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diretto da Romano Luperini

Perché leggere Tom Jones di Henry Fielding

Un autore dovrebbe considerarsi, non come un signore che dà un banchetto privato o di beneficenza, ma piuttosto come uno che tiene un pubblico ristorante. Nel primo caso, si sa, chi offre il banchetto sceglie lui i cibi, e anche se sono poco attraenti o affatto sgradevoli al palato dei commensali questi non debbono trovare nulla da ridire […]. Il contrario accade col padrone d’un ristorante. La gente che paga quel che mangia esige d’accontentare il proprio palato per quanto delicato e capriccioso esso sia; e se c’è qualcosa che non piace reclama il diritto di criticare, insultare e mandare al diavolo, pranzo ed oste senza complimenti. È per questo che un oste onesto e ben intenzionato […] presenta il menu […].

Poiché noi non sdegniamo di prendere a prestito spirito o saggezza da chiunque ce ne possa fornire, abbiamo condisceso a prendere lo spunto da quei bravi osti e prefiggiamo al nostro intero banchetto, non soltanto un menu generale, ma anche dei menu particolari per ogni portata che verrà servita in questo e nei prossimi volumi.

La provvista, dunque, che qui abbiam fatta, non è altro che la Natura Umana. Sono sicuro che il mio ragionevole lettore, per quanto raffinato nel gusto, non resterà sorpreso, né troverà a ridire né si offenderà perché menziono un solo articolo. (H. Fielding, Tom Jones, Traduzione D. Pettoello, Feltrinelli, 19918,I vol., pag. 5)

L’idea conviviale del romanzo passa attraverso la regressione dell’autore, gentiluomo, ad oste, che presenta onestamente il suo menu alla «gente che paga». Del resto, l’ambizioso progetto di imbandire, come unica pietanza, nientemeno che la Natura Umana, è rivolto ad un «ragionevole lettore»: interessante e ironico capovolgimento, che pretende sia ragionevole chi paga e non chi vende la propria merce. Nel 1749 Fielding, con Tom Jones, poneva solide fondamenta al genere romanzo, utilizzando un’enorme quantità di materiale narrativo, ma impastandolo con una tale maestria da renderlo soffice e liscio, pronto per essere utilizzato nei secoli successivi in piccole porzioni. Se è unanimemente riconosciuta la leggerezza dell’ironia dello scrittore, mi pare non sufficientemente rilevato il fatto che il protagonista del romanzo sia Fielding, in dialogo, a volte battibeccante, a volte ammiccante, con il lettore. La storia d’amore di Tom Jones e di Sofia Western è la struttura portante della trama, la lisca del pesce, la cui testa precede la nascita di Tom, e la cui coda rimane in mano a chi legge. Ma la polpa risiede nello sguardo dell’autore, che provoca il lettore, lo sollecita a riflettere, anche quando lo fa ridere, e gli mette sotto il naso il profumo della virtù e il puzzo del vizio, compiaciuto nel vederlo in palese imbarazzo, quando, bendato, scambia l’uno per l’altra.

Non sarà dunque il matrimonio d’amore ad attrarre l’attenzione, quanto le digressioni, i capitoli introduttivi dei 18 libri (di cui il romanzo è costituito), gli interventi diretti dell’autore durante lo svolgimento dei fatti narrati, e il suo sorriso in chiusura di ogni capitolo. La struttura dialogica funziona perfettamente, diciamo che gli ingredienti sono di ottima qualità, e il sapore elegante è migliorato proprio in virtù dell’invecchiamento: colore e profumo del Settecento giungono intatti, e al palato è una delizia.

