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diretto da Romano Luperini

La letteratura per i cittadini: rileggere Auerbach

La didattica del testo letterario si basa, da ormai diversi anni, sulla convinzione che la letteratura con la sua specificità sia il terreno più adatto alla formazione di cittadini capaci di esprimere se stessi nel rispetto degli altri, che essa si presti, meglio e più di altre tipologie testuali, a rispondere alle domande di senso di studenti e studentesse e all’esigenza di uno spazio di confronto capace di accogliere le tante e diverse individualità da cui sono composte le nostre classi. Tali considerazioni hanno promosso, nel tempo, tipologie di attività e di analisi dei passi e degli autori attente alla possibile “attualizzazione” e scelte di lettura tese a favorirne, da parte degli studenti, la riappropriazione.

Ma qual è il criterio di tali attualizzazioni? Per qual vie (ri)appropriarsi di qualcosa diventa strumento di condivisione e di dialogo? In altre parole: che cosa rende “legittima” un’interpretazione? E quale accezione intendiamo dare all’aggettivo “legittima”?

In un momento in cui il dibattito sulla letteratura e sul suo insegnamento viene proposto dalla prospettiva dell’identità culturale (esplicitamente evocata dalla coordinatrice della commissione ministeriale incaricata di rivedere le Indicazioni Nazionali per la scuola secondaria) non sarà, forse, inutile riflettere sulla questione da un punto di vista leggermente eccentrico, ma – credo- assai più perspicuo: la questione dello spazio da riservare all’interpretazione critica nella didattica del testo letterario. Partirei da un caso di studio, per così dire, “classico”: Auerbach interprete di Dante.

Il nostro proposito, che non è di far parlare il poeta stesso, e neanche di parlare del poeta, ma,
τρίτον τι ἀπὸ τοῦ ποιητοῦ, di parlare dei terzi che a loro volta hanno parlato di lui, apparirà certamente, almeno all’inizio, un’impresa di scarsa vitalità ed immediatezza, e un po’ malinconica. Ma la storia delle opinioni, le vicissitudini di una fama che dura ormai da sei secoli, già godono di una vita autonoma, indipendentemente dall’opera di Dante che ne ha fornito l’occasione: sono uno specchio delle vicissitudini dello spirito quale la poesia ben difficilmente può offrire, perché neppure la poesia più grande e più bella è mai specchio dei tempi in modo così perfetto ed esclusivo come le opinioni sulla poesia stessa. Ed inoltre uno studio di questo genere ci induce a un salutare scetticismo nei confronti delle nostre particolari opinioni, ci stimola ad esaminare ciò che in esse è frutto di pregiudizio ed è troppo passeggeroi.

Questa precoce (1929) dichiarazione di intenti può essere utile per riassumere il senso complessivo, pur nell’articolazione indotta dalla “lunga fedeltà” al tema (dagli anni Venti agli anni cinquanta del Novecento), dell’insegnamento che ancora oggi si può trarre da questo grande interprete. Essa si colloca in apertura di uno dei periodi più cupi della nostra storia recente ed è all’origine della riflessione complessiva del grande critico, interprete di eccellenza della crisi della coscienza europea davanti all’orrore dei nazi-fascismi. Parole che troveranno sviluppo nell’opera successiva, quella celeberrima redatta in esilio (la prima edizione di Mimesis è del 1946), prima in Turchia per sfuggire, tedesco di origini ebraiche, alle persecuzioni (dal 1936 al 1947) e infine negli Stati Uniti, dove rimarrà fino alla morte. Un senso complessivo che la fortuna scolastica, quasi esclusivamente concentrata sulla lettura “figurale”, ha in parte smarrito se non frainteso, e potrebbe, invece, utilmente riscoprire.

La citazione pone, infatti, alcune questioni attuali e rilevanti nel dibattito sulle prospettive della didattica della letteratura nella scuola.

Schematizzando per punti:

1. Ruolo e spazio dell’interpretazione critica nella didattica dei testi

Perché “parlare dei terzi”?

In un contesto didattico che insiste sulla centralità del discente delle sue “domande di senso”, che la letteratura meglio di altre forme di linguaggio saprebbe accogliere, la risposta più ovvia parrebbe la progressiva e irrevocabile riduzione dello spazio riservato al dibattito critico. In una didattica schiacciata sulle esigenze e le aspettative del lettore è spesso la presenza stessa del testo ad essere a rischio, compromessa da semplificazioni e attualizzazioni spacciate per necessarie; come prevedere, e perché, uno spazio testuale aggiuntivo?

Eppure le antiche risposte di Auerbach suggeriscono questioni incredibilmente attuali: l’utilità di “parlare dei terzi” risiederebbe, infatti, nella loro capacità di restituire lo “spirito dei tempi” di cui offrono uno specchio necessario al lettore per collocare se stesso nella comunità, permettendogli di riconoscere gli “stereotipi” (cioè i pregiudizi collettivi) del suo tempo e offrendogli, dunque, uno strumento indispensabile per valutare il proprio processo interpretativo.

