Leggere e scrivere poesie in classe, a distanza
Il 9 marzo 2020 usciva il mio articolo leggere e investigare poesie in classe, in cui raccontavo la prima parte di un progetto che aveva come obiettivi incontrare, leggere e imparare a decodificare e commentare il testo poetico, ad esso si sarebbe poi aggiunta la seconda parte: scrivere.
Nel frattempo il mondo si è fermato.
Non racconterò delle perplessità che avevo su fare un laboratorio di scrittura a distanza, non racconterò di come questo non sia il lavoro che sono abituata a fare, non dirò dei limiti, né voglio che il percorso che racconterò venga interpretato come grande risorsa e grande risultato. Si è trattato di lavorare in emergenza e di farlo seriamente, consapevole del fatto che mi sarebbero venuti a mancare due assi portanti del mio laboratorio: le consulenze individuali e tra studenti e la discussione in classe.
Prima di partire
Le domande che mi sono posta sono state queste:
- Come posso rendere sempre più autonomi i ragazzi? Far in modo che provino a sperimentare da soli?
- Come posso guidarli passo passo nella costruzione del nostro percorso di lavoro?
- Come posso sopperire alla mancanza dell’accompagnamento in classe, della negoziazione dei significati tipica delle lezioni in classe?
Ho scelto quindi di proporre le lezioni in forma scritta, suddividendo giornalmente le attività da fare e corredandole con video lezioni di spiegazione sul testo, sulle attività che avrebbero dovuto svolgere. Il momento della condivisione è stato garantito dalle nostre chat letterarie: momenti in cui abbiamo discusso in forma scritta dei testi degli autori presentati nel file e delle difficoltà incontrate.
Per le consulenze di scrittura, i momenti in cui ciascun ragazzo si confronta con me sul suo testo, siamo ricorsi a video lezioni in piccoli gruppi.
Potete consultare l’intero percorso a questo link
I ragazzi e la poesia: qualche avvertenza
“La poesia è una casa con molte stanze: la visita può cominciare da una o dall’altra, attraversandole tutte di corsa o indugiando nelle più accoglienti” scrive Chiara Carminati nel bel libro Perlaparola bambini e ragazzi nelle stanze della poesia.
Ho deciso, dunque, che in classe avrei cercato di far esplorare ai ragazzi tutte le stanze della poesia: la lettura, la comprensione, la scrittura, togliendo al genere quella patina di sacralità e inviolabilità che pare essere diventata sua prerogativa. La poesia è un linguaggio universale e naturale, ed è un genere con cui i ragazzi mostrano da subito dimestichezza: permette loro di lasciarsi andare, di azzardare ipotesi e soluzioni, ha una sua sintassi per così dire trasgressiva, consente di poter indugiare e giocare con le parole, di poterle sezionare, squartate e combinare.
Non ho mai pensato alla poesia come un linguaggio solo per i critici e gli studiosi, ma come lingua originaria e misteriosa, culto per le parole belle, linguaggio per osservare il mondo che ci circonda e descriverlo con altri occhi.
Credo, inoltre, che chiunque possa scrivere poesie, proprio perché, come qualsiasi testo, ha una sua artigianalità, una sua tecnica che va conosciuta e, anche, sperimentata. Certo, scrivere poesie non significa essere un poeta, ma i ragazzi lo capiscono subito, proprio perché prima di scrivere una poesia, li immergo nel linguaggio poetico dei grandi autori: ascoltano poesie, leggono e leggono ad alta voce, discutono e interpretano.
Pronti, partenza: Via!
Per scrivere è necessario conoscere la grammatica della poesia e sperimentare come scrittori ciò che avevano solo osservato e conosciuto da lettori.
Il primo lavoro è stato la descrizione in forma poetica di loro stessi attraverso il calligramma, prendendo a modello il componimento di Govoni.
