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diretto da Romano Luperini

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Sebben che siam sardine…

 

 Ultimo banco

Si può fare finta di niente, si può persino negare. Eppur si muove qualcosa. Certo, assistere alla «rivoluzione ittica» può sconcertare chi – fino a qualche tempo fa – ha ostinatamente creduto alla rivoluzione del proletariato. Svanito lo spettro che si aggirava per l’Europa, assistiamo al movimento che riempie le piazze d’Italia di sardine. Specchio della degradazione dei tempi o frantumi delle brame di cambiamento, sta di fatto che una gran quantità di esemplari umani si stringono uno accanto all’altro prendendo tutti insieme una direzione. Guardati da lontano possono apparire come blocco compatto, suscitando diffidenze e speranze opposte, io ho fatto l’esperienza di guardarli da vicino, un sabato sera a Catania. Essere in mezzo a tante sardine, mi ha fatto provare che cosa significa fare parte del banco. Esperienza che ho riconosciuto diversa ed eppure simile ad altre antiche che ho vissuto da ragazzo. Sono andato per vedere e sono rimasto impigliato nella rete.

Sotto l’elefante

La cosa che mi ha colpito andando verso la piazza della pescheria (quale altro luogo più adatto e paradossale per un ritrovo di sardine?) e poi arrivandoci è stato vedere riunirsi e compattarsi a poco a poco persone della più varia età: tanti ragazzi, certo, ma tanti cinquantenni e sessantenni che si mescolavano senza alcun imbarazzo con chi era più giovane e più anziano. Non c’era tra quelle persone il sottile sguardo di domanda che sottintende «Ma tu che ci fai qui?» e che stabilisce una gerarchia tra i puri e gli avventizi, tra i rivoluzionari di professione e gli altri. È arrivata anche una distinta signora che ostentava la sua sardina di cartone con figlia al seguito munita di cartoncino colorato, e un signore in bicicletta, e un gruppo di ragazzi che si guardavano attorno per raccogliersi poi in un insieme vociante, e una coppia di coniugi composti e silenziosi, che hanno preso la loro signorile posizione, accanto a giovani saltellanti. E tutti si muovevano senza urtarsi, compatibilmente con la calca che andava aumentando, in realtà contenti del numero che a vista d’occhio cresceva di momento in momento. Finché la piazza è risultata insufficiente ad accogliere quelli che ancora arrivavano e le sardine sono state invitate a spostarsi nell’adiacente piazza Duomo. Lì la folla si è distesa ordinatamente, rumorosamente prendendo respiro. È stato sorprendente vedere e sentire tanta gente contenta di stare insieme a tanti altri. Di sera, sotto la fontana dell’elefante (il simbolo di Catania) si è raccolta la gente che si riconosceva senza alcuna esitazione antifascista, antirazzista, antileghista. Come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come se non fosse Catania. Come se quello che è cominciato a Bologna ed ha attraversato trenta città rendesse giustizia di una cosa evidente, a lungo taciuta. L’elefante guardava la folla festosa non per una partita di calcio o una promozione in serie A, non per devozione alla patrona, ma per i valori della Costituzione democratica, per la tolleranza, per la pace, l’accoglienza, per il linguaggio civile, per la politica che fa le cose e unisce, che risolve i problemi invece che eternarli.

Tutte cose che l’elefante, a sua memoria, non ha mai visto.

