La mimesi demistificante di Richard Yates: su Revolutionary Road
Revolutionary road di Richard Yates, apparso nel 1961 in America, è divenuto nel tempo un vero e proprio libro di culto per la rappresentazione della Middle Class, tratteggiata realisticamente nella periferia statunitense degli anni Cinquanta. Il romanzo, già pubblicato da Garzanti nel 1964 con il titolo I non conformisti (traduzione di Adriana Dell’Orto), è stato riproposto nel 2003 da Minimum Fax che ha avuto il merito di restituire all’opera il suo titolo originario. Nella narrazione delle vicende della famiglia Wheeler, infatti, l’ambientazione assume un valore rilevante, dal momento che dà addirittura il titolo al romanzo. Revolutionary road è la strada che attraversa un’area suburbana di New York punteggiata da un’infilata uniforme di case – “enormi villette a due piani dipinte dei più nauseanti colori pastello” – e che sfocia ai piedi di Revolutionary Hill, l’altura dove spicca un “amore di casa in una posizione deliziosa”:
Quella casetta bianca, la vedete? Carina, vero? Vedete com’è deliziosa, in cima a quella salitella? […] Sì, il luogo offriva delle possibilità. Il disordine crescente delle loro esistenze poteva ancora essere sistemato e adattato a queste stanze, tra questi alberi; e che importava se ci voleva del tempo? Chi poteva aver paura in una casa come questa, così ampia e luminosa, pulita e tranquilla? (R. Yates, Revolutionary Road, Minimum Fax, 2017, pp. 72-73)
I Wheeler: il piano inclinato del conformismo
Il romanzo, considerato unanimemente il capolavoro di Yates, é incentrato su una coppia di trentenni, Frank e April, dalla vita piuttosto ordinaria: lui è impiegato in un’azienda dove ritiene di svolgere “l’occupazione più cretina che si potesse immaginare”; lei, dopo aver accarezzato l’idea di diventare attrice, ha ripiegato sul matrimonio, anche per riparare alla prima gravidanza inaspettata: da allora bada alla routine familiare e ai due figlioletti. L’acquisto dell’abitazione su Revolutionary Hill incarna il sogno della coppia di elevarsi al di sopra del conformismo da cui si vede circondata: la sua potenziale originalità rispetto a uno stile di vita insignificante e omologato viene perciò proiettata sulla casa, percepita come ciò che può esplicitare, simbolicamente, l’anticonvenzionalità dei Wheeler allo sguardo proprio e altrui, i tratti velleitari del progetto di vita della coppia.
Tuttavia la svogliatezza di Frank, la sua abitudine ad accumulare pratiche su pratiche senza svolgere davvero alcuna mansione con la dovuta attenzione smascherano da subito la mediocrità dell’uomo, finito per fare l’impiegato nella medesima azienda in cui era invecchiato il padre; allo stesso modo l’annoiata devozione di April verso i compiti domestici e la cura quasi maniacale rivolta alla loro villetta finiscono per svelare la tenace volontà di “apparire” piuttosto che di “essere”.
Il fiasco della rappresentazione teatrale a cui April partecipa come protagonista nella filodrammatica locale, episodio su cui si apre il romanzo, rappresenta però il punto di partenza di uno smottamento lungo un piano inclinato che condurrà marito e moglie a un epilogo tragico. Infatti, ambiziosamente rivolti verso un’esistenza di coppia originale, Frank e April percepiscono i primi scricchiolii della loro vita coniugale in coincidenza dello spettacolo teatrale a cui la donna ha preso parte, spettacolo fallimentare proprio per il provincialismo che lo caratterizza:
Lo spettacolo sembrò durare per ore, e fu una crudele e protratta prova di sopportazione, con April Wheeler che recitò male come gli altri, se non peggio. Al momento culminante, dove il copione prescrive che la drammaticità della scena di morte sia sottolineata da spari provenienti dall’esterno e da raffiche del mitra di Duke, Shep Campbell lasciò partire le sue raffiche così fuori tempo, e i colpi d’arma da fuoco che gli risposero dalle quinte furono così fragorosi che le parole degli innamorati si persero in un trambusto assordante e fumoso. E quando il sipario calò, parve un atto di misericordia. (Ivi, pp. 47-48)
Nel corso di quella notte, a partire dalle reciproche recriminazioni, Frank e April toccano con mano quanto la loro vita sia appiattita su comportamenti di omologata banalità. Dapprima April risponde con brusca distanza ai tentativi dell’uomo che, mentendo sulla qualità della sua recitazione, cerca di consolarla e rassicurarla; in seguito, sulla strada del rientro, il litigio diventa inevitabile e i due, fermi lungo il ciglio stradale, sbottano in un crudo duello verbale: all’uomo che la accusa di fare “una gran bella imitazione di Madame Bovary” e di avergli affibbiato “la parte del marito borghese, sordo e insensibile” lei gli ribatte di essere riuscito a metterla “in trappola” e di ricorrere ai ceffoni pur di mettere a tacere le sue critiche: “Ah, l’ho sempre saputo che avrei dovuto essere la tua coscienza e il tuo cuore, nonché il tuo punching-ball.”
