Villetta con ospiti: un’allegoria nazionale e popolare
Villetta con ospiti, il nuovo film di Ivano De Matteo, si pone di traverso rispetto ai luoghi comuni più rassicuranti dell’intrattenimento e all’orizzonte d’ attesa più mediocre. Eppure utilizza generi e modi di largo successo come la commedia borghese e il noir, il suo tema è dei più attuali (la difesa personale, l’uso delle armi, i migranti) e uno dei protagonisti è un volto molto noto al pubblico di fiction come Marco Giallini. È un film rubricato come “una commedia che vira verso il giallo” eppure la sua forma del contenuto giunge inattesa e produce riflessione e turbamento.
Gli ingredienti per realizzare con materiali potenzialmente vieti un’opera problematica e demistificante nei riguardi delle mitologie del presente e di tanta finzione omogeneizzata, sono la struttura rigorosamente drammaturgica (la vicenda si svolge nell’arco di ventiquattr’ore e in prevalenza nello spazio chiuso di una villetta veneta) e l’uso sapiente dell’ allegoria, sia naturale e animale (i lupi, i caprioli, i ricci, i conigli, i corvi, il temporale) che istituzionale e sociale (le figure del poliziotto, del prete e del medico, – i pilastri della provincia italiana – tipicizzati senza manicheismo). Inoltre sia la sceneggiatura, affidata a Valentina Ferlan, che la recitazione di alcuni attori (soprattutto quelle delle due donne, Michela Cescon e Cristina Flutur e del ragazzo rumeno Ioan Tiberiu Dobrica) sono di elevata qualità così come la colonna sonora di Francesco Cerasi iterativamente accompagnata da suoni che da famigliari divengono perturbanti, come quelli dei cellulari, dei campanelli e dei citofoni.
Villetta con ospiti scava nel sottosuolo di un paese sempre più ipocrita e familistico come il nostro, ne fa emergere le nuove sudditanze sociali (l’adolescente rumeno fa notare lucidamente alla madre che se la famiglia presso cui fa da badante la pagasse il giusto, non avrebbe più bisogno della loro carità e dei loro doni) e le nuove violazioni civili oltre che le responsabilità morali. Al tema principale (i rapporti fra italiani e migranti e l’autodifesa armata delle proprietà con le sue spietate e taciute contraddizioni) si affiancano motivi allusi per bagliori, come i rapporti fra gli adolescenti e gli adulti, le ipocrisie famigliari, l’antropologia delle villette. Le allegorie animali risultano così tanto efficaci e pertinenti (nell’incipit, i maschi italiani armati fino ai denti feriscono e uccidono un lupo nel bosco) perché i rapporti fra tutti i personaggi sono governati da un feroce intreccio darwiniano di pulsioni nascoste e di reciproci ricatti.
La provincia del Nord-Est (il film è girato a Bassano del Grappa) è insomma anch’essa allegorica dello stato presente degli italiani: vale a dire della forma di vita e della retorica pubblica e privata che ci possiedono, già svelate nelle rappresentazioni di alcuni fra i migliori scrittori contemporanei: Alessandra Sarchi in Violazione, Nicola Lagioia nella Ferocia, Giorgio Falco in L’ubicazione del bene, Vitaliano Trevisan in I quindicimila passi.
Confrontando questo film di De Matteo, capace di esercitare una funzione conoscitiva, civile, problematica e latamente politica, a tante fiction “realistiche” di successo solo in apparenza omologhe, occorrerebbe chiedersi cosa resti oggi dei concetti gramsciani di nazionale e popolare. Da un ventennio si continua a ribadire che il successo di Pippo Baudo, Fiorello o Checco Zalone sarebbe palesemente “nazionalpopolare”. La “prigione nazionalpopolare” (Giorgio Baratta) nella quale è caduta la memoria del grande pensatore sardo, è ancora questione attuale, specie nel contesto didattico: se non altro per la forza d’attrazione che esercitano nell’immaginario i prodotti di consumo e per la conclamata assenza di strumenti per il giudizio di valore su questi medesimi prodotti che sembrano inibire con la propria presunta ‘naturalezza’ ogni facoltà di distinzione, e che si autopromuovono da sé sul mercato, con la forza automatica di ogni altra merce.
Gramsci non ha mai usato il concetto di nazionalpopolare nel senso utilizzato oggi e ha condotto una verifica a proposito del termine nazionale per sottolineare come l’intellettuale umanista italiano fosse storicamente più elitario e libresco di quello di altri paesi. Per Gramsci, la cultura popolare è il risultato dei cascami della cultura egemone e, tuttavia, alla svalutazione della cultura popolare per la sua subalternità corrisponde dialetticamente nei Quaderni del carcere il costante riconoscimento della sua serietà e della necessità di studiarla se si vuole compiere «un calcolo più cauto ed esatto delle forze agenti nella società». Per Gramsci non è dunque possibile prescindere dalla fortuna che ha la letteratura di avventura, gialla, poliziesca e non è possibile ignorare la letteratura popolare o peggio disprezzarla.
Occorre saper distinguere. Villetta con ospiti a esempio è, a suo modo, un film nazionale e popolare (e non nazionalpopolare): rappresentando la vita nascosta di una ricca cittadina del Veneto in cui di giorno le signore e i loro mariti ostentano pubbliche virtù e in cui di notte esplode il lato oscuro della provincia, utilizza il noir come un involucro per disseminare frammenti residui e preziosi di critica sociale. Svela a un pubblico potenzialmente ampio ciò che la retorica dell’autodifesa privata cela: la nostra falsa coscienza, l’illibertà e l’infelicità collettive, le nuove forme barbarie e i nuovi rapporti di dominio.
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