Skip to main content
Logo - La letteratura e noi

laletteraturaenoi.it

diretto da Romano Luperini

Come semi alati

Dedico questo pezzo a Giangiorgio Pasqualotto, gentile e straordinario Burry Man. Ma a lui – con radici emerse, sommerse, fascicolate, aeree, pendule, fulcranti e così via –  sono legati tutti i contributi precedenti e tutti quelli che verranno

*

Le letture estive sono per me, almeno in parte, letture vagabonde. Per circa un mese spadroneggiano libri che non hanno a che fare con la Scuola, con la mia disciplina, con l’esigenza profonda e inaggirabile di continuare a studiare quanto tento di insegnare. Ma al di là delle mie intenzioni, dei propositi di sconfinamento voluto e ricercato, la Scuola e i miei studenti trovano sempre il modo di rispuntare, di conquistarsi uno spazio, di fare capolino quando meno me lo aspetto. Proprio come le erbacce protagoniste del libro dal quale prenderò spunto per condividere qualche riflessione estiva.

Elogio delle erbacce (Ponte alle Grazie, Milano 2025, da qui tutte le citazioni del presente contributo) è un saggio-dichiarazione d’amore di Richard Mabey che percorre in lungo e in largo, con tenerezza e cura, la storia botanica e culturale delle erbacce. Un’erbaccia, recita una definizione diffusa già nel primo Ottocento, è una pianta che cresce nel luogo (o nel tempo) sbagliato e, insiste Mabey, ci cresce rapidamente, invadendolo e, talvolta, soffocando le piante perbene, quelle che ai nostri occhi appaiono utili, decorative, belle.

Come si può facilmente intuire, non ho comprato e iniziato a leggere questo libro come docente di Filosofia animata da chissà quale intento didattico; ad un certo punto, però, scollinata la metà del saggio, mi sono dovuta ricredere: quel libro che raccontava di erbacce stava anche parlando dei miei studenti e del mio lavoro. Non è possibile, in questo contesto, esplicitare tutte le innumerevoli tangenze tra l’universo botanico e quello scolastico perciò mi limiterò a portare l’attenzione su tre occasioni di contaminazione, tre possibilità di riflessione che, a partire dalle caratteristiche e dal comportamento dei semi, spero possano mettere in evidenza alcune questioni per me importanti.

Tra tutte le possibili suggestioni, ho scelto di concentrarmi sull’immagine-guida del seme: Mabey descrive le caratteristiche e il modus operandi dei semi delle erbacce e lo fa soprattutto per evidenziare la capacità della malerba di attecchire e diffondersi negli ambienti più insoliti e apparentemente inadeguati.

Sto per parlare di docenti-seminatori? Oppure delle fertili menti degli studenti? No. Mi piacerebbe concentrarmi, per una volta, sui bistrattati contenuti dell’insegnamento, contenuti che sembrano non interessare più a nessuno. Abbiamo assistito all’ascesa del metodologismo più spinto, al diffondersi di una fiducia crescente negli strumenti e negli ambienti di apprendimento (digitali o meno), ci siamo adattati alla governance scolastica che tutto macina  e stritola nel suo ingranaggio burocratizzante, abbiamo oramai introiettato la centralità dello studente che si è quasi trasformata in un dogma… Tutto questo ha progressivamente svilito e adombrato il “che cosa”, i contenuti, ciò che dovremmo tentare di insegnare. A parlar di contenuti, insomma, si rischia grosso e, infatti, tendiamo a non parlarne: nei consigli di classe, nei dipartimenti disciplinari, nei collegi docenti, nelle varie occasioni formative i contenuti stazionano ai margini del discorso scolastico, come se a Scuola tutto fosse importante – studenti, docenti, genitori, territorio, mercato – ad eccezione dei contenuti disciplinari, come se tutto risultasse più interessante, utile ed essenziale di quei contenuti disciplinari che sembrano assottigliarsi, sgretolarsi, evaporare.

Ma leggendo di erbe cattive, di bordure, di radici di ogni tipo, e, soprattutto, delle strategie che i semi mettono in atto per diffondersi ed attecchire, mi è sembrato di poter tornare a sperare. Forse, relativamente ai contenuti, non tutto è perduto.

