Tra topoi e fili rossi: un’esperienza didattica interdisciplinare
Ho la fortuna di insegnare lettere in un liceo linguistico, dove è possibile lavorare quasi sempre, almeno nel corso del triennio, in parallelo con almeno una o due delle altre discipline umanistiche: storia, filosofia, storia dell’arte e ben tre letterature straniere.
Da tre anni nel mio istituto, grazie anche agli sforzi di un gruppo di colleghi che credono fortemente nel valore dell’interdisciplinarità, è nato il progettoIl filo rosso,nell’ambito del qualevengono organizzatedelle lezioni-conferenze, a classi aperte parallele, incentrate su una tematica comune affrontata secondo le diverse prospettive disciplinari.
Alla base del progetto c’è la convinzione che studiare le diverse letterature (italiana, inglese, spagnola, francese, tedesca – da qualche anno anche cinese) «significa ricostruire un tessuto, collegando tra loro testo a testo, autore ad autore. Significa imparare a riconoscere che gli autori dialogano tra loro per mezzo delle loro opere, cercando di dare risposte intorno ai grandi problemi posti dalla natura dell’uomo, dalla storia e dalle dottrine scientifiche, tenendo conto di quanto prima di loro è stato scritto, in una continua dialettica tra saperi diversi» (dalla presentazione sul sito della scuola). L’aspirazione dei docenti che hanno pensato il progetto e che vi partecipano non è quella all’enciclopedismo o all’esaustività, ma quella di attivare negli studenti la capacità di individuare, riconoscere e apprezzare gli innumerevoli fili che legano tra loro le discipline, umanistiche e scientifiche; quella di stimolare il senso critico e la capacità di confrontare esperienze culturali diverse; quella di offrire proposte di approfondimento stimolanti, che possano servire da spunto anche per il colloquio dell’Esame di Stato.
Ideato durante un’autogestione per un piccolo gruppo di studenti e proposto poi alle sole classi quinte del liceo, attraverso una serie di aggiustamenti successivi il progetto è arrivato alla formula odierna, che coinvolge le classi del triennio dell’indirizzo liceale e dell’indirizzo tecnico per un numero variabile di incontri, da due a quattro l’anno (a seconda delle classi); nel corso degli anni, inoltre, si è cercato di coinvolgere sempre più attivamente anche gli studenti, prima solo con delle blande proposte di comprensione e verifica dei contenuti trattati, poi chiamandoli come relatori a fianco dei docenti.
La scelta dell’argomento di ciascun incontro dipende da vari fattori: talvolta si è lavorato in modo tematico, talaltra secondo un arco cronologico di riferimento, ma sempre coinvolgendo i docenti interessati sia nella scelta dell’impostazione generale (con questionari conoscitivi individuali e in sede di Dipartimento disciplinare) sia nella progettazione più dettagliata dei singoli interventi che approfondiscono il tema o il periodo scelto e che devono riuscire a “dialogare” tra loro, nonostante le differenze disciplinari. Via via, si è potenziato il momento della progettazione dei singoli incontri, prevedendo uno o due riunioni preliminari tra i docenti relatori, così da potersi confrontare per far dialogare al meglio i diversi contributi disciplinari.
Allo stesso modo, per favorire la partecipazione e la riflessione dei ragazzi, sono stati gradualmente introdotti, accanto al tradizionale spazio delle domande al termine di ciascun intervento, degli “attivatori” preliminari: alcuni giorni prima dell’incontro, ciascun relatore fornisce alle classi coinvolte del materiale (un breve testo, delle immagini, alcune domande) che possa introdurre all’argomento scelto, così da attivarele preconoscenze necessarie e da suscitare curiosità e interrogativi a cui verrà data risposta durante la conferenza.
Ho partecipato con grande entusiasmo al progetto fin dal primo anno, inserendomi negli incontri che sarebbero stati rivolti alle mie classi, e – benché non abbia mai previsto uno specifico lavoro in classe – li ho sempre considerati (anche quelli tenuti dai colleghi) parte integrante della mia didattica, facendovi riferimento durante lezioni e interrogazioni e indicandoli regolarmente, a fine anno, nei Contenuti svolti della relazione finale.
Come relatrice, al momento di scegliere l’argomento delle mie lezioni-conferenza, mi sono sempre fatta guidare dal desiderio di proporre agli studenti o un argomento che difficilmente viene affrontato in classe (una specie di “assaggio” o introduzione a qualcosa di nuovo, come Il postmoderno, a.s. 2017/2018), oppure un argomento sì affrontato in classe, ma presentato con un taglio non propriamente manualistico (Il decadentismo non esiste, a.s. 2017/2018; Oltre l’oggettività. Il romanzo europeo del Novecento e Perdita d’aureola. La crisi del mandato sociale del poeta lirica italiana dei primi del ‘900, a.s. 2018/2019).
