapevole? In quale misura il rimosso si ripresenta nell’agone politico e quali ne sono gli antidoti?
L’interesse per il romanzo storico è attualmente molto vivo. Si tratta di un tipo di produzione che da qualche anno a questa parte affolla gli scaffali di narrativa e che, a detta dell’autrice, “[a] giudicare dalla risposta del pubblico e dalle pubblicazioni accademiche sull’argomento […] gode di ottima salute. I titoli di questo genere ampio e trasversale si rivolgono a varie tipologie di lettore e si ritrovano spesso nelle selezioni dei premi più prestigiosi. […] Il successo del genere e l’eterogeneità del pubblico può derivare da diverse ragioni: per esempio la suggestione di un immaginario legato a tempi diversi innescata attraverso intrecci e personaggi ben congegnati, oppure la possibilità di interpretare il presente alla luce del passato e di leggere il passato in chiave allegorica, o ancora uno specifico interesse per le vicende passate di luoghi e culture” (p. 33).
Piga Bruni esplicita l’obiettivo del suo saggio nell’Introduzione: dopo un’interessante panoramica iniziale sul pensiero femminista a partire dai lavori di Carla Lonzi per chiarire il concetto di lotta, afferma che in questo percorso critico il negativo è considerato da una particolare angolazione, ovvero l’istanza di verità che emerge da quei romanzi in cui predomina la raffigurazione della violenza. Il concetto di negativo è esplorato con riferimento all’opera freudiana e alle sue elaborazioni, in particolare la lettura offerta dallo psicanalista cileno Ignacio Matte Blanco. Passando al vaglio le ipotesi teoriche più significative per il critico che si occupi di romanzo storico, Piga Bruni analizza la produzione letteraria contemporanea alla luce sia della teoria della storia sia della psicoanalisi.
In un intero capitolo dedicato alla lotta, il terzo, indaga la dimensione polifonica (mutuando un termine caro a Bachtin) e di controstoria del romanzo storico contemporaneo. Un’analisi comparata del motivo della lotta in Novantatré di Victor Hugo e ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni anticipa la struttura portante di tutto il saggio, cioè il confronto continuo fra diverse tradizioni e modi di intendere la rappresentazione della Storia. L’autrice offre una panoramica esaustiva delle scritture polifoniche post traumatiche e postcoloniali come esempi di romanzo storico contemporaneo da ascrivere alla categoria della lotta e del coraggio, della resistenza. Con un excursus fra i maggiori titoli della narrativa italiana ed estera – soprattutto Janeczek, Wu Ming, Ghermandi, Scurati, Binet, Battista, Levy, Rhys – opera una selezione mirata a esemplificare il concetto di lotta nella rievocazione di eventi sottaciuti o rappresentati in modo fuorviante dalla storiografia dominante. Le varie declinazioni della lotta vengono esplorate in altrettanti paragrafi dedicati alle differenze fra microstoria epica dal basso e romanzo storico tradizionale, alle patrie immaginarie e alle questioni postcoloniali, alle figure di eroi fra potenzialità ucronica, menzogna e coraggio, a visioni dell’Altro e riemersione del sommerso, alla memoria privata e pubblica.
Il capitolo quarto è invece dedicato al concetto freudiano di negativo, in termini di inconscio politico e interiorità che riemerge attraverso la narrazione della violenza testimoniata con stili molto diversi a seconda dell’autore preso in esame. Attraverso una lettura comparata delle opere di Bachmann, Semprùn, Duras, Littell, Mauvignier, Amis, vengono messe in luce diverse visioni del male storico e del trauma, dei carnefici e delle vittime, laddove il negativo è lo spazio della relazione in cui “nascono posture emotive segnate dalla frattura nella rielaborazione dell’esperienza, che complicano la relazione tra realtà psichica e realtà esterna rendendo difficile, se non impossibile, agire o reagire” (p. 161). In questa parte l’autrice si propone di “riflettere su come questi romanzi affrontino gli eventi traumatici novecenteschi e quali significati esprimano in termini di rimemorazione e coscienza storica dei traumi collettivi” (pp. 168-69). In particolare, nell’analisi de Le benevole di Littell, Piga Bruni si sofferma sia sul demone privato e sulle ossessioni personali del protagonista Maximilien Aue, sia sullo scenario storico dello stato totalitario dominato dalla volontà distruttiva di Hitler. Articola poi un confronto fra La zona di interesse di Martin Amis e I sommersi e i salvati di Primo Levi, in cui quest’ultimo elabora il concetto di “zona grigia” in un capitolo che diventerà molto influente nella successiva storiografia e critica. In questi romanzi, la domanda che viene posta riguarda ciò che è avvenuto e come ciò possa essere avvenuto. Non è lo scavo nel sottosuolo della storia ad essere al centro dell’indagine, come nel caso del romanzo storico animato dallo spirito della lotta, in cui i grandi assenti della storiografia, gli oppressi, le donne, i popoli colonizzati acquistano una voce e raccontano un evento dal loro punto di vista. Piuttosto, il fulcro della narrazione ruota attorno alla mancata elaborazione dell’evento, come nel romanzo di Amis in cui la voce narrante appartiene a un membro del Sonderkommando alle prese con il proprio trauma e con il proprio senso di colpa. Qui il concetto di “zona grigia” viene impiegato per spiegare la forma varia della negazione, in quanto la stessa ambientazione del romanzo impedisce la rappresentazione della lotta corale e invita invece all’indagine nell’abisso della coscienza dell’individuo.
Si tratta quindi di narrazioni in antitesi fra di loro, il cui obiettivo è solo apparentemente simile: se nei romanzi del primo gruppo l’istanza è unica ed è abbracciata da una comunità, nel secondo caso il trauma riguarda il singolo e si può prenderne le distanze, ma non senza avere prima sperimentato l’abisso psichico di quell’unico individuo che parla per sé e in cui è impossibile trovare alcuna forma di identificazione, oltre la pura empatia o l’orrore. In questa tipologia di romanzo storico, “[l]e coscienze sono attraversate in misura e qualità diversa da interrogativi e riflessioni, e i personaggi stessi sono incarnazioni di figure con dei tratti tipici” (p. 187).
Confrontando la scrittura di Littell, Amis e Mauvignier, la studiosa definisce diversi tipi di rappresentazione dell’orrore, esplicitato oppure evocato, con l’obiettivo comune di suscitare repulsione nel lettore e spingere quindi ad accogliere la meditazione sul male. “L’uomo e il mondo in cui vive sono fatti di contrasti radicali, di forze che si contrappongono senza potersi escludere o unire, di elementi complementari che non formano mai un tutto” – scrive Piga Bruni, a commento dell’analisi dei tre romanzi che sceglie come maggiormente rappresentativi del negativo nel romanzo storico contemporaneo –. “In un eterno movimento agonistico, lotta e negativo non costituiscono due contrapposizioni rigide, ma sono momenti di un divenire storico che li comprende” (p. 205). Opere in cui “la memoria esce dalla sfera dell’indicibile e trova espressione, attraverso raffinate strategie stilistiche, nella lingua letteraria” (p. 207).
È questa un’epoca in cui un saggio di tale caratura etica e solidità argomentativa non solo ha il potenziale di intervenire attivamente nel discorso pubblico, ma apre la strada alla possibilità per il lettore di dialogare con la letteratura in quanto strumento ermeneutico, ritrovando quella consapevolezza della memoria storica che oggi sembra perduta nel caos comunicativo in cui siamo precipitati.
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