Appunti per un racconto fantastico
Premessa
Progettare e impostare le attività di scrittura in classe può essere a volte molto oneroso. Altre volte, invece, un lavoro può dipanarsi con grande facilità da un’intuizione anche banale, mentre si cerca un modo semplice e diretto per mettere a fuoco, come in questo caso, lo specifico di un genere letterario. L’attività descritta di seguito nasce sostanzialmente dalla necessità di fare chiarezza laddove, nonostante letture, riflessioni e esemplificazioni in classe, fiaba, fantastico, fantasy, perfino fantascienza nella mente degli alunni a volte tendono a confondersi in un tutto indistinto. E in questo il genere fantastico è particolarmente soggetto a essere equivocato. Saper individuare i tratti caratteristici e maggiormente ricorrenti di un genere letterario consente poi di cogliere pienamente e apprezzare il senso delle contaminazioni, anche nei testi che molto frequentemente vengono affrontati nelle aule scolastiche. Basti pensare, per fare solo un esempio, a come in Le avventure di Pinocchio la componente umoristica sia inscindibile da quella fantastica, anzi sia da questa spesso determinata e illuminata, e come in altri momenti il fantastico si colori di tinte gotiche o fiabesche.
Prima di scrivere, leggere
L’attività che qui si illustra è stata proposta ad alunni della classe terza della scuola secondaria di primo grado. Prima dell’attività di scrittura la classe aveva affrontato una serie di letture antologiche tratte dal libro di testo che, per questo genere, presenta una buona selezione: il brano del risveglio di Gregor Samsa da La metamorfosi di Franz Kafka; un brano da Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, quando per la prima volta Dorian si accorge della smorfia sul ritratto; il brano della rassegna delle truppe da parte di Carlo Magno e della presentazione dei cavalieri ne Il cavaliere inesistente di Italo Calvino. Poi ancora una serie di racconti: Il mantello di Dino Buzzati, Il buon vento di Massimo Bontempelli e Il racconto del lupo mannaro di Tommaso Landolfi. Al termine delle letture antologiche i ragazzi avevano scelto un libro di genere fantastico da una mini-lista, divisa per fasce di livello. La lista è stata volutamente ristretta a cinque testi, non per limitare le possibilità di scelta degli alunni, ma per facilitare il lavoro di riflessione e anche di verifica della lettura, difficile da gestire in modo efficace su un numero di testi troppo ampio. Alcuni testi sono stati assegnati direttamente da me agli alunni, per motivazioni di carattere didattico, legate sostanzialmente allo sviluppo delle loro abilità di lettura. Di seguito riporto i testi inseriti nella mini-lista.
Fascia verde: L’inventore di sogni di Ian McEwan.
Fascia gialla: Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson; Canto di Natale di Charles Dickens.
Fascia rossa: Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde; Il visconte dimezzato di Italo Calvino.
Come anticipato, al termine della lettura, ho dialogato con gli alunni, per cercare di orientarli a un’interpretazione plausibile del loro testo. Come verifica ho scelto una produzione scritta, nella forma della relazione.
Le relazioni sono state nel complesso buone, nell’esposizione delle trame e degli aspetti essenziali del racconto, ma a tratti carenti proprio nella parte relativa alla riflessione sulla specificità del genere e sul portato simbolico degli elementi fantastici. Ho così deciso di avviare un’attività di scrittura che, esasperando l’attrito tra il dato realistico e l’elemento fantastico e/ o perturbante, potesse consentire ai ragazzi di muoversi direttamente in uno spazio di ambiguità da loro stessi creato.
Le fasi della scrittura
Prima fase: ho chiesto agli alunni di portare a scuola una foto, possibilmente scattata da loro, che ritraesse un ambiente antropizzato, ma non eccessivamente. Questa prima parte della consegna non è stata rispettata da tutti, dato che alcuni alunni hanno portato foto di ambienti naturali, sulle quali comunque ho deciso di farli lavorare ugualmente. La scelta preferenziale di una foto scattata da loro è stata dettata dal fatto che gli alunni potessero sentirsi maggiormente in sintonia con il luogo e che ciò potesse facilitare il processo di scrittura, mentre il vincolo di un luogo antropizzato, anche se non eccessivamente, nelle mie intenzioni doveva facilitare la creazione di una situazione narrativa.