Per prima cosa hanno cercato similitudini efficaci per definire le parti del loro viso: i capelli, il naso, gli occhi e la bocca.
Durante il nostro lavoro preliminare di lettura di poesie eravamo già giunti alla conclusione che le parole in poesia spesso sono accostate in modo bizzarro per sorprendere, avvicinando il concreto con l’astratto e viceversa, ricorrendo a immagini insolite, ma dotate di una logica e corrispondenza. Ora si trattava di provare: per creare similitudini efficaci siamo ricorsi ad un esercizio chiamato “ordinario/poetico”, per ogni aggettivo dovevano sforzarsi di trovare accostamenti che fossero poetici come ad esempio:
L’albero è grande e verde
È diventato:
L’albero è come un gigante che sfiora il cielo
L’albero è verde come una rana verde
Lo stesso esercizio è stato poi replicato con le parti del loro corpo: gli occhi sono come fanali accesi, la bocca è come una pesca, i capelli sono come le onde calme del mare.
Va da sé che qualcuno ha subito capito la differenza semantica tra dire:
la mia faccia è come una moneta d’oro e la mia faccia è un tesoro immerso nell’acqua. Ho lasciato scegliere loro se preferire la similitudine o la metafora
La poesia è un occhio
Sempre per lavorare sulle immagini e sull’accostamento di parole, ho scelto di affrontare l’enumerazione, partendo dalla lettura di una parte della poesia Cose che fanno domenica di Govoni, la spiegazione e la contestualizzazione è stata affidata a una mia video lezione, abbiamo cercato di sopperire alla discussione in classe con la chat letteraria. Di prassi ogni poesia che presento ai ragazzi deve sempre essere ricopiata sul quaderno e illustrata con piccoli disegni: ricopiare una poesia permette di prendersi tempo nel testo e la visualizzazione resta per me un modo per interpretarlo e trasformarlo in altro.
Govoni ci mostra tante domeniche diverse attraverso ricordi, immagini, suoni, odori e colori; preso questo testo a modello, ho chiesto ai ragazzi di raccontare le loro domeniche. Per prima cosa hanno descritto le immagini legate ai diversi oggetti della loro domenica, come in questo mio esempio: quando propongo un esercizio ai ragazzi mostro sempre loro come lo avrei svolto io, in modo da essere modello un po’ più vicino a loro, pur replicando il modello di un autore, ad esempio nell’alternanza di domeniche del passato e del presente.
Cose che fanno domenica |
Immagini |
Polenta |
Il profumo della polenta già alle dieci a casa della nonna |
Messa |
Il coro e gli sbadigli |
Divano |
Il caldo e la coperta |
Partita |
Lo stadio e il rumore dei tifosi |
Uova |
Mio figlio che mi chiede l’uovo a colazione |
La consegna finale era, dunque, provare a scrivere una poesia sulla domenica organizzata in due strofe da sette versi, ogni strofa doveva essere chiusa da rima baciata. Ho poi radunato tutte le poesie sulla loro domenica in una bacheca di padlet e chiesto loro di scegliere e scrivere recensione di quella che preferivano, rilevando e spiegando le scelte linguistiche più efficaci, le immagini che maggiormente li avevano colpiti e ciò che del compagno o compagna avevano scoperto.
Il passo successivo: creare immagini
La poesia successiva ci ha decisamente permesso di alzare il tiro:
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto,
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera.
Giovanni Pascoli
Dopo averla imparata a memoria, la consegna è stata questa:
“Guarda la poesia, evidenzia di rosso le parole chiave, quelle che secondo te rappresentano meglio la poesia, sottolinea poi le parole che ti piacciono di più e con una stanghetta segna le pause, a fianco di ogni verso scrivi l’intenzione con cui vuoi recitarla.
Prova a leggerla ad alta voce (fai qualche prova)
Registra la lettura in vocale e mandala alla professoressa accompagnandola da un breve scritto in cui rispondi a questa domanda:
- Di cosa parla la poesia? Da cosa lo capisci?
