La scuola non violenta di Maria Montessori Obbedienza, libertà, società: un progetto utopistico
Gli educatori lamentano il fratto che, pur potendo insegnare scienza, letteratura, ecc, si trovano di fronte a giovani che non riescono ad imparare, non perché mancano di intelligenza, ma perché non hanno carattere e, quando questo non c’è, manca la forza propulsiva della vita. Solo quelli che, attraverso tempeste ed errori del loro ambiente, hanno potuto salvare alcune o tutte le doti fondamentali del carattere, hanno una personalità. Purtroppo i più ne mancano. Ora non possiamo ordinare loro di concentrarsi, perché ciò che loro manca è appunto la concentrazione. Come pretendere che adempiano il loro compito con costanza ed esattezza, se mancano delle qualità necessarie? Tanto varrebbe dire: «Cammina dritto», a chi non avesse gambe. Queste abilità possono solo essere acquistate con l’esercizio, mai in seguito ad un ordine. Che cosa si può fare allora? La società generalmente dice: «Siate pazienti con la gioventù: occorre insistere con buone intenzioni e buoni esempi.» E si crede, col tempo e la pazienza, di poter realizzare qualcosa: invece non si realizza nulla: col passar del tempo si diventa più vecchi, ma non si crea nulla. Nulla può essere compiuto solo col tempo e la pazienza, se non si è profittato delle occasioni che si presentano durante il periodo creativo.
Maria Montessori, “La mente del bambino”, Milano Garzanti 1952, pag. 208.
Maestri social
Lo strumento intellettuale che accompagna naturalmente le argomentazioni presentate nel dibattito sulla scuola è il riferimento ai maestri del pensiero pedagogico e psicologico. Tuttavia, la tendenza alla spettacolarizzazione che caratterizza il discorso pubblico rende spesso questi riferimenti ambigui o così frammentari da risultare irriconoscibili.
Così è avvenuto anche nel caso degli studenti che hanno rifiutato di sostenere il colloquio all’esame, quando insegnanti e intellettuali hanno colto l’occasione – la tribuna social che ne è nata – per ragionare sul senso della presenza della scuola nel mondo.
Nella mia bolla e nei suoi dintorni, il nome più citato è stato quello di Maria Montessori. Un pezzo esemplare restituisce il senso generale di questo richiamo: il pensiero e la pratica di Montessori vi sono collocati in irriducibile contrasto con la scuola tradizionale; il punto di attrito più marcato è la natura del processo di insegnamento/ apprendimento, ispirato alla centralità dello studente e dell’esperienza in un insegnamento vivo. In questo quadro, il contesto culturale in cui agisce l’istituzione produce docenti stanchi e demotivati, studenti sofferenti e ansiosi: gli uni e gli altri schiacciati da un modello competitivo privo di empatia; l’idea stessa di una reazione disciplinare di fronte alle testimonianze e alle piccole rivolte di singoli studenti dimostra l’inclinazione autoritaria della scuola odierna.
Questo discorso è ricco di elementi di riflessione ma è costruito intorno a mezze verità e a un’attualizzazione frammentaria e a tratti forzata del pensiero cui afferma di ispirarsi. In quest’articolo, vorrei interrogarmi sull’altra metà della verità.
Lavorerò sul testamento spirituale di Maria Montessori, “La mente del bambino” del 1952, per cercare di trarne almeno alcuni dei tanti spunti di una pedagogia in cui si intrecciano in modo complesso e sfaccettato teologia cristiana, teosofia, teorie mediche e psicanalitiche, socialismo utopistico e rivoluzionario.
Un orizzonte utopistico
La Montessori social si cita come bandiera di una scuola “nuova”, finalmente attenta a ogni persona perché legata all’ambiente che la circonda e alla sua personale esperienza; a conferma dell’idea che la scuola sia oggi inesorabilmente antiquata, massificata e inattuale. Il concetto fondamentale, in questa prospettiva, è che va messo al centro il bambino-studente, mentre l’istituzione oggi colloca al centro chi insegna o il contenuto dell’insegnamento, concepito come un pezzo da museo inerte. Mentre scrivo queste righe, ad esempio, leggo un’intervista al “Corriere”, in cui G. Lo Storto, direttore della LUISS, traduce queste convinzioni in una suggestiva antitesi: per costruire la scuola di un’umanità condivisa, è necessario che chi insegna cessi di essere “drone di contenuti” e si trasformi in “designer dell’apprendimento”. Naturalmente in questi contesti metaforici segnati da antitesi inconciliabili fra “bene” e “male” (nell’articolo citato in precedenza, l’invito a dare vita a una scuola “che nutre e che non riempie”) esiste una mezza verità, come si diceva in apertura, perché è certamente vero che molte e molti insegnanti praticano una didattica museale e slegata dal presente; altre, però, insegnano in modo attuale e avvincente, anche senza gli effetti speciali tecnologici delle ultime mode didattiche (l’altra metà della verità).
