Leggere e investigare poesie in classe
Io t’amo o pia cicala e un trillargento
ci spàffera nel cuor la tua canzona.
Canta cicala frìnfera nel vento:
E gnacche alla formica ammucchiarona!
Fosco Maraini
Leggere poesia
La poesia è un linguaggio con sintassi, suoni e lessico propri. E proprio come capita con una lingua straniera ho sempre ritenuto che entrarci in contatto, ascoltarla, sentirla in qualche modo familiare sia la conditio sine qua non per studiarla, comprenderla e saperla parlare.
Per questo, prima di affrontare la poesia con i miei alunni della secondaria di primo grado, faccio sì che sia lei a entrare in classe: leggo ad alta voce testi, senza commentarli, senza interpretarli, poi lavoro su come si possano leggere, su come la lettura ad alta voce sia la prima forma di interpretazione.
Sono mossa dalle tre convinzioni che la poetessa Chiara Carminati scrive in calce all’introduzione del suo bel libro fare poesia con voce, corpo, mente e sguardo (Lapis edizioni):
- L’idea che la comprensione della poesia passi attraverso una lettura viva, partecipe ed espressiva;
- L’opportunità e l’utilità di una lettura corale, che coinvolga l’intero gruppo classe, in alternativa alla lettura individuale
- La convinzione che sia possibile educare alla poesia.
Ogni venerdì mattina la lezione inizia con una poesia che scelgo accuratamente: cerco testi che siano comprensibili e ad altezza di ragazzo, nella bibliografia in coda a questo piccolo articolo trovate qualche esempio.
I ragazzi mi ascoltano e mettono in pratica qualche piccola tecnica, come è successo con la poesia Ascoltami Inverno di Giusti Quarenghi
Ascoltami
inverno
non sognarti di entrare
Mi piaci sui rami
sdraiato nel cielo
disteso sul mare
seduto nel prato ma
ascoltami inverno
non ti voglio qui dentro
Se bussi sui vetri
ti soffio sul naso
Se suoni alla porta
non ti aprirò
Ascoltami inverno
non ti voglio qui dentro
Però aspettami fuori
Non andare lontano
Adesso esco io
Possiamo giocare
Mi piace trovarti
sull’uscio di casa
sentir sulla faccia
le tue dita gelate ma
ascoltami inverno
non ti voglio qui dentro.
Qui dentro è il mio cuore
Giusi Quarenghi, E sulle case il cielo, Topipittori
Per prima cosa chiedo loro di chiudere gli occhi e di ascoltarmi mentre leggo, alla fine della lettura devono scrivere sul quaderno le frasi, le parole che sono loro rimaste in mente: la poesia è anche memoria auricolare e perché ricordiamo una parola o un’immagine invece di un’altra, è intimamente legato al fatto che nessun testo viene mai letto da solo, ma attiva sempre legami, ponti e connessioni.
Per la seconda lettura leggono il testo proiettati alla LIM, cui segue la discussione a partire da queste domande:
E cambiato qualcosa, nell’idea che vi siete fatti del testo, tra la prima e la seconda lettura? Quale lettura vi è piaciuta di più? Cosa avete provato? Mentre ascoltavate la poesia ad occhi chiusi avete visto delle immagini? A chi leggereste questa poesia?
Dopo la discussione, chiedo loro di disegnare la poesia e di porre intorno, a loro piacimento, le parole che maggiormente li avevano colpiti: è un’attività che permette di trasformare un testo in un altro testo. Spesso mi chiedono perché nei lavori in classe dia così tanto spazio alla rappresentazione grafica: saper visualizzare è una forma importante di comprensione del testo, attraverso la rappresentazione grafica i ragazzi danno forma a un testo e lo ricollegano a ciò che ci è più naturale (giacchè siamo nati per vedere e non per leggere), il linguaggio iconico. In questo caso il percorso cognitivo è ancora diverso: non si tratta di illustrare la poesia, coglierne cioè i dettagli, ma di tradurla in un simbolo che la spieghi.