Perché questo matrimonio s’ha da fare

Nonostante siano frequenti in questo romanzo le citazioni latine, e Virgilio e Cicerone e Seneca e tanti altri siano espressamente nominati, Apicio, che pure avrebbe meritato, non gode neanche di una fuggevole apparizione. È chiamato in proscenio, invece, Hoghart, che aiuta a ricostruire l’ambiente londinese, ci fornisce l’opportunità di vedere scene di costume e l’aspetto fisico di qualche personaggio, e fa da contraltare satirico ai buoni sentimenti espressi nelle pagine del romanzo. Del resto, non si è mai del tutto certi che l’ironia di Fielding non giochi ad imbrogliare le carte con l’antifrasi. La storia ha inizio prima che un bambino venga trovato nel letto del suo legittimo e abituale occupante, il signor Allworthy. Certo casualmente, ma pare che il piccolo abbia subito una sorta di imprinting e nell’arco della sua vicenda, divenuto un bel giovane, sia costantemente attratto dal letto, solitamente occupato da donne più o meno giovani ben contente di condividerlo con lui. E non per dormire. I due poli del carattere di Tom sono così ben stabiliti: il letto e l’attrazione sessuale nei confronti delle donne, a cui il giovane generosamente si concede; il signor Allworthy e le necessità dell’onore e della prudenza, chiamata a regolare ogni sentimento ed a temperare ogni piacere in nome del buon senso. Si tratta, intendiamoci, della misura di una morale pratica, aliena dalle teorie proposte dalla teologia e dalla filosofia, incarnate nel romanzo dai due precettori, Thwackum e Square, «rappresentati come oggetti di derisione in questa storia» (pag. 80). Il piccolo, adottato da Allworthy, vedovo e senza eredi, è subito oggetto di malignità, in quanto evidente frutto del peccato, e di invidia, in quanto beneficiario dell’incomprensibile benevolenza e, dunque, in futuro, dell’ingente patrimonio di chi lo aveva trovato bell’e fatto nel proprio letto. Antagonista principale di Tom è Blifin, figlio di Miss Bridget Allworthy, sorella del padrone di casa, ben presto anche lei vedova. I due ragazzi, cresciuti sotto lo stesso tetto, sono educati dai due precettori, che costantemente lodano e proteggono Blifin, mentre puniscono e accusano Tom, il quale non dimostra alcuna abilità ad evitare il proprio danno. Blifin, invece, si dimostra un abile simulatore e dissimulatore, che vuole fare fuori il «bastardo» dall’asse ereditario dello zio. Il romanzo di formazione di Tom avrà, perciò, come fine il riconoscimento dell’altrui malvagità, a cui rispondere non con la spietata vendetta, ma con una superiore e signorile generosità, che evita di infierire. Sta di fatto che prima di giungere a cotanta altezza di virtù, Fielding ci conduce ad osservare le bassezze dell’animo umano. Blifin sfrutta ogni occasione offertagli dalla fortuna per raggiungere il suo scopo, mentre Tom è incapace di evitare le trappole, che gli uomini, le donne e la sorte disseminano sul suo cammino. E quando all’orizzonte del romanzo compare l’Amore, sotto le sembianze della tetragona Sofia, Blifin, che non la ama e non è da lei amato, sarà scelto dal signor Western come lo sposo che potrà aggiungere ricchezze alla ricchezza della figlia. Sarà, dunque, essenziale per Blifin (e per Western) liberarsi di Tom, come presenza, come erede, come pretendente alla mano di Sofia, la quale, infine, giammai acconsentirà alle nozze con Blifin, sempre amerà Tom, ma non sposerà mai un uomo che suo padre non scegliesse come genero. Le complicazioni ci sono tutte per impedire il matrimonio che il lettore subodora necessario alla conclusione. Con un procedimento di dilazione, condotto fino allo stremo nelle ultime pagine, Fielding fa attraversare al protagonista della trama tutte le possibili esperienze, che sono state definite picaresche, ma che, in realtà, sono odeporiche, sulla strada (tortuosa, manco a dirlo) da Somerset a Londra. Tom cacciato di casa per le jaghesche manovre dell’onesto Blifin, e Sofia in fuga dalla reclusione punitiva del padre, secondo delle traiettorie a doppia elica, che li allontano, ma che poi, inevitabilmente li avvicinano, hanno due traumatici punti di contatto in una locanda di Upton, dove Tom viene scoperto a letto con la signora Waters, e poi a Londra dove Lady Bellastone, invidiosa di Sofia, vuole il possesso esclusivo, ma non matrimoniale, di Tom. Sfioratisi, i due promessi schizzano l’uno lontano dall’altra, anche se, ariostescamente, ognuno alla ricerca dell’altro. A Londra, dopo ulteriori impedimenti, sembra che tutto possa avere compimento: Blifin smascherato, Tom riconosciuto come legittimo erede del riconciliato Allworthy (ma non si intende qui aggiungere altro, per non sciupare il colpo di scena dell’agnizione), il signor Western felice di dare la figlia in sposa all’uomo (ricco), non più «bastardo», che ama. A questo punto l’unico e ultimo ostacolo al matrimonio è l’opposizione di Sofia, che teme e non perdona la condotta libertina di Tom, a sua volta pentito e disposto a rispettare la sentenza dell’inflessibile Sofia: separazione e lungo periodo di espiazione, a conclusione del quale, forse, si sarebbe potuto parlare di nuovo di matrimonio. Arrivata ad un punto morto, la trama, con un ultimo strappo dell’autore (che qui si omette), giunge al suo fine