Soprattutto, però, il rinnovamento propugnato da Montessori ha dimensioni ben diverse da quelle ristrette e specialistiche che certi “innovatori” vi associano: la costruzione di ambienti, materiali e esperienze di apprendimento, la visione di un rapporto fra la docente e il bambino (questi i generi usati in via esclusiva dall’autrice) in cui a quest’ultimo viene riconosciuta una posizione attiva e di primo piano, all’insegnante una funzione di ascolto e preparazione, in un certo senso di sfondo, nascono dall’idea che il bimbo porti in sé un “embrione psichico” sin da quando nasce; e che questo embrione non sia altro che il particolare progetto della natura per la nostra specie. Le ipotesi didattiche che ne conseguono, quindi, non nascono da un interrogativo metodologico bensì da una matrice religiosa e filosofica che si traduce in utopia civile e politica.
Che la filosofia e la religione debbano portare un immenso contributo al rinnovamento non dubito. Ma quanti filosofi vi sono nel mondo ultra civile d’oggi, e quanti ve ne sono stati prima e ve ne saranno in avvenire? Nobili idee e alti sentimenti sono sempre esistiti e sono sempre stati trasmessi con l’insegnamento, ma le guerre non sono mai cessate. E se l’educazione dovesse venir sempre concepita secondo gli antichi schemi di trasmissione del sapere, non vi sarebbe più nulla da sperare per l’avvenire del mondo. (…) Esiste, trascurata, un’entità psichica, una personalità sociale, immensa per moltitudine di individui, una potenza del mondo che deve oggi essere presa in considerazione; se aiuto e salvezza possono venire, ci verranno soltanto dal bambino; poiché il bambino è il costruttore dell’uomo. (pagg. 1/ 2)
Il problema non è sostituire un metodo con un altro: secondo la vulgata odierna, per alcuni aspetti motivata, la noiosa trasmissione frontale con approcci partecipativi e accattivanti. Si tratta invece di rimettere al centro “l’embrione psichico” che ogni creatura porta in sé come disegno naturale: dimenticare questo fatto conduce a un’educazione negativa e costrittiva, che anziché consentire alle potenzialità naturali di esplicarsi le costringe e le deforma sino ad annullarle. L’antitesi, secondo Montessori, è fra una direzione di sviluppo “normale” e naturale, definita “super-sociale”, e una “deviata”, definita “extra-sociale”. I segni della normalità sono “sociabilità”, “disciplina”, “lavoro”, “concentrazione”; quelli della devianza “capriccio”, “disordine”, “timidezza”, “pigrizia”. La partita fra queste due direzioni si gioca nei primi sei anni di vita, e in particolare fra i tre e i sei anni di età.
Con il suo progetto, Montessori difende la costruzione di una “normalità umana (…) che alimenti una rivoluzione scevra di ogni violenza e che unisca tutti per un fine comune e li attragga verso un solo centro” (pag. 16): “La nuova educazione è una rivoluzione, senza violenze, è la rivoluzione non violenta”. La sua via, religiosa e spirituale, è segnata dalla convinzione che le donne e gli uomini siano uniti dalle tendenze sociali citate in precedenza (sociabilità, disciplina, lavoro, concentrazione), naturali e inconsce, che ci rendono ugualmente “umani” e ci costituiscono nel profondo: ma la società e la storia quasi sempre negano il fondamento della nostra umanità, e la scuola “tradizionale” traduce questa negazione in un istituto sociale riconosciuto e rispettato dove dominano divieti e ingiunzioni, premi e punizioni, sermoni e prediche ugualmente inutili, perché incapaci di entrare in contatto con la psiche profonda dell’allievo, che nei suoi primi anni non cresce intorno a facoltà come la volontà, l’intelligenza razionale, la coscienza morale. La “nuova educazione” è una preziosa opportunità per riscoprire ciò che per natura ci rende umani: insegnare a rispettarlo significa mettersi in posizione di ascolto, “lasciar accadere” quel che deve accadere a ciascuna persona. Questa logica ha chiari risvolti politici, la cui attualità mi sembra evidente, se si pensa ai leader che pianificano la morte dei bambini, o a quelli che mentre condannano l’uccisione dei bambini producono e vendono le armi con le quali saranno uccisi:
La democrazia, che è la forma più evoluta d’organizzazione della nostra civiltà, permette a tutti di scegliere il proprio capo grazie alle elezioni. Se questo avvenisse nel campo dell’embriologia sarebbe un assurdo inconcepibile, perché se ogni cellula deve essere specializzata, tanto più specializzata deve essere la cellula che dirige le funzioni del tutto. Il lavoro direttivo è il più difficile ed esige più di qualsiasi altro specializzazione. Non si tratta quindi di elezione, ma di essere adatti e idonei al lavoro. Chi deve dirigere gli altri deve aver trasformato sé stesso: non vi può essere capo o guida se questi non si è foggiato il suo compito. (pag. 46)