Rostri e risvolti

“I semi delle infestanti hanno sviluppato sistemi per assicurarsi il trasporto in tantissimi habitat. Possono essere armati di ganci, ricci, spine, coste, filamenti…” o, ancora, possono ricoprirsi di resina o di un velo di lattice appiccicosi che permettono di ancorarsi al manto degli animali, alle suole delle scarpe, alle piume degli uccelli e ai risvolti di un inconsapevole corriere. Edward Salisbury, naturalista dell’Imperial College di Londra, racconta di aver scoperto nel risvolto dei suoi pantaloni i semi di oltre venti specie di infestanti che, nonostante l’uso diligente delle ghette, avevano approfittato di lui come di un ignaro turibolo peripatetico. Una delle più diffuse strategie di diffusione dei semi è determinata dalla loro forma e dalla presenza, in superficie, di rostri di vario tipo, ma di indubbia efficacia. 

Un solo esempio: la Bardana produce semi sferici, completamente ricoperti da uncini flessibili, “artiglieria minuta che da secoli i bambini usano nelle loro eterne battaglie”. Nel Borgo Reale di Queensferry, Edimburgo, il secondo venerdì di agosto un irsuto Burry Man, un uomo ricoperto dalla testa ai piedi di ricci di Bardana, gira per la città bussando di porta in porta e ricevendo doni, retaggio di un remoto rito di fertilità. La bellezza irregolare del riccio di Bardana ha inoltre ispirato George De Mestral, l’inventore del velcro: i ganci e le asole del velcro non devono essere allineate con precisione, non è necessario che un determinato uncino passi attraverso una determinata asola. Un sottile intrico di uncini flessibili (quello della Bardana, emulato dal velcro) permette dunque un’ottima capacità adesione.

Mi sembra di aver scovato, in alternativa all’imperante retorica della personalizzazione dei contenuti, un motto semplice e, quindi, carico di complessità: non è necessario che un determinato uncino passi attraverso una determinata asola! Mi piace e mi sembra pure sensato paragonare i cosiddetti contenuti, ciò che insegniamo, alle bombette sferiche e uncinate della Bardana. La loro peculiare forma e l’essere ricoperti di ganci o sostanze collose permette ai semi-contenuti di restare appiccicati agli (inconsapevoli?) studenti. Al di là delle mie capacità didattiche, degli strumenti che utilizzerò, dell’intenzionalità pedagogica che, posto ci sia, si spinge fortunatamente sino ad un certo punto, occorre ricordare che i semi-contenuti non sono materiale inerte. La loro forma e la ricchezza sconfinata dei molteplici punti d’aggancio consentono di per sé un’ottima capacità di adesione. Fuor di metafora: un seme-Omero, a titolo di esempio, dispone di una superficie e di una quantità di uncini che superano di gran lunga, e grazie a dio, la mia intenzionalità didattica. Mi commuove, infine, immaginare l’insegnante come un contemporaneo Burry Man, ricoperto dalla testa ai piedi di semi-contenuti uncinati: un personaggio fiabesco che bussa alle porte degli studenti e, in cambio di qualche bombetta uncinata, riceve magnifici doni. Non che ci voglia molto a superare in suggestione e profondità l’ideale del docente facilitatore di apprendimenti…

Tempo di caduta

Edward Salisbury (1886-1978), interessato a studiare l’efficienza della dispersione aerea delle erbacce, strutturò un esperimento che testava la capacità di dispersione dei semi dotati di un apparato aereo: il naturalista si piazzò su una scala a pioli in una stanza priva di correnti d’aria, lasciò cadere alcuni semi alati e misurò il tempo di caduta. “I semi della buddleia ci misero cinque secondi a cadere, i paracadute del senecio comune otto secondi e quelli della farfara ventuno. Alle soffici piume del garofanino di bosco occorse quasi un minuto per adagiarsi sul pavimento”, così Mabey sintetizza gli esiti dell’esperimento.

E nel minuto di poetica caduta del seme di garofanino, m’è venuto da pensare che anche i semi-contenuti che spargiamo in aula (o che portiamo inavvertitamente con noi) avranno tempi di caduta differenti, condizionati, tra l’altro, dalle correnti d’aria che, inevitabilmente, attraversano gli spazi scolastici.

