Perché leggere “Tutto per i bambini” di Delphine De Vigan
Alla mente di Clara si affacciò una terza ipotesi: quella donna non era né una vittima né un aguzzino: apparteneva al suo tempo. Un tempo in cui era normale essere filmati ancor prima di nascere. Quante ecografie venivano pubblicate ogni settimana su Instagram o su Facebook? Quante fotografie di bambini, di famiglie, quanti selfie? E se la vita privata fosse ormai solo un concetto superato, obsoleto o, peggio, un’illusione? Con il lavoro che faceva, Clara lo sapeva benissimo.
Non c’era nessun bisogno di mostrarsi per essere visti, seguiti, identificati, classificati, archiviati. La videosorveglianza, la tracciabilità delle comunicazioni, degli spostamenti, dei pagamenti, quella moltitudine di tracce digitali lasciate ovunque avevano modificato il nostro rapporto con l’immagine, con l’intimità. ˂˂A che pro nasconderci dal momento che siamo così visibili?˃˃ sembrava dire tutta quella gente, e forse aveva ragione.
Oggi chiunque poteva crearsi un account su YouTube o su Instagram e tentare di conquistarsi un pubblico, un’audience. Chiunque poteva mettersi in scena e moltiplicare i contenuti per soddisfare i follower, gli amici virtuali o qualche voyeur di passaggio.
Oggi chiunque poteva immaginare che la sua vita fosse degna dell’interesse altrui e averne la dimostrazione.
Per le sue protagoniste
La prima buona ragione per leggere il romanzo di Delphine De Vigan “Tutto per i bambini” (“Les enfants sont rois”) è lo spessore psicologico delle sue protagoniste.
Mélanie è una ragazza della periferia parigina, cresciuta a pane e reality show, che sin da ragazzina coltivava il sogno di diventare qualcuno attraverso la televisione. Abbandonati gli studi, non ce l’ha fatta ma ha imparato la lezione: così trasforma i suoi due figli (Kim e Sam) in divi del web, grazie ad un canale su Youtube, Happy Rècré. Ottiene per tramite loro tutto quello che avrebbe voluto per sé sola: una montagna di oggetti e merci, diffusa fama e risonanza, immensa ricchezza. Clara invece viene da una famiglia di idealisti e attivisti radicali di qualsiasi buona causa, e da piccola combatte per il diritto di possedere e guardare la televisione: brillante studentessa di Legge, con sprezzo dell’eredità e dei valori familiari sceglie di diventare poliziotta, e mette a frutto la sua precisione e il suo rigore nella preparazione dei materiali delle inchieste giudiziarie. La sua vita è raccogliere documentazione e prove, controllare verbali e testimonianze, correggere errori di procedura e di formulazione.
Sono vite differenti e uguali allo stesso tempo, soprattutto per il vuoto psicologico o fisico lasciato dai genitori.
Quando la madre si rivolgeva a Mélanie, in genere usava la seconda persona singolare, evitando così di esprimere in modo diretto i propri sentimenti, sempre accompagnata da una negazione. Non fai mai niente, non cambierai mai, non mi avevi avvertita, non hai svuotato la lavastoviglie, non uscirai mica conciata così. ˂˂Tu˃˃ e ˂˂non˃˃ erano indissociabili.
Da quando erano morti i suoi genitori, Clara Roussel aveva un’acuta consapevolezza della fragilità umana. All’età di venticinque anni, e per il resto della sua esistenza, aveva capito che potevi uscire di casa una mattina, sereno e fiducioso, e non tornarci mai più. (…) ogni volta che veniva chiamata su una scena del crimine, ogni volta che le capitava di passare accanto a uno di quegli assembramenti che si creano in pochi secondi intorno alla vittima di un malore o a un incidente, ogni volta che vedeva un’ambulanza o un camion dei pompieri fermi in strada, in lei si risvegliava la certezza che ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo una vita poteva concludersi in dramma.
Il loro vuoto è riempito da valori e atteggiamenti opposti: tutto verso l’esterno, il mondo luccicante, condiviso, apparentemente felice di Mélanie; tutto nel profondo di sé quello di Clara, triste, sfiduciato, nascosto, silenzioso.
Un giorno come gli altri, la piccola diva di Youtube viene rapita mentre la madre l’ha persa di vista. E per alcuni giorni le vite di Mélanie e di Clara si incrociano.
L’assenza della bambina riporta entrambe le donne al loro passato. La trama poliziesca coincide così con quella psicologica. Cercando Kimmy, ciascuna torna a interrogarsi su sé stessa, a osservare il mistero delle proprie scelte.
Perché denuncia lo sfruttamento dei bambini
Quando inizia l’inchiesta sul rapimento di Kimmy Diore, alla giovane poliziotta Clara viene affidato il compito di ricostruire la sua storia, attraverso le testimonianze che vengono registrate dalla polizia e compulsando l’ingente documentazione archiviata sui profili social della bambina e della sua famiglia: anni di vita costantemente filmati, offerti allo sguardo degli spettatori, visualizzati per centinaia e centinaia di migliaia di volte.
Entra così nel regno dorato del canale Youtube creato dalla madre, dove ogni sogno diventa realtà e non esistono bisogni materiali insoddisfatti ma solo storie da condividere con i “carissimi” fan. Al suo sguardo stupito, si spalanca il mondo della cosiddetta Generazione Alpha: i copioni e topoi social amati da chi segue le storie Instagram e Youtube di Happy Récré. Sono storie di unboxing, dove il figlio e la figlia di Mélanie aprono con entusiasmo le confezioni e i pacchetti, di cui le loro camere sono stracolme, riempite dalle ditte che ne sponsorizzano i video. Oppure buy everything, storie di acquisti (“oggi compriamo tutto ciò che inizia con la lettera F”, “oggi compriamo tutto in rosa”). Infine, battles, storie di sfide e di “battaglie” legate al consumo di dolciumi, o alla capacità di distinguere un prodotto di marca da quello di una sottomarca. Un universo commerciale arricchito dalla creazione di marchi personalizzati (naturalmente ad opera degli adulti della famiglia) e promosso con un intensissimo merchandising.