E così, lettore, abbiamo finalmente condotto a termine la nostra storia: nella quale, con nostro gran piacere e forse contrariamente all’aspettativa, Tom Jones ci appare come il più felice degli uomini, perché non saprei quale felicità maggiore del possesso di una donna come Sofia possa dare il mondo. (pag.706)

Ma si tratta ancora di un sottofinale, dell’ultima dilazione, in quanto si ragguaglia – ancora per due pagine – il lettore della condizione degli altri personaggi prima che «Per concludere» suonino a festa le campane dell’happy end.

Perché ognuno può trovarci quel che gli serve

Il romanzo inglese, della prima metà del Settecento, conta Fielding e scrittori come Defoe, Swift, Richardson: tutti autori di successo, capaci di raggiungere risultati di grande rilievo artistico oltre che un alto numero – inimmaginabile in Italia – di copie vendute. Fielding, in Tom Jones, sembra condividere con gli altri il tema del viaggio e dell’esperienza, e il problema dell’utilità della condotta moralmente irreprensibile. Tuttavia, di suo fornisce il valore della generosità istintiva: Tom risulta un giovane impulsivo e buono di cuore, che si mette nei pasticci perché deve imparare a distinguere il male nel mondo, senza pretendere di annullarlo con il suo intervento, molto spesso tutt’altro che provvidenziale (almeno per lui). L’influenza di Fielding è riconosciuta nel filone comico proseguito dal non molto noto T. Smollet (Humphrey Clinker, 1771), ma mi pare del tutto misconosciuta sul celeberrimo Sterne ed il suo Tristram Shandy (1760-67). Eppure, nel Tom Jones sono presenti tutti gli elementi di novità che sono presenti del Tristram Shandy. Ne facciamo un rapido elenco: sono tipici di Sterne la tecnica della digressione, usata massicciamente, e l’appello al lettore, inserito costantemente nella narrazione. Scrive Fielding nel suo romanzo (libro I, cap. 2), ed è solo un esempio:

Lettore mio, prima di procedere assieme più oltre mi par giusto avvertirti che intendo fare delle digressioni in tutta questa storia quando mi sembrerà opportuno: e di questo sono io il miglior giudice che qualsiasi miserabile critico. (pag. 8)

«Il lettore mi perdonerà una digressione» (pag.188) «E qui devo introdurre una digressione» (pag.189) sono esempi ravvicinati della frequenza di questa tecnica, che è fatta poi di inserti narrativi autonomi, come la storia dell’Uomo della Montagna (Libro VIII, capp. 11, 12, 13, 14), entro la quale si inserisce un’altra storia raccontata da un altro personaggio (Patridge, barbiere di mestiere, e scudiero,a mo’ di Sancho Panza, al seguito di Tom, racconta una storia, interrompendo l’Uomo della Montagna, nel cap.11 del libro VIII).

