Ce la faremo. Per Nanni Balestrini
La redazione di LN si prende due settimane di pausa per le feste natalizie. Torneremo a pubblicare pezzi inediti il 13 gennaio 2020. Nel frattempo ripubblicheremo alcuni articoli dell’anno passato per i nostri lettori.
Ce la faremo: ecco la chiusa di una poesia tutta protesa in avanti, incentrata com’è su forme di chiusura così rigorose da produrre esplosioni anziché sigillare. Ce la faremo è l’ultimo verso di un poemetto intitolato Le radiazioni del corpo, scritto da Balestrini tra agosto e novembre 2018 e uscito postumo, il 20 maggio, su “alfabeta2”. Esplosioni si chiama, invece, l’ultimo libro da lui licenziato e da poco andato in stampa, per le Edizioni del Verri. Disposti in fila, questo titolo e quel verso conclusivo si risemantizzano a vicenda assumendo un valore testamentario e insieme profetico: un lascito che sia incitamento al futuro.
Proviamo allora a parlare dell’opera di Nanni Balestrini. Proviamo a farlo a partire alle sue evoluzioni più recenti, quelle del nostro secolo. Proviamo a puntare lo sguardo su Caosmogonia, il libro del 2010 che ha tutta l’aria di una summa, che porta insomma il lettore nel cuore della ricerca artistica di Balestrini.
Tutta la prima metà del libro è occupata da un trittico dedicato a tre grandi artisti del Novecento: un pittore, Francis Bacon (Tre studi per un ritratto di F. B); un compositore, John Cage (Empty Cage); un regista, Jean-Luc Godard (Fino all’ultimo). A questo trittico è affidata, prima di tutto, la dichiarazione della necessità di una vicinanza tra la poesia e le altre arti, di un loro dialogo, all’interno dell’attività artistica di Balestrini straordinariamente profondo e ininterrotto, tanto da costituirne una delle cifre: poeta, narratore, artista visivo, autore di testi per musica. Il dialogo tra le arti è portato dentro i versi, dove vengono continuamente sollecitate modalità conoscitive fondate sulla simultaneità, ma a partire da una prima percezione sequenziale, con l’ambizione di far uscire la scrittura dalle gabbie della linearità, per spiccare «un salto nella linearità», «frantumare la loro linearità/perché tutto possa accadere». Ciascuno dei tre pannelli del trittico è organizzato in strofe di sei versi. La rigorosissima struttura formale fa perno sulla dialettica tra ripetizione e variazione: il primo pannello è articolato in tre parti di undici strofe ciascuna, per un totale di trentatré strofe; il secondo non ha suddivisioni interne oltre a quella in strofe (venti) numerate; il terzo è organizzato in due parti formate rispettivamente da dodici e tredici strofe. L’ultimo pannello, inoltre, ostenta una struttura circolare: l’ultimo verso è identico al primo («prima non c’è nulla e poi all’improvviso»), a chiudere significativamente il cerchio con un’esplosione («all’improvviso»). I principi compositivi della ripetizione e della variazione vengono messi a reagire tra loro: ripetere per creare nuovi legami («ogni ripetizione deve creare un’esperienza del tutto/ nuova») e variare per far brillare le forme nell’esplosione («provocare un altissimo grado di disordine/ un clima molto ricco di gioia e di smarrimento»).
Jean-Luc Godard: il richiamo all’arte della regia è cruciale. Tutta l’opera di Balestrini, in primis la poesia, si fonda sulle tecniche del montaggio (perché «il montaggio vuol dire vedere la vita»). La conclusione di Caosmogonia è affidata a paradossali (ma non troppo, in una poesia tutta protesa oltre) Istruzioni preliminari, un testo la cui forma corrisponde a quella della sestina lirica (ancora una microstruttura di sei versi, come nel trittico iniziale): questo approdo non può non indicare l’esistenza di una parentela tra certe forme metriche chiuse e le tecniche del montaggio, insomma tra poesia e cinema, e istituire un cortocircuito tra pratiche di sperimentalismo estremo (la combinazione aleatoria di segmenti verbali che si incastrano e si spezzano gli uni negli altri) e le forme della tradizione lirica.
Francis Bacon, John Cage: arte visiva e linguaggio musicale sono due riferimenti costanti di Balestrini, autore di poesie visive (penso, per esempio, ai Cronogrammi) e di testi per musica (per esempio Elettra; ma il riferimento alla musica è anche in testi non propriamente per musica, come Blackout). E in fondo tutta la sua poesia (ma il discorso può valere, mutatis mutandis, anche per i suoi romanzi) è anche visiva: i versi compongono rigorose figure geometriche e i testi prendono forma attraverso il montaggio di blocchi che somigliano a sottili lastre di materia in movimento, che si accostano, si urtano, si sovrappongono e, talvolta, in questo muoversi continuo, si lacerano sotto l’effetto di un potente «strappo sonoro». Il versante sonoro e orale è l’altro grande polo verso cui gravita tutta l’opera di Balestrini. Già nel 1966 il suo primo romanzo, Tristano (titolo che, nelle parole dell’autore, è un «ironico omaggio all’archetipo del romanzo d’amore»), metteva in crisi il mito tipografico e filologico della versione unica e ultima di un testo promuovendo, anche per la pagina scritta, il valore dell’instabilità, un tratto tipico del testo orale, che muta al mutare delle situazioni: Tristano è, infatti, un romanzo multiplo, essendo ogni copia diversa dall’altra. Ma tutti i romanzi di Balestrini sono legati all’oralità, sia a monte (le parole sono prelevate dal flusso sonoro realmente ascoltato e ri-lavorato) sia a valle (la struttura ha una circolarità costruita sull’accostamento di lasse fortemente scandite e ritmate, destinate a una lettura ad alta voce). Balestrini ha inventato un modo di comporre romanzi che porta a salutare deflagrazione tratti romanzeschi e tratti epici. E la vocazione epica è tutta rivolta a salvare dall’oblio ciò che, nel nostro presente, non vediamo (Gli invisibili è il titolo di uno dei suoi romanzi maggiori): non guarda alle origini mitiche, ma alla cronaca della realtà presente, con le piccole parodiche epopee dei suoi gruppi. E il procedimento dell’inserzione e rielaborazione di voci strappate al flusso comunicativo («siamo pieni di mezzi di comunicazione»), tanto nelle opere poetiche quanto nei romanzi, conferisce all’epica di Balestrini un tratto di paradossale plurivocità: è un’epica che non sa essere corale, se non a strappi e a strattoni, che scava per restituire voce e memoria a chi le ha perdute, per disordinare le forme («la forma liberata dalla palude delle sintassi») e scatenare gioia e smarrimento:
non più dominanti e dominati ma forza contro forza
si può sentirne lo strappo sonoro
scorrere il sangue la nuova vita che arriva
Ecco come si conclude Caosmogonia. Ce la faremo, appunto.
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