Una volta a casa, è il mobilio stesso a mettere a nudo la pretenziosità della loro vita che vorrebbe distinguersi da quella dei vicini – i Campbell e i Givings – ma che non è poi così diversa dalla loro. Il realismo di Yates raggiunge la sua esemplarità nella meticolosa descrizione, solo apparentemente superflua, di questi dettagli. Infatti, come il barometro appeso nel salotto di Madame Aubain in Un cuore semplice di Flaubert non è certo funzionale a far progredire la vicenda ma ne illumina la sostanza, così gli arredi dei Wheeler, che suscitano l’impressione di trovarsi a un’asta pubblica, smascherano il conformismo della famiglia con un magnifico esempio di “effetto di reale”:
Al primo erompere del chiarore la stanza sembrò ondeggiare, il suo contenuto fluttuare, e anche quanto tutto tornò al suo posto il soggiorno continuò ad avere un aspetto provvisorio. Il divano era lì, e lì era il tavolo grande, ma avrebbero potuto benissimo essere l’uno al posto dell’altro; e c’era la parete di libri, puntualmente intenta a disputare il predominio alla finestra panoramica, ma avrebbe anche potuto essere una biblioteca pubblica. Gli altri arredi avevano, è vero, eliminato l’impressione della rispettabilità piccolo borghese, ma non erano riusciti a sostituirla con altre qualità. Sedie, tavolino da tè, lampada a stelo e scrittoio se ne stavano lì, come oggetti arbitrariamente radunati per un’asta. (Ivi, pp. 73-74)
È April a intuire, seppur confusamente, la spirale nel quale lei e il marito sono finiti ed è lei a marcare una separatezza tutta interiore rispetto all’uomo, cominciando a dormire sul divano. Tuttavia sarà ancora lei a cercare di governare la frana che li sta investendo, con la proposta di trasferire tutta la famiglia a Parigi, chimera e mito a lungo accarezzati e inseguiti dagli americani tra gli anni Trenta e il secondo dopoguerra. Con il suo eccentrico progetto April sembra voler offrire una possibilità di riscatto a entrambi: mentre lei potrà emanciparsi dai lavori domestici impiegandosi presso gli uffici di segreteria della Nato – suggerisce entusiasta – Frank potrà liberarsi del noioso lavoro impiegatizio per dedicarsi alla realizzazione del sogno della sua vita. Tuttavia, a quest’altezza, il narratore ha già disseminato nel testo una serie di indizi che fanno intendere come Frank non abbia alcun sogno da realizzare – non ne ha certo lo spessore culturale o caratteriale – e che è April a attribuirgli una vivacità mentale che lui è ben lontano dall’avere; tutto sommato ciò a cui aspira davvero è continuare la sua piatta vita, fatta di lunghi pranzi di lavoro ad alto tasso alcolico, di qualche scappatella con una segretaria compiacente, Miss Grube, e di una vita domestica “a corrente alterna”:
Lungo il tragitto di ritorno a Revolutionary Road, permise alla propria mente d’indugiare soltanto in pensieri piacevoli: lo splendore della giornata, il lavoro compiuto che si trovava sulla scrivania di Pollock, i tremila dollari in più all’anno, perfino la “riunione tanto per fare conoscenza” in programma per il mattino successivo. Non era poi stata una brutta estate, dopotutto. Ora, correndo verso casa, poteva prospettarsi il piacere di fare una doccia e d’infilarsi in panni puliti; poi avrebbe bevuto un po’ di sherry […] e sonnecchiato sul New York Times per tutto il resto del pomeriggio. E dopo cena, se tutto andava bene, sarebbe stato il momento giusto per fare ad April un discorsetto ragionevole, pieno di buon senso, in merito a quella seccante faccenda del divano. (Ivi, p.365)
La follia demistificante di John Givings
Revolutionary road è senza dubbio il romanzo di April a Frank Wheeler – e la trasposizione cinematografica che ne ha fatto Sam Mendes nel 2008 rende perfettamente la centralità dei due protagonisti, ben interpretati da Leonardo Di Caprio e Kate Winslet -; eppure, ogni altro personaggio compaia nel romanzo funziona da cartina di tornasole rispetto alla coppia: l’ampia costellazione di vicini, amici, colleghi di lavoro sono destinati a dimostrare loro malgrado, con le piatte vite domestiche e le scialbe relazioni sociali, entrambe annaffiate da generose bevute, la labilità di una esistenza condotta tra perbenismi e ipocrisie.
Una voce fuori dal coro tuttavia c’è ed è a questa che Yates affida il compito di mettere a nudo la vacuità e la falsa coscienza di tutti, protagonisti e comprimari: si tratta di John Givings.