Per una serie di coincidenze, ho sempre fatto da relatrice negli incontri per le classi quinte, sia perché mi ritrovavo ad insegnare nelle classi terminali, sia perché, per formazione e indole, mi sento decisamente più a mio agio negli ultimi due secoli della letteratura italiana che non in quelli precedenti. Nell’autunno del 2019, invece, complice anche una nuova classe terza, ho accettato la sfida di lavorare sul tema Il medioevo come momento di fondazione della cultura occidentale, insieme ad una collega di inglese che avrebbe introdotto alcuni concetti di linguistica e filologia germanica, e ad un collega di matematica e fisica che si sarebbe soffermato sulle modalità di rappresentazione cartografica del mondo nel medioevo.
A me, che non sono né medievista né tantomeno filologa, è venuto subito in mente di approfondire un argomento che in classe affronto sempre, tanto che i miei alunni, già a metà della terza, ne diventano esperti “individuatori”: i topoi. Quindi, ho rispolverato la mia copia di Letteratura europea e medio evo latino di Ernst Robert Curtius con l’idea di ripartire dall’aspetto “militante” del lavoro di Curtius (che scrive immediatamente all’indomani della Seconda guerra mondiale), cioè dall’idea che la letteratura europea abbia fondamenta comuni, sulle quali sono costruite non solo le grandi opere narrative e poetiche ma anche il nostro immaginario collettivo, perfino oggi, all’inizio del XXI secolo.
Ovviamente, nei circa 40 minuti dell’intervento avrei dovuto illustrare agli studenti una serie di idee generali, anche di una certa complessità, che sono alla base del lavoro di Curtius: l’importanza dei secoli altomedievali nella trasmissione dell’eredità classica, il concetto di auctoritas e quelli di ars retorica e di topica; ho dunque prodotto una prima parte della mia presentazione che fosse una rapida sintesi di tali concetti, corredata da una nutrita serie di esemplificazioni – in cui una parte importante hanno avuto alcuni estratti dai canti I e IV dell’Inferno.
La sfida era anche quella di coinvolgere attivamente gli studenti nella fase espositiva, cosa per me non facile, dal momento che conoscevo la mia classe solo da poche settimane. Ho comunque presentato l’attività ai ragazzi, chiedendo se qualcuno avesse voglia di cimentarsi, con me, in qualcosa che, in quel momento, era ancora in fase di abbozzo. E Marta e Martina (che ringrazio di cuore), con grande dedizione alla causa e un po’ di sprezzo del pericolo (dal momento che ciò avrebbe significato non solo lavorare con me, ma anche parlare davanti ad una platea di decine di coetanei), hanno accettato la proposta. Così, Letteratura europea e medioevo latino alla mano, ho steso un elenco di possibili topoi su cui lavorare (con i relativi esempi, scelti in modo da spaziare anche nelle letterature europee studiate nelle varie classi) e ho inviato alle mie due studentesse la lista insieme alla prima parte della presentazione, chiedendo loro di individuare, all’interno di canzoni, romanzi, poesie, film e serie tv a loro note, qualcuno dei topoi che avevo sinteticamente descritto.
Poi, un pomeriggio dopo le lezioni, ci siamo trovate per fare il punto della situazione, sciogliere alcuni punti critici e scegliere insieme i topoi che ci sembravano più rappresentativi ed efficaci. Per ragioni di complessità e di praticità, ho tenuto esclusivamente per me due topoi “strutturali”, quelli relativi all’esordio e alla conclusione di testi letterari (in particolare di poema e poesia pastorale), e abbiamo invece lavorato insieme su alcuni topoi “descrittivi”.
Il primo è stato il topos del puer-senex, ampiamente utilizzato nelle scritture agiografiche e celebrative per esaltare la presenza di qualità tipiche di un adulto (prudenza, saggezza, ecc…) fin dall’età giovanile; Martina ha individuato la presenza di questo topos in numerose produzioni narrative e cinematografiche che appartengono al filone della coming-of-age story, individuandone, però, una tipologia particolare: quella che abbiamo chiamato “del fratello-genitore”, ovvero il caso di un/a giovane che, in un contesto in cui la famiglia è assente o problematica, deve farsi carico di un fratello o di una sorella bisognoso/a di aiuto. Martina ha anche intelligentemente sottolineato che, mentre nel topos classico e medievale i due aspetti, quello del puer e quello del senex, si conciliano armoniosamente, nelle narrazioni contemporanee, invece, fanno esplodere contraddizioni familiari, personali e sociali.