 

Compagno di scuola, compagno per niente

«Chi sono le sardine?», «Che cosa e chi c’è dietro?», «Chi le muove e manipola?». Sono le domande più frequenti che hanno le loro profonde e giustificabili e serie ragion d’essere. Tuttavia non mi sembrano interessanti, adesso. Né tantomeno mi sembrano occuparsi del fatto che sta accadendo ora. Chiunque siano i promotori di questo fenomeno e qualunque tipo di legame sotterraneo abbiano con qualche occulto potere (ammesso che lo abbiano), quello che è accaduto e che accade è che tante persone attraverso un movimento trans generazionale si mescolano, decidono di non tacere, di andare in piazza in senso fisico e non più nell’inflazionato modo verbale, in difesa di valori politici che stanno a fondamento della convivenza civile. Tanta gente che ho visto non sembrava essere solita frequentare le manifestazioni, eppure era a proprio agio. Forse perché non c’erano simboli di partito? Forse perché nell’indifferenziato galleggia il qualunquismo? O forse perché ci si trovava su un terreno comune? Essere lì, comunque lo si voglia intendere, era assumere una posizione. E stabilire una linea di continuità con altre piazze. Non certo costituite da duri e puri, ma neanche da marionette. Altra cosa che risultava evidente era che tutta quella gente si sentiva al sicuro lì in mezzo. E soprattutto, ciascuno era evidente che si sentisse nel giusto. Una tale consapevolezza democratica così diffusa e convinta, credo che in Italia sia una cosa nuova, e bisogna prendere atto della cosa e della novità. Rispetto allo squallore maleducato di una propaganda elettorale cronica, che conteggia a suon di sondaggi quotidiani il potere contrattuale del partito politico e del candidato in ascesa, quella folla che regredisce a sardina ha l’effetto straniante di riscoprire delle cose essenziali, di cui non si parla più. Cose semplici, ovvie, che sembrano essere dettate da una consapevolezza e una maturità che di solito fa difetto al nostro ceto politico. Se c’è un risultato chiaramente raggiunto da questo neonato movimento è la definitiva scollatura tra le persone reali e gli attuali partiti politici, sbiaditi successori delle forze che hanno scritto la Costituzione repubblicana.

È ormai evidente che risulta più efficace e coinvolgente il richiamo delle sardine che quello – che di fatto non c’è stato – delle forze che un tempo si chiamavano democratiche e antifasciste. La sardina ha definitivamente dimostrato che non esiste più una capacità di rappresentanza dei partiti. Il compagno di scuola è entrato in banca pure lui. Finito l’impegno, disperso il fumo delle barricate, di cui cantava Venditti, forse una sardina, ironia dei tempi, ci salverà.

Paura non abbiamo

Rendere visibile il dissenso riguardo a scelte politiche che vengono rilanciate in continuazione dai media come maggioritarie nel paese, con il preciso effetto di renderle ancora più forti, è notevole nel paese i cui abitanti, come osservava Flaiano, «corrono sempre in aiuto del vincitore».

Rispetto a questi ultimi uomini forti ed a queste intrepide donne religiose, che, simulando e dissimulando, vogliono indossare i panni del principe e accolgono intrepidi l’esortazione a prendere l’Italia per liberarla dagli stranieri che l’invadono, le sardine hanno il merito di ricordare parole semplici, di buon senso, di convivenza civile. Rispetto a chi aspetta il Capitano che ci salvi dalle orde barbariche, possiamo opporre le lungimiranti parole ancora di Flaiano:

«La stupidità ha fatto progressi enormi. È un sole che non si può più guardare fissamente. Grazie ai mezzi di comunicazione, non è più nemmeno la stessa, si nutre di altri miti, si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore attorno a sé.» 

Non dobbiamo avere paura, perciò, e sorridendo dobbiamo ricordare che Alberto di Giussano non è mai esistito. Le sardine, invece, adesso esistono, le ho viste muoversi tutte insieme all’ombra dell’elefante e insinuarsi tra i machiavellismi di golpe e lione. La speranza è che l’uomo abbia la meglio sulla bestia, nel rispetto della nostra storia e della nostra identità. Dobbiamo discutere e parlare. Se Machiavelli pensava che il principe dovesse essere addestrato da un centauro, mezzo uomo e mezzo bestia, forse potremo resistere al capitano contando su un tritone, mezzo uomo e mezzo pesce. Vedremo.

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