‘Stereotropi’ in classe: per una didattica memetica della letteratura
Un punto di partenza inatteso
«C’è una favola che nessuno ha scritto mai. Questa non è.»
Così recita l’esergo di Favole per bambini molto stanchi, libro ibrido e sorprendente, nato dall’incontro tra il cantautore Dente e l’illustratore Franco Matticchio. In quella negazione iniziale, in quel paradosso poetico, si nasconde un’idea di letteratura che mi ha spinto a provare un esperimento: portare in classe i memi (si preferisce l’uso plurale del termine, essendo un calco del termine ‘gene’, come indicato da Richard Dawkins nel celeberrimo Il gene egoista). Non per far ridere o alleggerire le lezioni. Ma per costruire, assieme agli studenti, un percorso sulla narrazione, sui tropi, sugli stereotipi e su come si può – e si deve – decostruirli. Per aiutarli ad assumere, passo dopo passo, lezione dopo lezione, la loro ‘postura intellettuale’, il loro senso di letteratura, il loro ‘io e noi’.
Perché i memi
Nati come ‘virus culturali’, capaci di replicarsi in ambienti digitali secondo logiche rapide, associative e spesso ironiche, i memi sono oggi uno dei principali formati narrativi e retorici della comunicazione contemporanea. Veicolano emozioni, idee, ideologie. Sono semplici solo in apparenza. Dietro la battuta o l’immagine virale si nascondono strutture culturali, schemi ricorrenti – quelli che la retorica classica chiamerebbe tropi – che orientano il nostro modo di raccontare, e quindi di pensare. In un contesto scolastico sempre più interconnesso e polarizzato, la sfida non è ignorarli, ma insegnare a leggerli, decostruirli, usarli in modo consapevole. Da qui l’idea: progettare un’UDA che incrociasse didattica della letteratura, educazione all’immagine e pensiero critico – con lo sguardo rivolto a ciò che davvero circola nei linguaggi degli studenti, provando a connettere diversi layers semiotici e semantici.
Il contesto scolastico
Il percorso si è svolto durante il mio tirocinio TFA 2023/2024 sul sostegno in una classe terza della scuola secondaria di I grado in un istituto della città metropolitana di Bari. La classe era composta da 13 alunni (6 femmine, 7 maschi), con una forte eterogeneità culturale e sociale: due studenti di recente immigrazione dal Bangladesh, tre alunni con disabilità certificata, due docenti di sostegno e una figura educativa di supporto. La ricchezza di questo gruppo – affiancata dalla competenza e sensibilità della docente di sostegno Rosa Ciano – è stata la vera forza del progetto. Un’esperienza che mi ha insegnato quanto la complessità non sia un ostacolo, ma un terreno fertile per sperimentare nuove forme di insegnamento.
Obiettivi e struttura dell’UDA
L’Unità di Apprendimento è nata attorno a una domanda chiave:
Come possiamo usare il meme per riconoscere, smontare e risignificare i tropi e gli stereotipi narrativi?
L’obiettivo era duplice: da un lato, sviluppare negli studenti consapevolezza linguistica, visiva ed emotiva; dall’altro, esplorare la letteratura non come patrimonio immobile, ma come campo di gioco critico e creativo. L’UDA, che ha coinvolto diverse discipline e ha incontrato – va detto – la grande disponibilità del corpo docente nonostante si trattasse di una classe in uscita, si è articolata in cinque fasi:
1. Attivazione: cosa sono i memi? Qual è la differenza tra ironia e stereotipo?
2. Racconto e riflessione: esperienze personali e narrazioni condivise sugli stereotipi.
3. Analisi letteraria: lettura e smontaggio di tropi in Calvino e Dente.
4. Produzione creativa: creazione di meme e favole illustrate.
5. Valutazione critica: restituire senso al percorso e riflettere sui suoi effetti.
Dal meme alla letteratura (e ritorno)
Una volta attivate le conoscenze pregresse e introdotti i concetti di tropo, pregiudizio e stereotipo, siamo entrati nel vivo del laboratorio. Il cuore pulsante dell’UDA è stato il dialogo tra immaginario memetico e testi letterari, in particolare due opere tanto diverse quanto accomunabili per struttura e tono: Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino e Favole per bambini molto stanchi di Dente e Franco Matticchio. Abbiamo analizzato i tropi narrativi presenti in entrambi i testi: la metanarrazione, la frammentazione, l’ironia, la rottura della quarta parete, il nonsense poetico, il doppio. Ogni tropo è diventato pretesto di riflessione e punto di partenza per attività creative. Un esempio? Partendo da Calvino, gli studenti hanno creato memi ispirati all’incipit «Stai per iniziare a leggere uno stereotipo…» abbinando immagini ironiche sugli stereotipi di genere. Altri hanno riscritto favole alla maniera di Dente, mescolando leggerezza e malinconia, nonsense e critica sociale. Alcune favole includevano personaggi inaspettati, come un robot che sogna di essere un poeta o una nuvola che si ribella al cliché del “cielo grigio e triste”. Questo esercizio ha sottolineato l’importanza dell’ascolto attivo come competenza trasversale per una comunicazione inclusiva. Attuali. Le prime fasi del lavoro, ovviamente, partendo dalla didattica frontale e giungendo alla flipped classroom, ci hanno visto riflettere sul concetto di meme e di stereotipo. Gli studenti riuscivano a individuare con esempi pratici i due concetti, ma avevano difficoltà nell’elaborazione teorica e astratta degli stessi. Molto prolifica, dunque, è stata la fase laboratoriale di riconoscimento di stereotipi riguardanti personaggi e tradizioni locali, oltre che fenomeni virali noti. Altra fase rilevante, che introdotto il pensiero creativo attraverso attività ludiche, ha previsto l’utilizzo un gioco da tavolo personalizzato di stampo memetico. Queste attività hanno stimolato gli studenti a decostruire pregiudizi, simulando situazioni reali che promuovessero empatia e riflessione critica. La libertà di scelta nei temi dei memi ha incoraggiato l’espressione personale e la connessione con questioni sociali.
Le parole degli studenti
Durante il percorso, alcune frasi dei ragazzi hanno colpito più di mille rubriche valutative. Come quando un’alunna ha detto: «L’ho capito meglio quando ho provato a ridere con una cosa seria». O: «Scrivere una favola che sembra un meme mi ha fatto sentire come se potessi inventare una vita nuova». O ancora: «Siamo stanchi, come i bambini delle favole… ma a volte anche le cose stanche possono essere belle». Piccole epifanie, che testimoniano quanto la letteratura, quando si mescola al linguaggio dei ragazzi, riesca ancora a creare cortocircuiti emotivi e cognitivi. Il contesto socioculturale in cui la scuola opera – faticando, ma con immensi risultati – spesso si interfaccia con realtà difficili e marginalizzate, in cui la stereotipizzazione diviene una ferita profonda e spesso insanabile con l’intero tessuto urbano. Al contempo, però, l’intero patrimonio storico-culturale del quartiere diviene – proprio rifunzionalizzando quegli stereotipi – attraverso le narrazioni popolari, uno strumento di forte coesione sociale. La scuola, dunque, crea davvero una rete che non imprigiona, ma libera. Non è una visione edulcorata: è il senso profondo e attivo de ‘la letteratura e noi’. Io stesso sono stato, inizialmente, oggetto di stereotipizzazione da parte degli studenti, ma un docente è in grado di insegnare ‘ben oltre lo stereotipo’, rifunzionalizzandolo. L’autoironia, in tal senso, si dice che possa salvare il mondo.
Cosa ha funzionato, cosa no
Il percorso ha mostrato una forte ricaduta inclusiva, grazie all’uso di immagini, linguaggi misti, narrazioni aperte e attività collaborative. Gli studenti con bisogni educativi speciali si sono distinti per creatività e partecipazione. Inoltre, l’uso dei memi ha favorito la motivazione, il pensiero critico e il lavoro cooperativo. Tuttavia, alcuni studenti tendevano a focalizzarsi solo sull’aspetto ironico del meme, tralasciando la dimensione riflessiva. È stato necessario intervenire con mediazioni, discussioni collettive e riformulazioni. Un punto di partenza e non di arrivo.
Una scuola che pensa (e ride)
La didattica della letteratura non è affatto in crisi, purché abbia il coraggio di reinventarsi, di ridere per e di sé stessa. L’ironia, la metanarrazione, la logica del meme: tutto può diventare materiale critico, se lo si attraversa con consapevolezza. Il pensiero narrativo di matrice bruneriana può e deve confrontarsi con la contemporaneità senza perdere profondità e focus didattico. Forse il vero obiettivo della scuola oggi è questo: creare spazi in cui ogni studente possa ‘decostruire uno stereotipo’ e risignificare la propria storia, attraverso la letteratura che ‘a nulla serve a tutto rimedia’.
La vera sfida, come emerso dall’esperienza, non risiede nell’innovazione tecnologica di per sé, ma nella sua integrazione in una progettazione didattica inclusiva e strutturata. Solo così sarà possibile trasformare la scuola in un ambiente realmente innovativo, capace di formare studenti consapevoli, critici e creativi, pronti ad affrontare le sfide sociali contemporanee.
«Quale storia laggiù attende la fine? – chiede, ansioso d’ascoltare il racconto.»
E anche se questa storia è fatta di immagini virali, suoni brevi, ironie taglienti e favole non ancora scritte, resta comunque – ostinatamente – una forma di letteratura. Quella letteratura che, come nelle favole di Dente, esiste e resiste.
Anche quando nessuno l’ha ancora scritta (o memata).
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