Ecco come Miriam ha tradotto la poesia ascoltami inverno.
Pallina d’avorio
Il 27 gennaio è giornata di teatro: una nostra collega, Elisa Salvaterra, attrice e sceneggiatrice, recita in una pièce da lei scritta Pensione Mirafiori in cui si racconta la storia di tre sorelle ebree che si fingono cristiane, occupando il posto delle tre figlie scomparse della proprietaria. Alla fine dello spettacolo sale sul palco Don Giusto della Valle, parroco di Rebbio da sempre in prima linea per accoglienza e integrazione, insieme a lui c’è Kulibali, ragazzo del Mali: ci raccontano del viaggio, delle carceri libiche, degli sbarchi, dei muri. Dell’indifferenza. E del Messico, del Salvador, delle Filippine, del Brasile, dell’Eritrea. I ragazzi ascoltano, c’è un silenzio pieno di domande.
Torniamo in classe: discutiamo, decidiamo su cosa ci concentreremo i prossimi mesi, cosa andremo a conoscere su questo argomento. Combinazione è venerdì, il giorno della poesia, questa volta scelgo Pallina d’avorio di Giuseppe Langella: l’avevo intravista settimane prima su Facebook e subito avevo capito di trovarmi di fronte alla poesia giusta per i miei ragazzi di prima media. Questa volta non mi sono limitata a leggere, ma ci abbiamo lavorato quattro ore intere.
Giorno uno: il primo incontro con la poesia
Pallina d’avorio
Il piano era diverso
Farsi imbarcare come una valigia
nella stiva e dormire fra i bagagli.
Ma non c’è stato verso:
l’unico posto in franchigia era sopra
il carrello. Mi sono sentito perso.
Che fare? Un piatto vuoto di promesse
era laggiù la vita
Il dado è tratto
Ansia infinita, euforia dell’ignoto.
Mi stendo nel mio sarcofago e rido:
“Parigi val bene una mummia” “È gaia
La ville lumiere.”
“Ma questa è una ghiacciaia!
Tieni duro: à la guerre come a la guerre”
Sogna ancora, laurent, la Tourre Eifell
Mountmartre, Il Louvre, Rue de la Huchette.
Rien ne va plus, mon pauvre enfant – sentenzia
al tavolo il croupier -: les jeux sont faits.
E’ stata un triste azzardo la roulette.
Ti hanno portato, morto, all’obitorio:
la pallina d’avorio
è rotolata agli Champs – Elysèes
Ho letto la poesia ad alta voce, chiedendo, come faccio di solito, che tenessero gli occhi chiusi.
Alla domanda: secondo voi di cosa parla questa poesia? Le risposte sono state: una persona che muore, un incidente aereo in Francia, è una poesia triste succede qualcosa di brutto.
A questo punto di solito chiedo loro: Come fate a dirlo? Per rispondere devono necessariamente citarmi le parole del testo: obitorio, sarcofago, mummia.
Ogni docente dovrebbe sapere l’importanza delle domande, sia quelle che gli alunni fanno a noi, sia quelle che noi facciamo agli alunni: chi se la prende con le lezioni frontali ha in mente la lezione monologo, quella in cui il docente parla circa per l’80% del tempo (e l’altro venti interroga). Molto più spesso le nostre lezioni sono dialogate e interattive: grazie alle domande il docente gestisce il ritmo della lezione, cura l’attenzione degli alunni, dà ritmo alla costruzione dell’oggetto di apprendimento.
Solo a questo punto abbiamo letto tre articoli tratti dai quotidiani, per ricostruire la storia di Laurent Ani, il ragazzo ivoriano, trovato morto nel carrello di atterraggio di un aereo proveniente da Abidjani in Costa D’avorio e diretto a Parigi.
“Prof., Laurent aveva tre anni meno di me”
“Sì Federico”, andiamo a vedere da dove veniva, guardiamo quanta strada ha fatto quell’aereo: Google Eart, Google Maps. E’ un attimo, il mondo entra in classe.