Seconda fase: l’attività di scrittura è iniziata con una descrizione realistica e particolareggiata dell’ambiente ritratto nella foto; ho chiesto ai ragazzi di fare attenzione a tutti i dettagli, all’atmosfera, ai colori e alle altre dimensioni sensoriali, attività sulle quali si sono abbondantemente esercitati nella scrittura in prima e in seconda media. Come accennato, l’intenzione era quella di saturare il più possibile nel testo il polo del realismo.
Terza fase: terminata la descrizione, ho chiesto agli alunni di inserire nel testo un personaggio che parlasse in prima persona nell’ambiente descritto tagliando e/ o modificando, se necessario, la descrizione per meglio legarla alla parte successiva del testo. La voce del personaggio è venuta così naturalmente a coincidere con quella che fin lì aveva portato avanti la descrizione, cosa che ha consentito quindi di definire senza troppe difficoltà una voce narrante abbastanza coerente. Il personaggio non doveva essere biografico, poteva essere accompagnato da un secondo personaggio e doveva spiegare perché si trovasse in quel posto, cosa stesse facendo o avesse intenzione di fare, avviando in questo modo il racconto.
Quarta fase: ho chiesto ai ragazzi di inserire nel racconto qualcosa di strano, perturbante, misterioso, ambiguo, che non poteva essere spiegato razionalmente, e di lasciare il racconto in sospeso. Come accennato, ho trovato interessante che i ragazzi si confrontassero con una sorta di finale aperto, che consentisse loro di entrare in quello spazio di ambiguità irrisolto di cui si è detto sopra, del tutto aperto all’interpretazione.
Risultati
I testi sono stati riconsegnati su Classroom e nel complesso sono stati buoni. Di là dagli errori più ricorrenti in qualsiasi testo narrativo, specie se di invenzione, che riguardano principalmente l’alternanza dei tempi verbali del passato, le mie osservazioni sono state orientate soprattutto a calibrare, laddove necessario, la portata dell’elemento fantastico. Nel complesso i testi possono essere suddivisi in due grandi gruppi: testi contemplativi, in cui è stato preponderante il dato descrittivo, nei quali anche l’elemento fantastico è stato un fenomeno osservato e descritto nel dettaglio, pur restando incomprensibile e ambiguo; testi più spiccatamente narrativi, in cui l’elemento fantastico è venuto a coincidere con una situazione palesemente paradossale o inquietante.
Riporto di seguito due dei racconti. Il primo, pur rispettando la prima parte della consegna, che prevedeva appunto una descrizione dettagliata, ha un impianto narrativo ed è ispirato a una foto in piena luce del Colosseo, con il sole sulla sinistra e gli alberi in lontananza sulla destra, tratta da una rivista cartacea. Il secondo racconto trae spunto da una foto al tramonto di Pitigliano, presa da un giornale online (https://www.enjoymaremma.it/wp-content/uploads/pitigliano_62528835.jpg), ed ha un andamento contemplativo. Nel primo racconto il personaggio è solo ed è probabilmente un adulto a passeggio; nel secondo caso è un diciottenne, che riflette sul proprio futuro mentre osserva il paesaggio.
Le stranezze di Roma
Erano le sette del mattino, era un giorno sereno e sgombro dalle nuvole, il sole cominciava a levarsi in alto, l’aria era fresca e non si udivano rumori. Un silenzio spaventoso.
C’era una grossa pineta di colore verde chiaro e dei cipressi di colore più scuro.
Il Colosseo era gigantesco, con i suoi tanti archi e la sua struttura in pietra ormai rovinata dal peso degli anni.
Accanto c’era l’antica strada romana, fatta da sassi e terra, che si vedeva estendersi per chilometri. Vicino c’era un prato dove c’erano dei tavoli di legno.
Ero davanti al Colosseo, su una panchina, ero andato a vedere l’anfiteatro e fare un giro. Mi alzai e cominciai a camminare, poi notai che davanti ad esso c’era una recinzione e un cartello con su scritto: “È severamente vietato entrare nel Colosseo la domenica”. Io lo ignorai e proseguii per la strada; ad un certo punto vidi uno spazio di prato ben tenuto e delimitato da una staccionata, dentro c’erano dei tavoli di legno ed enormi rovi sparpagliati che formavano un labirinto.