In altre parole, lo specchio individuale offerto dalla capacità dell’arte di parlare al singolo essere umano può essere utilmente potenziato dallo “specchio collettivo” del dibattito critico che costruisce l’immagine del suo tempo (lo “spirito” dell’epoca) nel confronto con il passato. Uno “specchio collettivo” capace di sviluppare “un salutare scetticismo” nei confronti delle opinioni particolari.

2. L’approccio filologico: la letteratura nella storia

Un “salutare scetticismo” la cui dimensione si chiarisce nell’Introduzione d’autore ad uno dei saggi a mio avviso più importanti per l’interpretazione dantesca, Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo (ed. or. 1958; trad. it., Milano, Feltrinelli, 1960). La riflessione sul metodo che occupa le prime pagine del celebre volume descrive, infatti, il “relativismo radicale” del “relativismo storico”, la caratteristica che lo definisce come un processo dinamico, in cui ogni elemento viene costantemente ricollocato in relazione al continuo riposizionamento sia dell’oggetto di studio che dello studioso. Lo scopo è proporre uno storicismo distante sia dall’erudizione che da una “eclettica incapacità di giudizio”, per individuare, appunto, un metodo adeguato all’interpretazione dei testi letterari intesi nella loro dimensione di prodotti umani e, dunque, fenomeni storici e storicamente determinati.

La questione di quale critica proporre in classe (di quale “grande interpretazione”ii occuparsi) riceve una risposta interessante proprio in queste prime pagine:

In questa attività [l’analisi storicista] non si disimpara il giudicare: lo si impara. Si disimpara, certo, a giudicare secondo categorie extrastoriche e assolute, e si cessa di ricercare queste categorie […]. Si impara a poco a poco a trovare nelle stesse forme storiche le categorie di ordinamento, elastiche e sempre provvisorie, di cui si ha bisogno. E si comincia con l’imparare che cosa i vari fenomeni significhino nelle loro proprie epoche, e che cosa significhino nell’ambito dei tre millenni dei quali in qualche modo conosciamo la vita letteraria; e poi, in terzo luogo, che cosa essi significhino, qui e ora, per me e per noi (Introduzione sullo scopo e il metodo in Lingua letteraria e pubblico, pp. 19-20)

Insomma: la didattica della letteratura come educazione civica. L’interpretazione del testo letterario come palestra di metodo e luogo della formazione del giudizio è il risultato di un approccio filologico al testo che individua nella ricostruzione del contesto della sua produzione, nel rapporto fra l’autore e il pubblico a lui contemporaneo, un passaggio obbligato dello studio della letteratura, vista sempre da quella che potremmo definire – autorizzati dallo stesso Auerbach – la prospettiva dello storico («io ho sempre avuto l’intenzione di scrivere storia», Lingua letteraria, p. 26). Una prospettiva che, pur non rinunciando alla sintesi, rifugge dalle categorie astratte:

Categorie classificatorie moderne e astratte non servono, né il barocco né il romantico, né cose come l’idea del destino o il mito o il concetto del tempo. Termini siffatti possono in ogni caso essere impiegati nella esposizione, quando dal contesto risulta ciò che si intende; ma come spunto sono troppo equivoci e non sono ricavati dall’oggetto. (Lingua letteraria, p. 25)

Un approccio che non solo suggerisce un’interessante pratica della intertestualità e della multimedialità (basti qui il riferimento alle forme di comunicazione attraverso le “rappresentazioni figurate” o la performance orale all’interno dell’ultimo capitolo di Lingua letteraria e pubblico, quello dedicato a “Il pubblico occidentale e la sua lingua”) per comprendere il linguaggio specifico della letteratura, ma che, nel riferirsi allo spunto, esplicita il senso di una centralità del testo che si connette strettamente all’attenzione ai bisogni e alle domande del discente / lettore.

Lo «spunto» è, infatti, il dato concreto, il mezzo, attraverso cui si interpreta / interroga un testo, il punto di incontro fra la domanda del lettore e l’umanità dell’opera:

lo spunto non deve essere una categoria da noi trasferita sull’oggetto, nella quale esso deve essere classificato, ma deve essere una caratteristica storica interna, in esso osservata, che una volta messa in rilievo e spiegata chiarisce l’oggetto stesso nella sua peculiarità e altri oggetti in rapporto con quello. Uno spunto quasi ideale è l’interpretazione di passi dei testi (Introduzione sullo scopo e il metodo in Lingua letteraria e pubblico, p. 25).

3. La critica come dialogo: impegno intellettuale e motivazione del giudizio

La “teoria dello spunto” traccia, dunque, i confini “filologici” dell’attualizzazione, ma non solo. Nel riconoscere il ruolo del pubblico (e del critico/lettore), parte anch’esso del contesto modificato e modificante dell’opera umana, emerge un’altra categoria fondamentale nell’approccio didattico: il giudizio.