All’incirca coetaneo dei Wheeler, l’uomo viene descritto dalla madre Helen, la matura signora che ha fatto da mediatrice immobiliare per l’acquisto della villetta su Revolutionary Hill: la donna lo presenta come un’insegnante di matematica che, a causa di un esaurimento nervoso, è stato ricoverato nel vicino manicomio di Greenacres e chiede ai vicini di poter trascorrere in loro compagnia le rare ore di permesso domenicale che vengono concesse all’uomo. L’entrata in scena di John e la modalità “completamente priva di tatto” con cui si rapporta con i suoi ospiti demistifica le loro scelte esistenziali; a Frank che qualifica il suo lavoro di impiegato come “stupido”, John ribatte senza mezzi termini:
“E perché lo fa, allora? […] Come direbbe la vecchia Helen, sono completamente privo di tatto. […] Dimentichi quello che ho detto. Se uno vuole mettere su casa, deve trovarsi un lavoro. Se vuole mettere su una casa molto carina, molto deliziosa, deve accettare un lavoro che non gli piace. Semplice. È così che si comporta il novantotto virgola nove per cento della gente, per cui stia tranquillo, amico, non ha proprio nulla di cui scusarsi” (Ivi, p. 261)
In perenne polemica con la madre, mal tollerato dal padre – entrambi insopportabili esemplari di mediocrità – è l’unico personaggio davvero rivoluzionario del romanzo. Pienamente consapevole del “disperato vuoto” che connota la vita di ciascuno, sembra avere imboccato la strada della lucida follia per “tagliare la corda”. Nonostante la sua attitudine alla matematica sia stata annientata dagli elettroshock subiti in manicomio, il suo sguardo sul mondo sembra aver guadagnato in impietosa sagacia, al punto da smascherare davanti ai Wheeler stessi la vera ragione per cui, a un certo punto della vicenda, abbandonano il progetto di trasferirsi a Parigi. Non sarebbe infatti l’ennesima, imprevista gravidanza di April a trattenerli lì, quanto piuttosto la viltà di Frank:
Cos’è successo? Ha avuto paura, o cosa? Ha deciso che dopotutto le piace star qui? Ha pensato che dopotutto è molto più comodo stare qui nel vecchio Vuoto Disperato, oppure…Ehi, ho fatto centro! Guardate un po’ che faccia fa! Che c’è, Wheeler? Fuochino? (Ivi, p. 380)
Effetti di reale
Il romanzo di Yates, diviso in tre parti, è un congegno narrativo perfetto sia per lo sviluppo crescente del dramma rappresentato, sia per la magistrale capacità di delineare una serie di personaggi che, seppur con caratteristiche diverse, incarnano i tic e le posture tipiche della classe media cui appartengono: le pagine conclusive del romanzo, in particolare, nelle quali l’epilogo del matrimonio di Frank e April viene narrato e reinterpretato da chi li ha conosciuti, sono quanto mai esemplari a questo proposito.
Ma ancor più interessante è la rilevanza, a cui si è accennato, che il narratore dà ad alcuni referenti di realtà capaci di dire, sui rapporti di forza esistenti tra i coniugi, più di quanto si possa esplicitare con digressioni accessorie: sono “effetti di reale” che dicono quanto April cerchi di resistere al conformismo contro cui si oppone, e quanto, viceversa, Frank lo subisca.
La falciatrice compare all’indomani del litigio provocato dall’insuccesso teatrale: siamo agli inizi del romanzo ma le dinamiche di allontanamento nella coppia si mettono in moto. L’attrezzo da giardino, rabbiosamente governato dalla giovane donna, sveglia l’uomo dal sonno pesante in cui è crollato (una volta tornati a casa, Frank aveva finito per ubriacarsi). La feroce determinazione con cui April rasa il prato induce nel marito un senso di incertezza e di perdita di controllo della situazione: sceso in cucina, la tentazione è quella di “togliere di mano ad April la falciatrice, con la forza se necessario, allo scopo di ristabilire, nei limiti del possibile, l’equilibrio” (p.84) Ma è un’operazione che non gli riuscirà.
La seconda parte del romanzo si chiude sulla notizia che April è di nuovo incinta e che questo ostacola il loro progetto di trasferimento in Francia. La scoperta, nell’armadio degli asciugamani, di un “pacchettino quadrato avvolto in un foglio di carta da farmacia” (p.287) fa entrare in scena un altro “effetto di reale” che svela la determinazione di April a liberarsi del feto: per lei il progetto di abortire è l’unica via di fuga a una vita domestica che la schiaccia; per Frank quel bambino diventa l’alibi perfetto per non affrontare una sfida che lo spaventa. Quel “bulbo color rosa scuro di una siringa di gomma” si frappone tra i due e fa incrinare ulteriormente il piano inclinato su cui si trovano.
L’ultimo oggetto significativo è l’apparecchio acustico di Howard Givings, il marito di Helen: siamo nella pagina conclusiva del romanzo e mentre la donna blatera ottusamente ripetendo i suoi giudizi ipocriti sui Wheeler, confortata dall’ennesima compravendita della casetta su Revolutionary Hill, il marito spegne l’apparecchio e si affida alla comfort zone della sua sordità. Con quell’apparecchio spento cala il sipario sulla tragedia di April e Frank e sulla stolida vita di chi li ha attorniati.
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