Con Marta, invece, partendo da due classici della letteratura italiana (il Decameron e l’Orlando Furioso) abbiamo ragionato su uno dei topoi più frequenti e conosciuti, quello del locus amoenus. Come termine di confronto, Marta mi ha proposto le montagne di Heidi: pur consapevole del fatto che la struttura fisica del locus non corrispondesse del tutto quella classica descritta da Curtius (la radura ombrosa e fiorita, attraversata da un ruscello), ha però molto correttamente individuato la permanenza della natura simbolica del locus, il suo essere un refugium dalle insidie del mondo esterno (non più la peste nera o i focosi cavalieri, ma la grande città industriale), dove il/la protagonista può trovare pace e serenità.
Ovviamente, grande spazio hanno avuto metafore, immagini ed espressioni relative alla descrizione del sentimento amoroso: dopo una rassegna “a volo d’uccello” dei topoi più ricorrenti (accompagnati, nella presentazione finale, da immagini tratte da Google, per mostrarne la persistenza), ci siamo soffermate su due di essi che hanno grande importanza nella produzione petrarchesca, l’amore come coincidentia oppositorum e il “fuoco d’amore”: e qui Marta e Martina hanno dovuto ammettere che, pensando soprattutto alla musica che ascoltano quotidianamente, avevano solo l’imbarazzo della scelta, perché l due immamagini affollano, ancora oggi, i testi delle canzoni pop (e non solo); alla fine, si sono accordate per due canzoni da Top ten:I hate you, I love you di Gnash e Burn di Billie Eilish.
Una volta stabiliti tutti i punti del nostro intervento, mi sono assunta il compito di terminare la presentazione, dal titolo definitivo I topoi: alle radici dell’immaginario occidentale, e poi, nelle giornate stabilite, abbiamo esposto il nostro lavoro alle altre classi; Marta e Martina, che hanno gestito benissimo non solo l’esposizione del proprio intervento, ma anche l’emozione di parlare di fronte a un centinaio di coetanei, hanno voluto concludere così, spiegando ai loro compagni il senso di questo lavoro:
È interessante osservare come queste immagini si siano tramandate fino ad oggi e abbiano assunto sfumature di significato diverse: è curioso notare come la mentalità degli antichi sia stata anche reinterpretata; questi topoi, inoltre, sono così radicati nella nostra cultura che spesso non ci rendiamo nemmeno conto dell’uso frequentissimo che ne facciamo: cantanti e scrittori moderni potrebbero non accorgersi di stare rinnovando immagini così antiche perché esse sono ormai parte integrante della nostra quotidianità.
Sebbene per noi ragazzi le idee di Medioevo e Antichità siano spesso estremamente lontane, aver scoperto che in realtà queste due epoche sono alle origini storiche di molti concetti di notevole attualità ci permette di leggere il mondo in chiave diversa e di avere una maggiore consapevolezza delle nostre radici; il passato infatti ha gettato le basi della cultura occidentale europea ed italiana, e questo ci è d’aiuto per comprendere la nostra epoca.
Il lockdown che a marzo si è abbattuto sulla scuola, ovviamente, ha influito profondamente anche sul progetto, che però non è stato del tutto abbandonato, ma trasferito in modalità interamente virtuale. I docenti coinvolti hanno registrato delle videoconferenze che poi sono state messe a disposizione delle classi, che potevano così fruirle in modalità differenti: qualcuna lo ha fatto durante videolezioni in streaming, con il commento dei propri insegnanti; qualcuna ha scelto di usarle come materiale di approfondimento e studio autonomo, con un momento di revisione successivo. Ovviamente, dato il repentino mutamento della situazione, non è stato possibile coinvolgere i ragazzi come era stato inizialmente programmato.
La sfida per questo nuovo anno scolastico, condizioni esterne permettendo, sarà quella di aumentare ancora il coinvolgimento degli studenti, invitandoli a diventare loro stessi i proponenti delle tematiche da affrontare e i relatori delle lezioni; il ruolo di noi docenti dovrà essere, questa volta, quello, più defilato ma necessario, di registi dell’operazione e di consulenti nella ricerca e nella scelta dei materiali e delle fonti da utilizzare per la preparazione degli interventi, che potranno essere sia individuali che di gruppo.
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