Lo strappo nel cielo di carta della scuola (sulle parole, sul dogmatismo, sulla lotta).
Le parole e le cose
Tante parole sulla scuola generano un conflitto, e i conflitti più dolorosi sono quelli che nascono con chi, come te, crede in una scuola democratica. Tre casi mi sembrano emblematici: voto, competenza, frontale (nell’espressione lezione frontale).
Sostituire la lezione frontale produce un recupero di partecipazione e consapevolezza; lavorare per competenze cancella il rischio del nozionismo e della distanza fra istruzione e mondo reale; l’abolizione del voto rende la scuola più inclusiva e promuove l’uguaglianza: è abbastanza facile trovarsi uniti a contrastare queste facili retoriche. Un minuto dopo, però, ci si trova a dividersi e a litigare sul senso che noi e i nostri compagni di viaggio (e di lotta) attribuiamo a queste stesse parole.
Ѐ vero, per esempio, che il costrutto delle competenze viene utilizzato in prospettiva futura nel quadro di un processo di aziendalizzazione delle scuole, e risulta spesso sinonimo di allontanamento dal sapere disciplinare, che tante e tanti fra noi considerano un bene supremo. Non è vero, invece, che sia aria fritta, né che la sua parte migliore (la spinta a rendere vitali le conoscenze e i processi logici acquisiti misurandone l’utilità nella comprensione della realtà, e nella produzione di ipotesi di senso su di essa) sia pratica comune. Tuttavia spesso lo si sente dire con frasi abbastanza generiche e autoreferenziali: “io lo faccio già”, “si fa così da sempre”, “è così che fanno i bravi insegnanti”.
Ѐ vero che, pur non essendo ontologicamente connaturato al percorso di insegnamento/ apprendimento, il voto è un elemento di chiarezza e crescita comune dei soggetti implicati in questo percorso. E lo diviene quando chi insegna costruisce intorno al voto una cultura condivisa con chi apprende. Tuttavia, è vero anche che ci sono insegnanti che sembrano ignorare la natura storica di questo sistema di misurazione, e trasformano la valutazione numerica in strumento di oppressione e manifestazione di arbitrio, sostituendo al dialogo e al confronto la paura, la distanza e l’umiliazione.
Ѐ vero, infine, che molte e molti docenti sanno suscitare attenzione e partecipazione organizzando nei modi più diversi e ugualmente efficaci un’attività frontale, alternando sapientemente momenti (magari intere lezioni) in cui domina la loro voce con altri in cui si lavora in forma dialogica e seminariale: perché ascoltare a lungo e prendere appunti non implica di per sé passività intellettuale. Però, è innegabile che esistano insegnanti capaci di uccidere qualsiasi curiosità e attenzione con la sola forza della noia che suscitano le loro parole, che in genere sono tante e esclusive. E che in questo caso, pur non esistendo scampo alcuno (il docente noioso tecnologizzato si trasforma infatti in docente noioso 4.0), una diversa spaziatura e il ricorso a strumenti diversificati attenua la noia e apre allo studente la possibilità di apprendere, magari in solitudine.
I dogmatismi sono tutti uguali?
In un processo di opposte polarizzazioni tutti sono in grado di proporre argomenti e esempi a favore della propria tesi, perché l’unica possibile opzione offerta dal pubblico dibattito è “Voto Sì o No?”, “Competenze sì o no?”, “Lezione frontale sì o no?”. Questo genere di forzatura logica, tipica dei talk show televisivi e spesso dei gruppi social, spinge in maniera inesorabile verso la cancellazione dell’argomentazione e le semplificazioni intellettuali. Spesso sfocia in opposti dogmatismi, e nell’intolleranza verso ogni singola idea/ obiezione della parte avversa.
Tuttavia i dogmatismi sono tutti uguali solo in una dimensione di teoria psicologica della comunicazione: confrontarsi davvero con una persona dogmatica è pressoché impossibile, dal momento che la sua posizione implica l’impossibilità che cambi idea (la verità non si discute) e la pura e semplice intenzione di convertire l’interlocutore.
Se invece ci poniamo in una dimensione sociale e guardiamo al dibattito pubblico, i dogmatismi sono molto distanti fra loro: li separano infatti rilevanti differenze, di matrice politico-culturale e (con una metafora bellica) di potenza di fuoco.
Da una parte, infatti, c’è un dogmatismo accademico e istituzionale: quello, per fare un esempio significativo, che ha deciso unilateralmente che la tecnologia farà il bene della scuola, o che bisogna insegnare le soft skills, o che è in procinto di decidere che un solido nesso fra istruzione e lavoro deve essere costruito a partire dalla primaria. Questa posizione non ha nessuna intenzione di confrontarsi con le obiezioni e le risultanze contraddittorie che emergono dall’esperienza reale. Un simile dogmatismo procede attraverso l’imposizione di obblighi, sperimentazioni dall’esito scontato, massiccia formazione del personale in direzione univoca. Ne sono un plastico esempio i progetti del PNRR di cui tanto abbiamo già discusso su queste pagine. Alla sua base, c’è una concezione verticistica della scuola, in cui l’esperienza è svalutata (secondo la retorica giovanilistica che impera anche nella professione docente) e la base va addestrata tramite nuovi metodi ideati da qualcuno che sta al di sopra e si considera superiore.