A questo punto ho riletto loro la poesia, chiedendo che seguissero il testo sul foglio, di disegnarla e di scrivere le parole che avevano colpito la loro attenzione.
Ecco alcuni risultati. Questi lavori, non sono l’obiettivo del percorso, fanno parte del processo necessario alla comprensione del testo: si tratta, potremmo dire, di semilavorati che rendono concreto il percorso graduale di scomposizione degli apprendimenti. Come sempre, nel lavoro del docente e tanto più nella scuola di primo grado, è il processo che va osservato nella sua interezza non il prodotto
Scomporre gli apprendimenti: ascoltare la poesia proporre una prima comprensione attraverso la trasformazione in un testo iconico individuare alcune parole chiave |
Giorno due: l’analisi della poesia
Ora abbiamo chiaro di cosa parla la poesia, ma è il momento di entrare in ciò che fa la differenza tra un’opera letteraria e una no: come viene scritta. In una didattica che sempre più mette al centro i temi e il messaggio, io credo sia importante guidarli a riconoscere la bellezza delle parole, dei suoni, delle immagini create dall’artista: è la forma che fa la differenza. Così li ho condotti passo passo dentro la poesia e le tecniche usate dal poeta, tenendo conto della loro giovane età ed inesperienza: ovviamente prima ci ho lavorato da sola, ho mostrato loro il mio foglio di analisi e poi siamo partiti a imparare a osservare, analizzare e a glossare.
Questa è la copia del mio lavoro di analisi: mostro sempre ai ragazzi il mio lavoro preliminare su un testo, mostro loro che anche io, prima di loro studio, indago, scavo. Il modeling è una fase chiave del lavoro in classe |
Per analizzare la poesia ci siamo serviti di queste domande guida proiettate alla LIM a cui abbiamo risposto insieme in classe: prima di formulare la risposta oralmente devono sempre sottolineare gli elementi richiesti, utilizzando colori diversi. E’ fondamentale che per qualunque domanda siano in grado di dimostrare come fanno a formulare tale ipotesi, dove trovano riscontro nel testo:
la prima strofa:
Cosa ci racconta il poeta? In quali versi si racconta il fatto di cronaca?
In quale persona è scritta questa poesia?
Ci sono parole che vanno a capo perdendo “un pezzo”? A cosa serve questa tecnica? (enjambement)
Ci sono parole in rima? Che cosa leggiamo se le leggiamo insieme?
Ci sono parole “tecniche”, che indicano parti tecnologiche?
C’è una metafora, un’immagine?
La seconda strofa
Cosa ci dice il poeta?
Sottolinea le parole che fanno pensare alla morte.
In quale persona è scritta la strofa?
Ci sono parole che vanno a capo perdendo un pezzo?
Ci sono rime? Che cosa leggiamo se le leggiamo insieme?
Cosa dicono i discorsi diretti? Chi li formula?
La terza strofa
Chi parla in questa strofa?
Perché si citano questi luoghi?
Quale immagine viene presentata? Perché?
Ci sono altre parole che indicano la morte?
In quali versi racconta come si è concluso l’episodio?
Cosa hanno in comune le parole scritte in corsivo?
Questo percorso ermeneutico, condotto attraverso domande, ricerca e individuazione di alcuni aspetti, li abitua a andare in profondità nel testo, con una struttura ben definita e insegna loro a glossare il testo |
I miei studenti sono piccoli e non conoscono le figure retoriche: ho sempre pensato che a nulla serva insegnare loro a riconoscerle, se non hanno chiaro il loro senso.
Per questo, per spiegare l’enjambement sono ricorsa alla definizione “frasi che vanno a capo perdendo un pezzo”: soggetti che perdono i loro verbi, aggettivi separati da nomi e così via. E’ stato molto facile a quel punto per loro riconoscerle, la domanda che è seguita è stata: ma perché il poeta fa così? Perché rompere la correttezza, la linearità della frase? Sara con un’immagine efficace mi ha detto: “Sono i singhiozzi di Laurent, quando piangi non riesci a pronunciare le parole intere, ogni tanto ti interrompi” Li ho poi portati a ragionare sul fatto che, rompendo l’unità, una parola viene isolata e si trova in posizione forte a fine verso.
