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diretto da Romano Luperini

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Milo De Angelis, Alta sorveglianza

Pubblichiamo le prime XIV sequenze della sezione “Alta sorveglianza” dall’ultima raccolta di Milo De Angelis (“Incontri e agguati”, Milano, Mondadori, 2015).

 

 

 

 

 

Professore, forse un giorno riuscirò a parlarvi della

mia giovane sposa e del mio delitto… forse ci riuscirò…

forse a fine anno… nell’ultima pagina di un tema.

(alunno della terza di Opera, compito in classe)

Non ho mai visto un uomo

fissare con uno sguardo così assorto

quella sottile tenda azzurra

che i detenuti chiamano cielo.

………………………………………………

Ognuno uccide ciò che ama.

(Oscar Wilde, La ballata del carcere di Reading)

I

In carcere bisogna parlare

lo sanno anche i taciturni come te

il veleno si fa strada in ogni silenzio

la notte ti interroga ti interroga

e tu alla fine hai risposto

parlavi di lei corpo sposa tenaglia

lei come una grazia folgorata

nessuno nel vederla resta vivo

parlavi di lei oscura furia delle melograne

luce selvaggia al cadere di una veste

assoluto mescolato all’ora d’aria.

II

Quando hai cominciato l’opera

eri chiuso nel quadrilatero della tua voce

e ripetevi che le crepe sul muro, la luce

obliqua dei finestrini, i corridoi sbilenchi

tutto era pensiero

e questo pensiero era più forte di te,

si faceva materia, ti ingoiava.

III

Opera, sei dappertutto ma non so dove sei.

Voce del male sbarrato, forse sei qui, nella grigia

stalla di via Camporgnago quaranta, sei

tra le attenuanti e i narcisi del volontariato

sei qui e non sei qui ti trovo e ti perdo nel suono

della scheda magnetica o nel grido di una requisitoria

sei scomparso e sei dentro di noi che avanziamo

passo dopo passo verso un dolore

tanto più incerto quanto più sembrava prossimo.

IV

Hai visto franare la tua vita

tra codicilli, arbusti e demoni fangosi

hai sentito la potenza della cella

come un’ombra colpita

si oscurava l’armonia dei viventi

la giovane morta si incideva le braccia

si faceva eterno il tatuaggio.

V

Qui non è prevista

la stagione dei dodici raccolti

qui ogni mese può essere infinito

o mancare per sempre

dipende da un giro di sigarette

da una compravendita o da un agente

che non ha ricevuto la giusta adorazione

e compila un rapporto feroce

dove ogni ora d’aria è avvelenata

e ogni parola trova un movente.

VI

Ma le mura le avevamo già dentro

le notti curvilinee ci tornavano addosso

aprivo al mattino gli occhi lapidati

nasceva una prossimità violenta

si formava l’assedio.

VII

Qui sciamano preti operosi

hanno labbra gonfie

si aggirano nel loro terreno di caccia

si nutrono con le croste di ogni colpa

benedicono tutto indifferenti

indifferenti preparano la deportazione.

VIII

Sei un’ansia che non ha luce, dicevano,

sei nell’ateismo

di ogni battito cardiaco, reclusione, reclusione.

IX

Allora hai risposto, gentilmente, che sei tornato

dall’al di là, hai risposto che dio non esiste

ma le anime sì: alcune sono rinchiuse in grandi pollai

dove tutti camminano lentamente

avanti e indietro, con un vestito marroncino

come questo, guardate, proprio come questo.

X

Stiamo in punta di piedi per questo spettacolo

dell’al di là: vediamo le donne momentanee

e il disegno sacro dell’edera, vediamo

grappoli maturi, nell’ora della giusta previsione,

finché lei si toglie la veste morta e divampa

il suo graffito sul muro della cella.

XI

Con la sua fiamma ossidrica, il dolore

ci raggiunge, perfora il ferro dei nostri

quattro punti cardinali,

tocca il nervo indifeso, indugia, insiste

lo fa prigioniero, lo trapana

fino al nucleo dell’urlo, fino all’istante crollato

in se stesso, mentre intorno si allunga

il corridoio delle mille anime vaganti.

XII

Nella punta di questa matita

c’è il tuo destino, vedi, nella punta

aguzza e fragile che scrive sul foglio

l’ombra di ogni frase e scrive

le mura cieche, l’attenuante e il soliloquio

il tuo destino è proprio qui, in questo

immobile trasloco, in questo impercettibile

sorriso che un uomo offre

al mondo prima di sparire.

XIII

Questo destino che nessun diario

raccoglie, nessun giornale, cronaca

o storia, vive nel sibilo

di un ricordo, nel suono

della giovinezza: il frutteto fantastico

e un fruscio negli abbaini,

e poi qualche grammo, il pigolio

del giudice di sorveglianza,

un’edicola notturna, una retata.

XIV

Era l’aggravarsi

di ogni atto nel buio di se stesso,

la cieca evasione, l’indulto

che ha potuto liberarci

per una notte sola,

per una sola notte sterminata.

XV

“Ascolti,

professore, ora parlerò di lei

parlerò della viola naufraga,

del petto martire, della valanga:

parlerò di lei, l’ultimata.”

XVI

“Lei donna di sedici anni diadema del sangue

codice lunare nelle guglie della sera

fervore di ceneri via lattea.”

XVII

“Ieri in cielo ho visto Sirio, amico mio,

e ho pensato che quello era il mio soprannome,

il nome di un ragazzo solitario

che additava un piumaggio di nuvole

e chiedeva quando torneranno, quando

tornerà quel visibilio di viole e di fiaccole.

Non devi amarla – risposero – non devi

amarla più.”

XVIII

“Profezie sottomarine

dicevano la catastrofe

ma io ho accettato ma io ho voluto

ridurmi a questo muso duro

che nei corridoi contratta con gli infami

l’orario delle visite. E ogni giorno

nell’orbita tremante cresce l’uragano

della donna sterminata”

XIX

“Superati i confini della grotta,

tutto ritornò musicale

ritornò l’attimo del grande incantamento

come una festa dell’essere,

lei sorrise!”

XX

“Sorrise, aprì la porta, scherzò nella luce

azzurrina della sua ultima stanza, aprì

allora la porta in un silenzio

fatato e violento. Il suo regno

era l’attimo, la scintilla, il rossore.

Ma quella gonna viola troppo corta

quel luccichio sconosciuto nella pelle!”

XXI

“Tagliata alla radice,

l’ombra ha compiuto il crimine

una disarmonia senza riposo

un figlio creato che impazzisce e trema

nel giardino dei corpi,

una mano screpolata, una semplice

mano premuta sul ferro”

XXII

“Riappare quel giorno immobile

sul sentiero dell’estinzione

e noi siamo la forma destinata

a quel gesto magistrale:

ricordo solo il bacio

che diventò strage cieca e senza tempo”

XXIII

“Campane mute e capovolte

ora circondano il corpo

intorno al collo un filo di perline

aveva l’ansia di una daina

aveva intuito e provò a fuggire

ma il piede in corsa mosse una valanga

e iniziò il minuto esteso

della morte”

XXIV

“Una donna così si uccide solo con il coltello

si uccide corpo a corpo in una vicinanza

che zittisce le melodie del suo respiro

e l’ho colpita l’ho colpita con una certezza

vicina all’oblio… poi l’estate

precipitò nella notte

e mi nascosì lì, colpevole e tremante…

… per un intero minuto

l’ho colpita”

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