Dall’altra c’è, quando c’è, un dogmatismo reattivo, che lotta spesso a mani nude contro imposizioni ministeriali e ricchi specchietti per le allodole (come la recente campagna di aumenti stipendiali di cui si è ammantata l’introduzione della figura dei tutor, nuovo deus ex machina del successo scolastico e dell’inclusione). Si può certo accusare questa posizione dogmatica, che definirei difensiva, di eccesso di radicalismo, ma non di mancanza di coraggio e intelligenza, né di chiusura al confronto. Ridurre le sue istanze critiche ad una caricatura, magari sfruttando le forzature e gli eccessi di alcune discussioni sui social, è un’operazione francamente disonesta.
Dietro la maschera
Salvo eccezioni che non conosco, litigare sulla didattica per competenze, sulla cancellazione del voto numerico, sulla lezione frontale con le persone che sentono di rappresentare il nuovo che avanza e di incarnare il futuro della scuola contro i passatisti tradizionalisti, è del tutto inutile. Invece, litigare su questi stessi temi con persone che in molti casi la pensano come te, ma rigettano in modo radicale alcune ipotesi e pratiche, perché le considerano negative a prescindere da contesti e situazioni, può essere illuminante per tutti gli interlocutori.
Per non cadere nella trappola del “riflesso social”, nel bisogno di riconoscersi parte di un gruppo granitico – una trappola che non ammette sfumature e legge le contraddizioni come tradimenti – si potrebbe allora proporre di eliminare le parole che generano equivoci e condizionamenti psicologici. Provocando lo stesso effetto di verità, di irruzione della realtà, descritto da Pirandello attraverso l’immagine dello strappo nel cielo di carta.
Cosa resta davanti ai nostri occhi se strappiamo il fondale delle competenze, del voto numerico, della lezione frontale? Quali ideali di appartenenza e di condivisione ci appaiono?
A me sembra che restino tre idee, fortemente correlate fra loro, che oggi sono messe profondamente in discussione.
La prima è la centralità delle persone, e fra esse quelle che insegnano, nell’architettura del sistema formativo. Il primato degli esseri umani sui metodi e sulle tassonomie. La seconda è la piena libertà e responsabilità di chi insegna, di fronte a una forte pressione di omologazione e subordinazione delle persone a formati e procedure. La terza è la rivendicazione dei diritti della comunità scolastica a non vedersi calare dall’alto imposizioni e condizionamenti professionali, senza alcuna seria sperimentazione o condivisione.
Si chiama democrazia reale, anche nella scuola. Non da oggi, è messa in discussione. Al di là delle nostre differenti idee su competenze, voto, lezione frontale, sono questi i beni che dobbiamo difendere insieme.
Articoli correlati
Nessun articolo correlato.
Comments (1)
Lascia un commento Annulla risposta
-
L’interpretazione e noi
-
Breve storia dell’amnesia
-
Sul Narratore postumo di Sergio Zatti
-
Tra neorealismo e persistenze moderniste: il romanzo italiano degli anni Cinquanta
-
Il romanzo neomodernista italiano. Questioni e prospettive – Tiziano Toracca dialoga con Federico Masci e Niccolò Amelii
-
-
La scrittura e noi
-
“L’unico modo che abbiamo per non precipitare nel terrore”. Intervista a Edoardo Vitale
-
Antifascismo working class. Intorno all’ultimo libro di Alberto Prunetti
-
Auster in aula
-
Oggetti dismessi tra incendio e rinascita – Sul romanzo d’esordio di Michele Ruol
-
-
La scuola e noi
-
Matteotti cento anni dopo, fra storia e didattica
-
Politica e cultura: i dilemmi che abbiamo creduto oltrepassare. Verso una nuova stagione di lotte nella scuola?
-
La scuola ai tempi del Mim /1: cultura di destra e crisi della globalizzazione liberal
-
I paradossi dell’orientamento narrativo
-
-
Il presente e noi
-
Il convegno di LN: i laboratori/3. Leggere la poesia d’amore medievale nella secondaria di primo e di secondo grado
-
Il convegno di LN: i laboratori/2. Tra narrazione e argomentazione
-
Il convegno di LN: i laboratori/1. Oltre le ideologie del digitale
-
Il convegno di LN: le relazioni/3. La formazione docenti (di letteratura) iniziale e in itinere
-
Commenti recenti
- Daniele Lo Vetere su La scuola ai tempi del Mim /1: cultura di destra e crisi della globalizzazione liberalGrazie a te dell’attenzione, Attilio.
- Attilio Scuderi su La scuola ai tempi del Mim /1: cultura di destra e crisi della globalizzazione liberalRingrazio Daniele Lo Vetere per questa prima, lucida tappa di una riflessione che seguirò con…
- Oliviero Grimaldi su Soft skills /2. Come ti spaccio le “soft skills” per risorse emotive della classeMolto interessante e quasi del tutto condivisibile. Resta aperto un problema: la stragrande maggioranza dei…
- CONVEGNO LN “LA DISUMANIZZAZIONE DELLA VITA E LA FUNZIONE DELLE UMANE LETTERE” | ADI-SD SICILIA su Il convegno di LN: i laboratori/1. Oltre le ideologie del digitale[…] La relazione del laboratorio didattico curato da Alberto Bertino e Stefano Rossetti: Oltre le…
- Teresa Celestino su Il convegno di LN: le relazioni/3. La formazione docenti (di letteratura) iniziale e in itinereBellissimo intervento. Del resto, sostenevo molte delle posizioni qui presenti in un contributo scritto qualche…
Colophon
Direttore
Romano Luperini
Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Gabriele Cingolani, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
A proposito di voti. A quest’articolo dieci e lode. Chapeau.