Disegno di bambino con disturbi. Lettura di una poesia da “Doveri di una costruzione” di Davide Castiglione
Premessa
Comincio circoscrivendo l’ambito del mio intervento e indicandone gli obiettivi. Quella che segue non è una recensione a Doveri di una costruzione (Industria&letteratura, 2022), né un breve saggio sulla poesia del suo autore. Il mio proposito è fornire la semplice ‘lettura’ di un testo dall’ultima raccolta di Davide Castiglione.
Semplicemente ‘leggere’ dei versi appena editi è un’esperienza non scontata. La poesia contemporanea ha una circolazione presso un numero assai ristretto di lettori; per tutti gli altri, questo genere letterario è quello che, più delle varie forme di prosa, richiede apparati, commenti, la guida di qualcuno in grado di ‘spiegartelo’. Ciò dipende anche dal fatto che per la gran parte dei lettori l’approccio alla poesia è esclusivamente un compito scolastico, per di più svolto su una poesia già criticamente sedimentata come quella del passato remoto, nella quale il sistema di attese di critici e insegnanti troppo spesso finisce per far aggio sullo sguardo vergine degli studenti. Così la poesia risulta sempre o già del tutto chiarita (da altri) o il luogo in cui scaricare l’idiosincrasia personale e subinterpretativa del ‘a me comunica che’. Sembra che pochissimi oggi abbiano la voglia e il coraggio di leggere la poesia senza esservi costretti dall’istituzione scolastica o per l’affiliazione alla carboneria poetica. Vorrei provarci, con poverissimi mezzi. Si prenda perciò questo esercizio specifico come un contributo al «problema [più generale] di una “ricostituzione possibile” della lettura delle poesie come esperienza non specialistica» (Giovanni Giudici).
Dan
La poesia che ho scelto si intitola Dan e si trova alle pp. 104-105 di Doveri di una costruzione, nell’ultima sezione del libro, Il possibile di essere voi. Le tre sezioni che costituiscono il volume, intervallate da una poesia più sperimentale e a frammenti intitolata Giro dei rave, sono diverse tra loro, ma decisamente compatte se considerata ciascuna per sé. Nella terza e ultima sezione lo sguardo di Castiglione si posa sugli altri (il ‘voi’ del titolo), dopo essersi posato in prevalenza sui luoghi e gli spazi nella prima sezione (I progettisti) e sui rapporti uomo-donna nella seconda (A lume di candela). In alcuni casi questo sguardo, insieme etnologico-analitico e umanamente compartecipe, si posa su figure di ‘spostati’ (Satiro, Via del Calvario): eccezioni/eccezionalità umane irriducibili a ogni quieta normalizzazione. Dan è uno di questi casi.
Marmitta a scoppio inceppata la bocca
conversa con una pera di gommapiuma.
Fonda frequenze ai mortali incomprensibili,
plosive e labiali che hanno casa nel caos – Higuaín,
quattro a due, Napoli goal! slogan benigni 5
come relitti di un colare a picco si fan strada
per sostenerlo, e lui vi naviga che è un piacere.
Dan, su, riesce a parlargli la madre con
un’ondulazione che quasi non tiene a bada
(raschiava impazienza, poco fa, rischiava disperanza). 10
Imitando della madre e indulgenza e gravità
la sorellina gli impartisce il bon-ton,
la sua intelligenza esaspera il divario
nell’ottagono d’ombra dovuto all’ombrellone.
Dan si dà dei buffetti sul piede poi 15
chiama Paolo il fratello con un rauco da rockstar
che non c’è palco o sostanza che non abbia calcato.
Paolo non risponde, alla radiolina difettosa,
con quel prurito non ci ha niente da spartire.
L’ha capito che induce cupezza e sacrificio 20
e scrollate di spalle, e frasi prefabbricate secche
nella corte in dissesto che per Dan
ricava un ottagono che ne condanna
e mantiene la nobiltà, partito di minoranza,
la pelle che dà scandalo per quanto è bianca. 25
Ci troviamo di fronte a una scena dai contorni chiari. L’ombrellone che getta un ottagono d’ombra (vv. 14 e 23) e la pelle bianchissima del protagonista (v. 25), presumibilmente per la seminudità dovuta a un costume da bagno, lasciano supporre un’ambientazione estiva, forse balneare. Intorno al protagonista si muovono altri tre personaggi: la madre (vv. 8-10), la sorellina (vv. 11-14) e il fratello Paolo (terza strofa). Chi è Dan? Raccogliamo gli elementi che lo riguardano, catalogabili in due gruppi: quelli che lo descrivono direttamente, quelli che ci permettono di raffigurarcelo indirettamente, a partire dalle interazioni con gli altri tre familiari.
Dan parla in modo caotico e incomprensibile, “conversando” con una pera di gommapiuma (v. 2) e, a quanto sembra di capire, imitando una radiocronaca calcistica (vv. 4-5, con una ripresa metaforica indiretta al v. 18, dove però la radiolina difettosa è la voce di Dan). La madre cerca di rabbonirlo, ma dalla sua voce traspare un misto di difficile sopportazione e di disperazione (impazienza e l’arcaico disperanza). La ragione più plausibile di questo tentativo di placare il figlio è, direi, la volontà di non disturbare, quanto meno di non attirare l’attenzione, di cui mi pare di trovare un riflesso nel bon-ton con cui la sorellina si affianca alla madre nell’operazione. Proprio nel mimetismo della sorella troviamo ulteriori dettagli sul complesso stato d’animo della madre: l’indulgenza e la gravità, che la sorellina imita, dicono premura e affetto materno, ma anche fermezza verso un figlio capace di esaurire ogni pazienza ed energia. L’indifferenza dell’altro figlio maschio (l’unico, per privilegio di genere, a non sentirsi obbligato a curarsi del fratello) è un indizio della fatica dell’interazione con Dan, ridotta a una comunicazione automatizzata (frasi prefabbricate secche) e che dà in cambio solo cupezza d’animo e rassegnazione (scrollata di spalle).