Socialità, coesione, organizzazione
Reduce da un lungo periodo di prigionia in India, toccata nel profondo dalla recente esperienza dei totalitarismi, sensibile alle teorie pacifiste, Montessori riflette con lungimiranza sul rischio che la democrazia si risolva in forme vuote e legittimi le disuguaglianze e l’asservimento delle persone. I meccanismi di uguaglianza e giustizia formale cui l’uomo adulto ha dato vita nella propria storia, possono infatti servire a posteriori per rendere accettabili e diffondere deviazioni e anormalità – per primi, l’egoismo individualista e la sopraffazione del prossimo – create dal progressivo allontanamento dalle tendenze naturali; queste sono invece incarnate dai bambini quando ancora non sono evidenti le differenze culturali, sociali e economiche che ne segneranno la crescita, quando l’embrione psichico che ci costituisce non è ancora stato negato nella sua essenza:
(…) mentre un adulto dei tempi antichi non si potrebbe adattare ai tempi moderni, il bambino si adatta al livello di civiltà che trova, quale esso sia, e riesce a costruire un uomo adatto ai suoi tempi e ai suoi costumi. Questo ci prova che la funzione dell’infanzia nell’ontogenesi dell’uomo è di adattare l’individuo al suo ambiente, costruendo un modello di comportamento che lo renda capace di agire liberamente in quell’ambiente e di influire su di esso.
Oggi dunque il bambino deve essere considerato punto di collegamento, anello di congiunzione fra le diverse fasi della storia e i livelli di civiltà. L’infanzia è un periodo veramente importante perché quando si voglia infondere nuove idee, modificare e migliorare costumi e abitudini del paese, accentuare più vigorosamente le caratteristiche di un popolo, dobbiamo prendere come strumento il bambino poiché assai poco si ottiene agendo sugli adulti. (pag. 67)
L’educazione può “guarire” il bambino, indirizzato dalle diverse forme sociali del mondo adulto all’oblio della sua natura e all’acquisizione di vizi e difetti caratteristici della società in cui crescerà come adulto. Solo a seguito di questa “normalizzazione”, la società stessa potrà “guarire” e recuperare la sua vocazione spirituale. Il continuo richiamo all’esperienza e all’importanza cruciale di ambienti e oggetti di apprendimento ha infatti una funzione precisa: serve a rendere possibile il dispiegarsi delle componenti che l’autrice considera come il dono fatto da Dio ai piccoli dell’uomo: “la disciplina spontanea, il lavoro continuo nella gioia, i sentimenti sociali di aiuto per gli altri e di comprensione” (pag. 205).
Se assistiamo quotidianamente allo spettacolo di società governate da forme marcate di indisciplina etica; dove per molte persone il lavoro è qualcosa da evitare, per altre un peso e una fatica immane; se indifferenza e emarginazione cancellano la spinta verso gli altri, è perché nella “nostra” educazione non prevale la “coesione”, ma “l’istinto gregario”.
Questo «istinto gregario» è diverso dalla forza di coesione che era alla base della società dei bambini. Le società successive, che si evolvono fino a raggiungere il livello della società degli adulti, sono organizzate coscientemente ed abbisognano di regole dettate da un uomo, nonché di un capo che le faccia rispettare. (…) Le due cose però non si compenetrano. La società non dipende solo dalla organizzazione, ma anche dalla coesione – e dei due il secondo elemento è il fondamentale e serve di base alla costruzione del primo. Buone leggi e un buon governo non possono tenere insieme le masse e farle agire, se gli individui stessi non sono orientati da qualcosa che li tiene compatti e fa di essi un gruppo. (pag. 266)
Il bambino, la libertà e la tirannia
L’impostazione psicologica e spirituale entro la quale si colloca la riflessione di Montessori lascia poco spazio a dubbi e interpretazioni: il bambino è la pietra angolare intorno alla quale sarà possibile edificare un mondo nuovo, senza violenza, caratterizzato da una socialità profonda e naturale: “possiamo dire che siamo nati con uno stimolo vitale (horme) già organizzato nella struttura della mente assorbente” i cui “meccanismi sono ereditari e caratteristici della specie umana. Ma il loro compiersi può solo attuarsi attraverso una libera azione sull’ambiente” (pag. 99). Tutto chiaro, dunque, se si studia il primo periodo sensitivo (da zero a tre anni); ma l’edificio dell’educazione, nelle moderne società industriali, poco o nulla si occupa di questo periodo di fondazione, quando progetta il percorso formativo dei piccoli della specie umana, negando loro spazi indispensabili di esperienza e libertà proprio nel momento in cui ciò che hanno assorbito con “intelligenza inconscia” passa a una fase di “conquista conscia” e “costruzione consapevole”.