Sottolinenando le rime abbiamo notato come per ciascuna strofa siano pochissime: verso/perso, gaia/ghiacciaia, Huchette/roulette, obitorio/avorio. Abbiamo isolato le rime e provato a leggerle come se fossero una nuova poesia. Perché un verso è perso? Ipotizziamo: è il verso della poesia che si sente perso perché non è in grado di rappresentare la morte? La gaia ghiacciaia mi ha permesso di introdurre il concetto di ossimoro: perché il carrello è una ghiacchia? Ma perché è gaia? Permette di raggiungere la felicità, lasciando il paese d’origine.
L’immagine della roulette è un filo conduttore della poesia e ritorna nelle parole rima: roulette è in rima con Huchette, tradizionale strada dei divertimenti di Parigi. La pallina d’avorio spicca per il suo candore, come bianco è l’obitorio. E rotola agli Champs–Élysées, uno dei viali più grandi e maestosi di Parigi; come per gli altri luoghi citati l’abbiamo cercato su Google maps, ma non ho potuto fare a meno di dire loro che Campi Elisi è il nome del luogo dell’aldilà in cui, secondo i romani, dimoravano le anime degli uomini amati dagli dei.
Il mio lavoro è andato avanti attraverso domande, invito a sottolineare le parole e la ricostruzione di alcuni impliciti che loro ignoravano come le tre frasi sentenziali, a la guerre come a la guerre, Parigi val bene una messa (mummia nel testo), il dado è tratto.
Ho raccontato loro la storia delle tre espressioni, così è venuta naturale connotarle con la guerra e con la scelta: di fatto le espressioni sono una l’opposto dell’altra e rappresentano due momenti ben precisi della storia. All’inizio, Laurent si trova a dover prendere una decisione difficile in virtù del piatto vuoto di promesse che lo attende, per cui dice il dado è tratto, cioè non posso più tornare indietro; poi la situazione cambia, sente freddo, comincia a parlare con se stesso, ha paura e pensa (in francese!) la guerre comme a la guerre, cioè dobbiamo accettare le cose come stanno.
Ci siamo anche chiesti chi pronunciasse quelle frasi: “Laurent” è stata la risposta dei ragazzi, io, però, ho instillato loro il dubbio che un ragazzino ivoriano di quattordici anni difficilmente potesse conoscere frasi tipiche della storia europea, mentre potrebbe starci il parlare francese, lingua della Costa d’Avorio.
Dopo un’ora serrata di analisi, domande e indagini sul testo ho chiesto loro di riscrivere la poesia, cercando di tradurla in una lingua più vicina a loro. Non proprio una versione in prosa puntuale, diciamo una riscrittura interpretativa, che però mostra bene quanto hanno compreso del testo:
É andato tutto storto, dovevo imbarcarmi con i bagagli e dormire nella stiva.
Non c’è verso, l’unico posto gratis è il carrello, ma laggiù, al mio paese, la mia vita non poteva andare avanti, non avevo speranza. La decisione è presa: provo ansia e gioia. Mi stendo e dico: “per andare a Parigi vale la pena anche un viaggio pericoloso. Penso: “Che freddo”. Devo farcela, devo farmi bastare questo. Spero ancora, io Lourent, di vedere La Tour Eifell, Monmartre, rue la Huchette.
La mia vita è come la roulette, la mia pallina ha finito di girare.