Forse Dan è semplicemente un bambino molto piccolo, capace di parlare da poco, e di gestione particolarmente difficile. Ma sembra assai più probabile immaginarlo affetto da una disabilità che ne ha compromesso le capacità di linguaggio e di fonazione, ciò che spiegherebbe anche i sentimenti e comportamenti della sua famiglia e apparenterebbe questo testo ad altri due testi posti a poca distanza e che ho già citato, Satiro e Via del Calvario. In questa seconda poesia, peraltro, l’entrata in scena del protagonista ‘spostato’ avviene in una via su cui spicca, per contrasto con i gesti inconsulti del personaggio, un cielo azzurro come nei disegni / dei bambini senza disturbi (Via del Calvario).
Un soggetto del genere non è facile da affrontare. Ma Castiglione ha dimostrato già nella sezione precedente (A lume di candela) di riuscire a parlare di un altro argomento non meno difficile, l’amore, trovando una misura sincera e originale, lontana da stereotipi, retorica, facili effetti emotivi. Con quali mezzi? Direi attraverso un’intensificazione della percettività e uno sforzo di precisione linguistica, che hanno qualcosa del Palomar calviniano, ma che non dimenticano l’umana simpateticità. Ad essere colti sono soprattutto intonazioni della voce, minime pose, dettagli geometricamente ridotti all’essenziale. La riduzione geometrica è già nello spazio, come abbiamo visto: un ottagono d’ombra, in cui si esaurisce l’ambiente vitale di Dan, che dal riparo garantito dall’ombrellone non si allontana mai (v. 25), chissà se per un danno che la luce del sole potrebbe arrecargli, se perché egli è soddisfatto di quella piccola porzione di mondo, se perché vi è rinchiuso da un’ansiosa premura materna.
Le intonazioni della voce. Quella di Dan è rimasta un abbozzo di voce: è ridotta ai suoi elementi di base (frequenze, plosive e labiali), che producono un caos grottesco, simile al gracchiare di una radiolina difettosa e al rauco strafatto ed esaurito dal canto di una rockstar. Ma in questa dimensione primitiva del suono, prima di ogni semantica, ci sono già significati precisi: tocca al poeta-osservatore coglierli. Pur nell’inarticolazione del suo linguaggio, comprendiamo perfettamente le passioni e i desideri di Dan: il tifo calcistico o forse soltanto l’infatuazione mimetica per le parole del radiocronista; il tentativo di attirare l’attenzione del fratello e di stabilire con lui un contatto (chissà per comunicare cosa). Capiamo tutto dei sentimenti della madre da una ondulazione della voce: un’ondulazione che tradisce sentimenti che il dovere di cura e la buona educazione non vorrebbero rivelare. Lei riesce a parlargli, imponendosi un faticoso autocontrollo, ma anche nella sua voce una nota primitiva, un raschiare del tono, manifesta lo sforzo e la stanchezza, finendo per rivelare un sentimento ancora più profondo, la disperazione (vv. 9-10: l’implicazione di impazienza e disperazione è rafforzata dalla paronomasia raschiava, rischiava). Indirettamente possiamo udire anche il tono della voce della sorellina, la cui intelligenza e posa da adulta esaspera il divario con il fratello: il tono compreso in sé e impostato di chi ammaestra uno più debole, ma con l’innocenza (e la stessa condizione inerme) di una vocina infantile.
Dan è confinato nel suo minuscolo spazio e da lì smania, impone la sua presenza, si tende nello sforzo impotente di comunicare qualcosa al mondo che lo circonda, di garantirsi almeno il contatto e il canale, essendo improbabile la ricezione di un qualche messaggio. La madre, un fratello, una sorellina lo circondano e proteggono, ma la comunicazione è penosa. Si pensa a un appuntamento mancato, a una mancata corrispondenza che genera frustrazione e che rivela la fragilità pronta a spezzarsi (come si spezza la voce) di tutti. Non è un caso che ai vv. 6-7 Castiglione introduca l’immagine di un naufragio: la comunicazione cola a picco e tra quei relitti di significato solo l’inconsapevolezza di Dan riesce a trovare addirittura una navigazione piena e sicura di sé (vi naviga che è un piacere). Ma questa sicurezza è illusoria, garantita appena dalla ristrettezza del ‘regno’ di Dan: la sua è una corte in dissesto, la cui nobiltà riesce a preservarsi soltanto scavandosi la nicchia di partito di minoranza. Naturalmente una condizione così marginale è una condanna. E forse al pallidissimo, gesticolante, bofonchiante Dan non è concesso molto di più; come allo sguardo del poeta che ce ne ha consegnato sulla pagina la condizione netta, nuda, esposta, non resta che un’angoscia in punta di piedi.
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