Proseguii ancora per la strada e arrivai al Foro Imperiale, anche lì non c’era nessuno e mi resi conto che ero completamente solo.
Stavo guardando una grossa colonna del Foro ed in un battibaleno il cielo cambiò e diventò grigio e freddo; essendo solo e con quel tempo il Foro mi dava molta inquietudine, quindi me ne andai.
Sulla via del ritorno mi venne la curiosità di vedere cosa c’era nel labirinto di rovi e all’interno del Colosseo, quindi decisi di andare.
Appena arrivato davanti alla staccionata la scavalcai e andai verso il labirinto, ci entrai e vidi che lì c’era molta nebbia ma andai avanti lo stesso. Penso di essere rimasto a vagare lì per ore. Finalmente trovai l’uscita che mi portò direttamente alla pineta.
La pineta era buia e cupa e c’erano molti aghi di pino per terra, la esplorai per un po’ di tempo, quando improvvisamente mi ritrovai davanti ad un fosso. Mentre lo stavo attraversando nella salita mi bloccai perchè vidi l’esercito romano che passava. Rimasi lì a guardarlo immobile, ci mise mezz’ora per passare marciando verso il Foro. Quando gli ultimi soldati sparirono nella nebbia, corsi come il vento verso il labirinto, ma mentre correvo mi girai e vidi l’esercito che marciava verso il fosso e mi resi conto che se fossi rimasto lì qualche minuto in più non avrei saputo dire cosa sarebbe successo. Corsi fuori dal labirinto e arrivai di fronte al Colosseo, quindi presi coraggio e scavalcai il cancello, entrai da un arco e quando vidi l’arena mi resi conto troppo tardi dell’errore: due uomini mi diedero spada e scudo e mi spinsero nell’arena. Ero terrorizzato, dentro c’erano le tribune piene di gente che esultava e due gladiatori che combattevano. Poi vidi un cancello che si apriva, riuscivo a vedere l’esterno, quindi decisi di correre in quella direzione per uscire. Corsi velocissimo verso il cancello e uscii fuori scavalcandolo con un balzo, poi andai diretto a casa mia.
Da quel giorno non andai mai più al Foro o al Colosseo.
Inquietudine a Pitigliano
Sto osservando una collina verde smeraldo, la cui superficie è ricoperta da teneri steli di erba fresca al di sotto di un sottile strato di rugiada.
Lungo i suoi versanti crescono grandi alberi il cui tronco, che si sviluppa in altezza, è ricoperto da limpide gocce di resina e le loro chiome, formate da tenere foglie verdi pastello, con il loro movimento ondeggiante provocato dai lievi zefiri, mi rilassano. In fondo alla vallata, le limpide acque di un fiume scorrono impetuose e portano con sé vari ciottoli di un’ampia moltitudine di colori.
In cima a questa splendida collina vi è un paesino le cui mura in tufo, ormai erose dal vento e dal tempo, circondano il borgo. Pitigliano… è il nome di questo paese, che ha un castello che si innalza verso il cielo a spezzare il tramonto che sembra dipinto da un pittore con la sua tavolozza dai mille colori, al centro del cortile che con le sue campane in ottone scandisce l’ora.
Io sono immerso in questa meraviglia di paesaggio, seduto su una roccia ai piedi di un albero, mentre penso incerto e con paura al mio futuro, come nei più famosi quadri.
Sono solo un diciottenne che con uno sguardo attento scruta tra le fronde degli alberi gli stormi di uccelli che, nel volare di qua e di là, mi ricordano i pensieri rifugiati nella mia testa, che provocano ansia verso il futuro…
Però adesso… non credo a ciò che sto vedendo. Si sta formando una voragine nelle mura di tufo; i mattoni, i blocchi, i pilastri vengono risucchiati in un punto come se un buco nero fosse lì…
Da quel punto vedo… che una strana luce mista fra il viola e il rosso viene sprigionata nell’ambiente, le tremule foglie degli alberi che prima erano verde pastello ora sono viola, sembrano in vetro e il tronco resinoso adesso è grigio scuro, in alcuni punti ancora il fuoco sta consumando il tronco, facendo cadere a terra carboni ardenti…
I verdi steli d’erba ora sono rosso sangue, come se si fosse combattuta una guerra sopra.
Non so cosa fare, le mani mi tremano… e per la testa mi passano mille pensieri… e adesso?
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