Ti hanno portato morto nel bianco obitorio. La tua pallina è rotolata sugli Champs–Élysée
(Francesco)
Una prima forma di commento
Nel corso del triennio il mio obiettivo è portarli a conoscere, comprendere e saper commentare un testo. Il percorso fin qui svolto va in quella direzione: vengo in contatto con la poesia (la ascolto e leggo per la prima volta), entro dentro il testo, lo scompongo e comprendo (provo ad analizzare, mettere in relazione, cercare connessioni all’interno e all’esterno del testo), poi ricucio tutto insieme (lo riscrivo in prosa) e alla fine stendo il commento. Per imparare a scrivere un commento ci sono almeno tre anni di lavoro: in prima l’avvio al commento avviene con un attivatore grafico. Col termine attivatore grafico si intende uno schema che sfrutta l’immediatezza dell’immagine e guida nella scrittura. Nel caso della poesia in oggetto ho presentato ai ragazzi lo strumento de “la poesia in una pagina”, felice intuizione della mia amica e collega Agnese: in una sola pagina ci sono attività diverse, dal dare un nuovo titolo, alle riflessioni personali, a considerazione sulle tecniche usate dal poeta. Questa attività permette ai ragazzi di rimettere insieme tutti gli aspetti che fino a quel momento avevamo analizzato singolarmente, è una prima forma di commento, cui seguirà un vero testo.
Ecco qualche esempio:
Riassemblare tutto quanto imparato Attraversi questo attivatore i ragazzi riscrivono e riuniscono tutti gli aspetti della poesia analizzati singolarmente nelle tappe precedenti. |
Conclusioni
Il piccolo lavoro che ho presentato è stato costruito partendo da quelle che ritengo essere i principi fondamentali che guidano una interazione didattica: indagare quello che gli alunni già sanno, mostrare con chiarezza quello che sarà il nostro percorso, presentare poche informazioni per volta, guidarli passo passo, attraverso continui feedback e la pratica guidata. Muovendosi così lentamente e per piccoli passi tutti gli studenti sono stati in grado di portare a termine il compito, lo spazio dedicato alla riflessione ad alta voce in classe è servito a costruire un patrimonio comune. La mia grande soddisfazione è che tutti sono stati in grado di lavorare sulla poesia, di comprenderla, di andare in profondità. Era il primo lavoro di analisi del testo poetico, ora continueremo con l’immersione e lo studio delle poesie e la parte di scrittura autonoma. Alla ricerca ciascuno della propria voce.
BIBLIOGRAFIA PER AVERE A CHE FARE CON LA POESIA IN CLASSE DALLA CULLA AI QUINDICI ANNI (E FORSE PURE PIU’ SU)
Insegnare la poesia a bambini e ragazzi
Manuali
Donatella Bisutti Le parole magiche
Donatella Bisutti la poesia salva la vita
Bernard Friot Dieci lezioni sulla poesia, l’amore e la vita
Chiara Carminati Fare poesia
Chiara Carminati Perlaparola. Bambini e ragazzi nelle stanze della poesia
Georgia Heard Awakening the heart
Vera Gheno Potere alle parole
Rilke Lettere a un giovane poeta
Raccolte poetiche
(in ordine di complessità, ma tutto è relativo)
Guido Quarzo Macchinario Bestiale
Peteer Neweil Il libro sbilenco
Letizia Cella Mamma cannibale
Tony Mitton Prugna
Roberto Piumini io mi ricordo
Donatella Bisutti L’albero delle parole
Chiara Carminati Poesie per aria
Bruno Tognolini Rime di rabbia
Silvia Vecchini Poesie del giorno della notte di ogni cosa intorno
Silvia Vecchini Acerbo sarai tu
Chiara Carminati Viaggia Verso
Roal Dahl Versi Perversi
Vecchini Vairo In mezzo alla fiaba
Rupi Kaur The soul and her flowers
Chadra Livia Candiani Bevendo il tè con i morti
Giusi Quarenghi Basurada
Antonia Pozzi Mia vita Cara
Antonia Pozzi Nel prato azzurro del cielo
Alba Donati Tu paesaggio dell’infanzia
Wislawa Szymborska la gioia di scrivere
Emily Dickinson Tutte le poesie
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Caporedattore
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Editore
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