Ma i tempi di caduta lenti non sono uno svantaggio, anzi! Più tempo impiega un seme a toccare terra, più aumenta la sua capacità di diffusione: il garofanino di bosco, proprio grazie alla caduta lenta dei suoi semi, si è potuto disperdere e diffondere sulle ampie aree bombardate di Londra, durante il secondo conflitto mondiale, orlando i crateri e le rovine della città di macchie rosa e porpora.

Talvolta i nostri semi-contenuti (immaginiamo il vagante seme-Omero) possono impiegare tempi lunghi per toccar terra, ma, in questo modo, possono raggiungere lidi lontani e prosperare ben oltre il tempo-scuola.

Quiescenza

Lo strumento per sopravvivere che differenzia la maggior parte delle erbacce dalle altre piante è il loro rapporto col tempo. “Se una pianta si è evoluta per resistere ad un ambiente turbolento, uno degli adattamenti che possono aiutarla a sopravvivere è possedere una percentuale di semi che rimangono inattivi per due, tre, trenta, trecento anni…”; i semi di alcune specie hanno un rivestimento speciale, altri sono ricoperti da sostanze idrorepellenti che inibiscono la germinazione, altri ancora sembrano portare dentro un orologio biologico che ritarda il momento della germinazione in attesa di tempi migliori.

Anche alcuni semi-contenuti germogliano velocemente, altri hanno bisogno di tempistiche più lunghe, altri ancora – molti altri – ci sembrano, alla fine di un anno o di un ciclo scolastico, dispersi o inattivi. Potrebbe non essere così: il nostro seme-Omero (sempre lui) potrebbe starsene quieto per mesi, anni, decenni e poi, inaspettatamente, germogliare. I semi quiescenti delle erbacce spesso, per germinare, attendono che il terreno venga smosso, a volte hanno bisogno di cambiamenti ambientali radicali, in alcuni casi iniziano a germinare quando le condizioni climatiche si fanno critiche per altre specie…

Insomma, a volte bisogna aspettare molto per una fioritura, in altre occasioni la fioritura avviene lontano dagli occhi del giardiniere, in tempi e luoghi inaspettati o insoliti, ma avviene. Ben oltre e al di là delle logiche del successo scolastico garantito.

La corona di Re Lear

In Sogno di una notte di mezza estate Shakespeare attribuisce alle erbacce un ruolo di tutto rispetto. Puck, folletto del Re delle Fate, strizza il succo di viole del pensiero negli occhi dei personaggi addormentati scatenando, al loro risveglio, la baraonda: ogni personaggio si innamorerà della prima creatura che gli capiterà davanti agli occhi. Sempre nel Sogno, la sponda incantata di Titania è ricoperta da erbe selvatiche (timo, violette, primule, caprifoglio, rosa delle macchie…) che, con il loro intenso profumo, più che farla addormentare promettono danze e diletto. Ma le vere e proprie erbacce compaiono in altri luoghi. Mabey ci ricorda la splendida ghirlanda dell’Ofelia annegata che intreccia ranuncoli, ortiche, margheritine a misteriosi fiori viola, ma, soprattutto, si sofferma sulla corona di Re Lear: “Cantava a gran voce, incoronato d’acre fumaria e di erbacce da solco, di lappole, di cicuta, di ortiche, di billeri, di loglio e di tutte le inutili erbe che crescono in mezzo al grano che ci sostenta”; la follia di re Lear eleva le erbacce a corona… Lo si potrebbe seguire e, con lui, potremmo chiederci se quelle che definiamo erbe cattive (cattive loro e cattivi i loro semi) non siano ben altra cosa.

Quei contenuti che oggi, a Scuola, vengono considerati e trattati come erbacce da solco, qualcosa che c’è, ma di cui sarebbe meglio sbarazzarsi per conservare l’ordine (quale ordine?) e garantire la prorompente crescita delle piante utili (a chi?), ecco, quelle erbe cattive e i loro semi ostinati, confido possano raffinare segretamente le loro armi evolutive (rostri, ali piumate, quiescenza, rizomi impertinenti e quant’altro) per prendersi la rivincita e svellere il grigio asfalto di una Scuola addomesticata.

Articoli correlati

Commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti recenti

Colophon

Direttore

Romano Luperini

Redazione

Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Gabriele Cingolani, Roberto Contu, Giulia Falistocco, Orsetta Innocenti, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato

Caporedattore

Roberto Contu

Editore

G.B. Palumbo Editore