- Come hai scelto di interpretare la poesia? Perché? Come hai usato la voce
Ho tutta una serie di registrazioni che mostrano il lavoro interpretativo fatto dai ragazzi:su tutte mi ha colpito Giorgia, la timidissima Giorgia, che ha iniziato con voce stentorea e finito in un sussurro, che ha staccato con una pausa tutti gli aggettivi per dar loro più forza (Prof. è ovvio che la notte è nera, ma se io stacco notte da nera con una pausa do più valore all’oscurità: in questa poesia si parla di luce e di buio). La meta cognizione di Giacomo mi ha mostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’importanza di questo lavoro: Ho capito che se leggo la poesia tante volte e provo a dirla ad alta voce e a capire dove mettere le pause, quando alzare e abbassare la voce, quando aumentare e rallentare il ritmo la capisco di più.
E’ giunto il momento di provare scrivere la propria poesia, di raccontare in versi, partendo da un attivatore ben descritto da Awakening the heart di Georgia Heard.
Ecco ciò che ho chiesto loro:
Guarda fuori dalla finestra, concentrati e immagina di guardare la stessa scena aprendo queste porte, cosa ci trovi dentro?
E completa poi la tabella (qui vedete il mio esempio):
Porta |
Che cosa vedo/cosa prova |
Occhi |
Una casa rosa con le finestre marrone e un prato |
Cuore |
Nostalgia, paura, abisso |
memorie |
Io che corro in canottiera e piedi nudi |
domande |
Ci sarai ancora nonno con la falce nell’aria? Dove vanno quelle impronte bambine |
Vorrei |
La libertà d’allora e l’aria buona |
Ora prova a scrivere le “tue porte” in forma di poesia, ciascuna dovrà essere contenuta una strofa di cinque versi, puoi scriverle nell’ordine che preferisci
Non dimenticare di andare a capo nel punto più importante, quando c’è la parola che vuoi resti sospesa nella mente del lettore.
Ricorda le parti della grammatica della poesia che abbiamo imparato a conoscere come lettori di poesia e prova a usarle qui:
- Versi
- strofe
- Parole che vanno a capo perdendo un pezzo; enjambement
- Inversioni di parole
- Una parola e due aggettivi (dittologia sinonimica)
- Enumerazione
- Similitudini/metafore
Come sempre per aiutarli ho mostrato loro un mio esempio di componimento poetico realizzato con questo esercizio delle porte.
La poesia nasce da un sentimento
Le poesie nascono sempre da un sentimento: io scrivo di un pesta carne perché mi ha ricordato mia nonna e i pomeriggi passati con lei, scrivo dell’ultimo punto che ho segnato e ci ha fatto vincere il torneo perché ho provato una gioia incredibile, parlo di uno schiaffo che ho ricevuto perché ho provato dolore e così via…
Per descrivere l’ adolescenza Bruno Tognolini ci dice questo:
Seconda rima dell’adolescenza
Se fossi alto, se fossi alta
Se fossi d’aria come il gatto quando salta
Se sapessi questa pena quando passa
Se fossi magro, se fossi meno grassa
Se non avessi questi orribili capelli
Se fossi il vento che rimescola gli uccelli
Se fossi nei tuoi orecchi col suo fischio
Se fossi femmina, se fossi maschio
Se fossi un poco meno bestia di così
Se sapessi come mai mi trovo qui
Se fossi io, se fossi Dio
Se fossi te cosa faresti al posto mio
Se fossi, se fossi, che cosa vuoi che fossi…
Se fossi un fuoristrada con due specchietti rossi
Tirerei dritto sopra tutti questi fossi
Ma sono un passero
Povero me
E allora volo dritto dritto in braccio a te
Dopo la lettura della poesia, ho posto tre domande: Quali sentimenti hanno determinato queste poesie? Da quali versi lo capisci? C’è un ritmo nelle poesie? C’è musicalità? Da cosa lo capisci?