Stupefazione e nausea la spingono a interrogarsi sul grado di realismo della narrazione: le sue ricerche in rete appurano che non si tratta affatto di un orizzonte distopico, bensì di una radicata realtà, in forte diffusione. Insieme a Clara, lettrici e lettori scoprono che l’autrice, riprendendo in una diversa chiave temi già affrontati nei romanzi precedenti (la violenza sui bambini, le questioni legate all’educazione anche in rapporto alla diffusione degli strumenti digitali) è schierata nel dibattito pubblico francese sul tema dei diritti dei bambini che lavorano in quest’ambito, condividendo la posizione di chi ritiene che si tratti a tutti gli effetti di una nuova forma di sfruttamento del lavoro minorile. Entro questo orizzonte culturale e giuridico si collocano infatti i problemi che fanno da sfondo al thriller di De Vigan: che diritto hanno i genitori di rendere figli che non possono decidere protagonisti di vite finzionali? a chi spettano gli enormi guadagni realizzati da centinaia di genitori grazie alle prestazioni lavorative dei loro figli e delle loro figlie? quali conseguenze psicologiche potrebbe comportare, da adulti, vivere costantemente per lo sguardo degli altri?
L’uscita del romanzo di De Vigan rilancia presso il grande pubblico le riflessioni che hanno portato, pochi mesi prima, all’approvazione unanime ad opera del Parlamento francese della prima legge europea in materia, che protegge alcuni diritti fondamentali dell’infanzia, limitando la libertà d’azione dei genitori e dei marchi commerciali.
Per la costruzione del tempo narrativo
La costruzione narrativa è giocata su tre assi temporali che l’autrice interseca con particolare abilità.
Il primo è quello tradizionale della ricostruzione psicologica, che ha al centro la storia interiore delle protagoniste. La focalizzazione alternata sul passato e sul presente delle due protagoniste ne ricostruisce la sensibilità, i valori e i moventi. In questo modo, il carattere di ciascuna di loro si forma sotto i nostri occhi, in un’intensa dialettica con gli atteggiamenti educativi degli adulti e le trasformazioni sociali che le circondano. Su questo versante, De Vigan riesce a provocare una profonda immedesimazione fra chi legge e chi vive la storia.
Il secondo piano temporale, molto originale, si realizza con l’intreccio fra la voce narrante che racconta le vicende e la verbalizzazione di queste ultime ad opera di Clara, nei documenti che prepara per l’inchiesta giudiziaria: il linguaggio della registrazione burocratica, infatti, ci accompagna già nella prima pagina del romanzo:
DIVISIONE ANTICRIMINE – 2019
SCOMPARSA DELLA MINORE KIMMY DIORE
Oggetto:
Trascrizione e analisi delle ultime Instagram Stories postate da Mélanie Claux (coniugata Diore).
STORY 1
Pubblicata il 10 novembre, alle ore 16.35.
Durata: 65 secondi.
Video girato in un negozio di calzature. Voce di Mélanie: ˂˂Carissimi, eccoci da Run Shop per comprare le nuove sneakers a Kimmy! Vero, micina? Hai bisogno di sneakers nuove perché le altre cominciano a starti un po’ strette. (La fotocamera del cellulare riprende la bambina, che esita per qualche secondo prima di annuire, poco convinta).
Allora, ecco le tre paia che ha selezionato Kimmy. (…) Dobbiamo deciderci e, come sapete, Kimmy odia scegliere. Perciò, carissimi, contiamo su di voi!˃˃
La precisione maniacale di Clara e la sua preoccupazione costante per l’esattezza linguistica consentono al lettore di osservare i fatti e ascoltare le parole in due differenti registri, due sguardi sullo spazio-tempo narrativo: quello del presente vissuto e quello del presente descritto e codificato in relazioni, verbali, documenti ufficiali, nello sforzo di scoprire un pezzo di verità che consenta di risolvere l’enigma della scomparsa della bambina.
Il terzo asse è creato da un salto temporale fra la prima parte del libro, l’inchiesta, e la seconda, in cui ritroviamo i protagonisti a distanza di anni, nel “2031” (è questo il titolo delle pagine conclusive della storia): i bambini di ieri sono diventati ormai quasi adulti, Mélanie e Clara sono un po’ invecchiate. Ai personaggi che già conosciamo si aggiunge Valdo Santiago, “psichiatra e psicanalista: una specie in via d’estinzione, aggiunge quando si presenta”, che studia l’incidenza della rivoluzione digitale sui disturbi ansiosi. A lui si rivolge il giovane Sammy, sofferente di Sindrome di Truman Show (una patologia per cui il malato ritiene di essere costantemente filmato) per chiedere aiuto.
Perché ha deciso di abbandonare il mondo fatato di Youtube, la madre e la sorella, per rivolgersi a uno degli ultimi psicanalisti?
Clara avrà trovato l’amore, o vivrà ancora sola con i suoi ricordi?
E Mélanie, come sarà sopravvissuta alla crescita e all’abbandono dei suoi eterni bambini?
Il gioco del tempo narrativo darà alcune risposte, e porrà nuove, ineludibili domande.
Sul loro futuro e sul nostro.
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