Questo creatore inconscio – questo bambino dimenticato – sembra cancellato dalla memoria dell’uomo, ed il bambino che ci viene incontro a tre anni di età appare quasi un essere incomprensibile. I legami fra lui e noi sono stati tagliati dalla natura. Vi è allora il pericolo che l’adulto distrugga ciò che la natura avrebbe voluto fare. (pag.165)
Simili considerazioni sulla manifestazione della psiche umana nella prima infanzia non sopportano facilmente di essere applicate a una generica figura di giovane (men che meno quella dell’eterno adolescente odierno); tuttavia dalla lettura possiamo trarre idee interessanti. Due mi sembrano di particolare interesse, anche riferite ai bambinoni che non di rado popolano le nostre classi di secondaria superiore, in tempi in cui addirittura si costruiscono progetti in grado di adattare il percorso formativo del docente a esigenze e stili cognitivi rigorosamente individuali (va da sé, supportati da una perfezione artificiale) e si esalta in ogni modo possibile l’idea (ambigua dalle sue fondamenta) di “merito”, costruendo lo scenario di una scuola dove tutti lottano contro tutti per sconfiggerli e emergere come i migliori.
Il primo è che la libertà cui la persona giovane aspira è spesso effimera e falsa. Nel 1952, prima della massificazione dei media, dei bisogni artificiali, del marketing delle emozioni e dell’esibizione di sé, Montessori osserva:
La libertà è intesa in modo primitivo come immediato acquisto di una indipendenza da legami repressivi: come una sospensione di correzioni, e di sottomissione alla volontà dell’adulto. Questo concetto evidentemente è negativo, cioè significa soltanto eliminazione di coercizioni. Ne è derivata molte volte una semplice «reazione»: uno scatenamento disordinato di impulsi non più controllati perché erano stati prima controllati soltanto dalla volontà degli adulti. «Lasciar fare quello che vuole al bambino che non ha sviluppato la volontà» è tradire il senso di libertà. (pag. 204)
Libertà vera e consapevole è quella che nasce dalla scelta volontaria, esercitata “sia per agire che per trattenersi dall’agire”: “Il potere di ubbidire è l’ultima fase dello sviluppo della volontà, la quale, a sua volta, rende possibile l’ubbidienza”. (pag. 260).
Saper lavorare affinché si costruisca e poi si manifesti questo immenso potere liberamente scelto da chi apprende è la cartina di tornasole dell’autoritarismo di chi insegna, spesso incapace di accettare il suo ruolo di accompagnatore attivo verso l’autonomia e di guidare chi cresce a scoprire un’obbedienza scelta e non imposta. Anche su quest’argomento, le parole di Montessori non mi sembrano aver perso significato né valore:
Il pregiudizio più comune nell’educazione ordinaria implica che tutto si possa ottenere con l’insegnamento (ossia rivolgendosi all’udito del bimbo) o col portare se stessi a esempio per essere imitati (una specie di educazione visuale); mentre la personalità può essere sviluppata solo con l’esercizio proprio. (…) Il bambino porta in sé l’opera di un creatore ben più grande dell’insegnante, del padre, della madre, e cionondimeno egli deve sottomettersi. (…)
La disciplina poggia su minacce e paura. E si giunge così a concludere che il bimbo disubbidiente è cattivo e quello ubbidiente è buono.
Nella nostra epoca di teorie democratiche e di libertà, se si riflette su questo atteggiamento, si è forzati di concludere che l’educazione ancora vigente condanna l’insegnante a essere un tiranno. (pagg. 253/ 254).
Una condanna che i diversi ministri che guidano la scuola, fino a quest’ultimo, dissimulano e addolciscono dietro vuote parole retoriche, lasciando a ciascun docente il compito di affrontarla nell’intimo della sua coscienza e decidere se e come sfuggirla. Ma il giorno in cui le piccole rivoluzioni di tante persone, quelle che studiano e che insegnano alla ricerca della libertà, non del potere e del profitto, diventeranno bandiera di un cambiamento collettivo, allora il pensiero di Maria Montessori sarà utile e
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