Ne è seguita la spiegazione dell’allitterazione, dell’anafora, dell’assonanza e della consonanza.
Il momento della scrittura è stato preceduto da una tabella a due uscita sentimenti/momento: attraverso la tabella, i ragazzi hanno potuto individuare un elenco di situazioni a partire dalle quali costruire la loro poesia. Una volta scelto il momento ho chiesto loro di immaginare di tornare lì e descrivere ciò che si vede, come è la luce, quali suoni si sentono, i sentimenti provati, le parole o i suoni che avrebbero voluto ripetere e una domanda che la scena avrebbe suggerito loro.
Questo è l’esempio che ho fornito loro:
Come sempre dopo aver scritto il proprio testo, è necessario lavorare di lima, sulla forma e sulla tecnica: la disposizione delle parole, l’accostamento di suoni, la forma e struttura del verso. Attraverso esempi illustri abbiamo imparato che andare a capo è una scelta ben precisa, che le ripetizioni dei suoni servono a formare la melodia delle parole e che è importante ridurre all’osso e usare solo le parole necessarie.
Per esemplificare quest’ultimo punto ho presentato loro la versione in prosa di una poesia: “Ha appena piovuto e la terra è umida, il profumo del fieno bagnato diventa più pungente, il sole appare sui prati di marzo e splende mentre una ragazza apre una finestra”
E poi mostrato e spiegato l’originale di Caproni:
Dopo la pioggia la terra
È un frutto appena sbucciato.
Il fiato del fieno bagnato
È più acre – ma ride il sole
Bianco sui prati di marzo
A una fanciulla che apre la finestra.
Ho chiesto quindi di riprendere in mano la poesia che avevano scritto e di eliminare le parole di troppo, usando solo quelle necessarie e di provare a inserire una personificazione.
Ad esempio: “Cammino per strada mentre il sole tramonta”, può diventare: Per strada/Il sole tramonta.
Al termine del percorso ciascuno mi ha consegnato due poesie tra tutte quelle scritte, accompagnate dalla motivazione della scelta e dalla storia del loro pezzo (qual è stata l’occasione, perché hanno scelto quelle parole, quali tecniche e figure retoriche hanno usato e perché).
Il tema è personale, ciascuno può e deve scrivere quello che vuole. La poesia non è a comando, è uno sguardo, un occhio.
Così piano piano sono arrivate poesie che raccontano quello che rugge dentro: questa cattività obbligata, la paura del futuro, la passione per il disegno, i cavalli, gli amici ma anche il dolore, le regole.
“Quando potrò tornare a giocare con mio nonno
nelle nostre epiche battaglie
a Carcassonne?
E quando tornerò alla calma marina
e al silenzio della montagna?”
scrive in una delle sue strofe Giovanni, a lui sembra rispondere Francesco:
“Come sarò dopo ?
Più saggio
O solo più grande?
La mancanza è un pugno
Che fa male
E la tristezza è asprezza totale
Vorrei poter
Stare ore e ore
A guardare il cielo”
Invece Morgan ci racconta a modo suo lo scontro con un allenatore particolarmente rigido
Voglio disciplina
Lui a urlare
E noi ad ascoltare
Voglio disciplina
Noi in cerchio
Lui in piedi
Vicino a quella orribile porta in metallo
Spicchi di luce
Voglio disciplina
E io pensavo non così
Voglio disciplina
Vi voglio tutti qui.
Ma quell’urlo
Mi graffia la faccia
Aurora con il guizzo mi porta lì e mi sembra di vederla disegnare in classe:
Un foglio da disegno
mi guarda,
è pronto ad essere riempito
la matita
la gomma
si sono svegliate
il disegno prende forma,
mi fa l’occhiolino.
La poesia non mente, almeno a undici anni.
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