Ciò che forse più colpisce nella rilettura degli scritti di Auerbach è la preoccupazione di dichiarare i propri intenti, esplicitare il dialogo, la discussione nella quale le proprie ricerche e affermazioni si inseriscono. Una scelta che – per usare un altro termine del didattichese attuale – orienta il lettore, lo abitua a collocare la riflessione critica in prospettiva, a considerare il proprio posizionamento nel mondo e nella relazione con gli altri.

La necessità di motivare il proprio giudizio, di spiegare le ragioni della scelta dello spunto nasce dall’esigenza di non rinunciare a quello che Auerbach chiama l’universale, un’ultima categoria su cui terminare queste brevi considerazioni:

L’universale che a me sembra rappresentabile è la concezione di un corso storico: qualche cosa come un dramma, che non contiene neppure esso alcuna teoria, bensì una concezione paradigmatica del destino umano. L’oggetto, nel senso più largo, è l’Europa; io cerco di coglierlo in alcuni temi di ricerca. Ciò facendo si può aspirare al massimo a penetrare i molteplici rapporti di un accadere dal quale noi deriviamo e al quale partecipiamo; a determinare il luogo al quale siamo arrivati e magari anche a intravedere le possibilità immediate che ci attendono; ma in ogni caso a partecipare più intimamente a noi stessi, e ad attualizzare la coscienza: “noi qui e ora”, con tutta la ricchezza e tutte le limitazioni che ciò comporta.

Attualizzando, l’universale individua la dimensione dell’impegno, del ruolo dell’intellettuale e della scuola nella formazione di individui giudicanti, capaci di esercitare una coscienza critica (avendo “attualizzato la coscienza”) perché allenati al prospettivismo storico.

La grande eredità di questo studioso, quella che egli riconobbe nella Divina commedia, mi sembra, allora, la proposta di un metodo critico che è, innanzi tutto, lettura condivisa del testo, prassi ermeneutica capace di migliorare la conoscenza di noi stessi («determinare il luogo al quale siamo arrivati»), utile a orientare le nostre azioni a «intravedere le possibilità immediate che ci attendono».

Con il suo magistero, educare al confronto critico corrisponde ad educare alla fruizione condivisa dei testi, all’uso sociale della letteratura in termini nuovi e antichi contemporaneamente. Questa “grande interpretazione” risponde, così, a diverse questioni assai più recenti:

  1. la centralità del discente: nel proporre un approccio al testo in cui centrali risultano le domande che ad esso si pongono è possibile cogliere l’interdipendenza, la dialettica fra testo e lettore alla base di tale invito.
  2. la lettura dei classici a scuola: problematizzare il tema delle “domande di senso” a cui la letteratura risponderebbe per virtù ontologiche, siano esse di ascendenza romantica (la capacità magica del poeta sacerdote di entrare in contatto con lo spirito del popolo) o di formulazione neuroscientifica (il ricco filone del rapporto fra schemi cognitivi e story-telling), implica un’assunzione di responsabilità di cui le nostre società hanno urgente bisogno. Nel momento in cui si riconosce l’importanza dell’interpretazione collettiva come specchio del proprio tempo e, quindi, come passaggio ineludibile per collocare se stessi in dialogo con la propria comunità, la questione delle letture condivise si libera della camicia di forza dell’identità normativa e ideologica per assumere il valore di strumento di emancipazione, mezzo per sviluppare la coscienza critica.
  3. l’organizzazione del percorso letterario: storia della letteratura per periodi, generi, temi… La motivazione delle proprie scelte di lettura, l’esplicitare le domande che si pongono al testo significa di per sé collocarlo nel suo tempo e nei tre millenni della nostra tradizione culturale e esplicita la funzione prospettica dello studio della letteratura, la sua capacità di trasmettere il senso della diacronia al di là o forse, addirittura, a prescindere dal profilo storico in cui la si inserisce. L’idea degli «spunti», chiamati a sostituire le categorie astratte e astoriche a cui continuano a fare riferimento i nostri manuali, restituisce senso al profilo storico-letterario proprio perché ne fa una costruzione aperta e dialogica, superando gli stereotipi che ne riducono la dimensione interpretativa di spazio del giudizio.

i «Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte» 1929I; riedito in traduzione italiana in San Francesco, Dante e Vico e altri saggi di filologia romanza, Roma, Editori Riuniti, 1987, p. 45

ii Con questo sottotitolo il gruppo di studi danteschi dell’ADI (Associazione Degli Italianisti) ha inaugurato quest’anno il ciclo di seminari, che, in occasione del Dantedì, saranno dedicati alle principali interpretazioni del “classico nazionale”. Le riflessioni che qui si propongono sono state discusse in occasione della giornata di studi organizzata a Pisa lo scorso 25 marzo.

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