Altro elemento di novità di Sterne è individuato nella metanarrazione, ma Fielding in questo romanzo costantemente interviene con commenti (e digressioni) a proposito della propria scrittura e della letteratura in generale. Anche l’idea di relatività delle «opinioni» che in Sterne ha la massima realizzazione è presente in Fielding. Scrive W. Empson, in Introduzione

Chi si interessi delle opinioni di Fielding, quelle opinioni che apparentemente egli esprime con tutta franchezza, può arrivare a leggere tutto il Tom Jones senza riuscire a capire come la pensa, veramente, l’autore a proposito dell’obbedienza che le giovinette debbono ai genitori, o di quali debbano essere le qualità che contraddistinguano il gentiluomo, o dei comandamenti cristiani che prescrivono la castità. […] in un certo senso, a questo autore è stata sempre riconosciuta un’ambiguità, almeno, di tipo particolare. (pag. VI)

Certamente Sterne non è paragonabile a nessuno per la qualità e la genialità della sua scrittura, tuttavia, credo che Tristram Shandy abbia un qualche vincolo di discendenza da Tom Jones (senza per questo misconoscere la responsabilità della «domanda inopportuna» in merito alla carica dell’orologio).

Se Pirandello ha un debito evidente nei confronti di Sterne, forse ne ha uno implicito nei confronti di Fielding, il quale, peraltrometanarrativamente – si occupa di umorismo (l. XIII, cap. 1, pag. 479).

Del resto anche Berchet potrebbe aver letto Tom Jones, da cui trarre, tra tutte le popolazioni del pianeta, giustappunto quelle di Ottentotti e Parigini, di cui parla Fielding (pag. 331).

Più evidente mi pare la lettura di Manzoni, e il ri-uso che ne ha ricavato per il suo romanzo. Senza alcuna pretesa di voler essere esaustivo, qui mi limiterò ad indicare le situazioni manzoniane che possono essere state in qualche modo ispirate dal romanzo inglese (di cui indicherò tra parentesi il numero di pagina). La tavola di don Rodrigo (pag. 56); il malinteso punto d’onore (pag.76); l’oste della “Luna piena” (pag.399); il nome di Lucia nell’osteria (pagg. 377, 391, 453, 513); il segreto di Perpetua (pag. 528); la reclusione di Lucia nel castello dell’Innominato (pagg. 593, 598); il duello di Lodovico (pagg. 622, 639); il voto di Lucia (pagg. 597, 636). Poi è ovvio che i due romanzi coincidano nel matrimonio contrastato, che alla fine viene celebrato, meno ovvia è la sovrapponibilità di Renzo con Tom nell’impulsività, e di Lucia con Sofia nella severità del rigore morale.

Come si è detto per Sterne, anche in questo caso non si vuole confondere un romanzo con l’altro, o stabilire la mancanza di originalità: si vuole soltanto aggiungere una voce al coro della letteratura e dare spessore alla storia del romanzo. Bisognerebbe ricordare sempre che gli scrittori sono tutti degli attentissimi lettori.

Ma per segnare la distanza tra Fielding e Manzoni, mi sia consentito chiudere con una citazione, che il mio lettore potrà condividere. Se, invece, non la dovesse condividere, allora, pensi pure che s’è fatto apposta a concludere con cose che si potevano affermare nel secolo decimo ottavo.

Vi sono certi scrittori di religione, o piuttosto di morale, i quali insegnano che in questo mondo la virtù è la sicura strada alla felicità e il vizio alla infelicità. Dottrina molto sana e confortante, alla quale abbiamo una sola obbiezione – cioè, che non è vera. (pag. 552)

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