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Io le telecamere di sorveglianza le voglio

 

Io le telecamere di sorveglianza le voglio. Ma non solo a scuola. Ci sono molti altri luoghi dove potrebbero essere utili. Perciò che siano introdotte:

in tutti gli uffici pubblici, perché troppe volte impiegati incompetenti o cafoni o tutte e due le cose insieme mi hanno privato di elementari diritti e servizi dovuti al cittadino;

nei conventi e nelle sagrestie, perché forse la pedofilia e l’abuso di suore da parte di prelati sono ormai marginali – le vocazioni sono in crisi, il chierichetto non lo fa quasi più nessuno – ma quei pochi bambini e quelle poche suore sono deboli di fronte all’autorità di quella nera tonaca;

nei commissariati di polizia, perché quale donna mai, davanti a una divisa, avrà il coraggio di dire che sì, aveva una minigonna, e sì, aveva bevuto qualche bicchiere, ma questo scusi che cosa c’entra con lo stupro?;

negli ospedali, perché ho visto infermieri stressati dal troppo lavoro trattare bruscamente o ignorare o propriamente maltrattare chi è forse il simbolo stesso della nostra fragilità, il più inerme di tutti noi: il malato;

nelle carceri, perché… (davvero c’è bisogno che ve lo spieghi?);

(forse anche a casa di mia nonna, perché hanno cercato ripetutamente di truffarla, ma lei è ancora sveglia e per due volte gli ha chiuso la porta in faccia; al terzo tentativo però un delinquente più abile dei precedenti ci è riuscito, e lei ora convive con la paura e l’umiliazione);

insomma: voglio le telecamere ovunque viga un rapporto di asimmetria, disparità, subordinazione, ovunque un debole sia confrontato a un forte e un’autorità possa abusare del proprio potere nel silenzio e nell’ombra.

Non fatevi distrarre da chi grida in difesa dello stato di diritto, dagli intellettuali sempre esagerati che citano il Panopticon, la biopolitica, il totalitarismo, Bentham, Foucault, il Grande Fratello, dagli insegnanti che non vogliono farsi valutare.

Voi provate una legittima paura. Voi sapete che l’autorità è pericolosa. Avete ragione. Ripensate al cittadino, al chierichetto, alla donna, al malato, al carcerato. La trasparenza è un valore, l’opacità il suo contrario. Chi si comporta bene non avrà nulla da temere. Basterà stabilire qualche regola per la gestione delle riprese. Basterà avere un custode fidato delle immagini. Le istituzioni sono lì per questo. Il buon senso è dalla nostra parte. Anche il Parlamento è stato unanime nel voto, l’accordo è bipartisan. Le telecamere sono democratiche. Le telecamere sono progressiste. Anzi, diciamocelo: le telecamere sono di sinistra, altro che Salvini.

Qualche spiritello tentatore vi sussurrerà all’orecchio che rischiamo abusi e un controllo perenne delle nostre azioni. Qualcun altro filosofeggerà con la voce tonitruante di chi capisce tutto e lo spiega agli altri che si preannuncia una società in cui l’assunzione di responsabilità personale e il patto tacito di fiducia con l’altro saranno appaltati a un occhio elettronico. Magari sarà anche un po’ vero, possiamo ammetterlo – siamo persone di buon senso e di mente aperta –ma dobbiamo soprattutto dire che in fondo sono ipotesi e speculazioni, di fronte a questa solida certezza: le telecamere sono uno strumento di maggior giustizia. Ripetiamolo insieme: lo facciamo a maggior gloria della civiltà dei diritti, a tutela degli indifesi, per il rispetto che dobbiamo ai bambini.

Per cui si rassegnino i critici e gli apocalittici, i professori e gli intellettuali: le telecamere passeranno. Il male non sta dove credevano loro. Si sono sbagliati, di nuovo, come sempre.

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