I ragazzi non stanno a guardare
Come tutti ho visto il video in cui Simone, un ragazzo di 16, fronteggiava Mauro Antonini, responsabile di Casa Pound nel Lazio, a Torre Maura: non me la sento di gridare al miracolo, di esaltare il suo coraggio, come se si trattasse di un caso raro di adolescente impegnato. Non mi stupisce che un ragazzo si batta per le proprie idee, che lo faccia in modo avventato e senza pensare ai rischi, mi fa più riflettere che fosse lì da solo, senza altro adulto a sostenerlo, che fosse l’unico a opporsi a un pensiero razzista. O forse no. Perché insieme a Simone c’erano tutti gli adulti che negli anni hanno parlato, discusso e ragionato con lui sulle periferie, sull’accoglienza, sulla diversità, sulla politica, sull’humanitas. La questione, quindi, non è cosa fanno o non fanno i ragazzi, la questione vera è cosa facciamo noi con loro e per loro.
Due fiabe e una visita d’istruzione
Visita di istruzione a Trieste, cammino insieme ai miei cinquantaquattro preadolescenti. Non posso dire siano silenziosi e composti: trasudano vita da tutti i pori. Non camminano, ciondolano e ogni tanto parte la rincorsa, non parlano sottovoce, certo, ma nemmeno urlano, sono concentrati sul loro essere lì, sull’unicità di quel momento, sull’assaporare la libertà sotto un leggero sole di marzo. Incontriamo un gruppo di bambini, non sono più silenziosi di noi, non sono più composti di noi, eppure anche a me viene un moto di tenerezza negli occhi: noi umani siamo programmati così, protezione naturale verso il bambino, diffidenza e paura verso la giovinezza che ci urla addosso. Guardandomi intorno ho notato una cosa, gli stessi sguardi pieni di empatia e amore che accompagnano i bimbetti, si trasformano in disappunto e fastidio al passare dei preadolescenti. Ma perché? Che cosa ci spaventa? Che cosa ce li fa additare? E guardare con distacco e giudizio?
“Che orrore, che aspetto quell’anatroccolo! Quello non lo sopportiamo! E subito un’anatra volò lì e lo morse sulla nuca” […] “È troppo grosso, è troppo diverso!” Disse l’anatra che lo aveva morso. “Allora deve essere picchiato”
Solitamente, quando si pensa al brutto anatroccolo di Hans Christian Andersen, si mostrala crudeltà delle galline e delle anatre che non riconoscono l’anatroccolo come membro della loro famiglia e lo beccano e scacciano. A me questa fiaba ha sempre fatto pensare agli adolescenti che sono spigolosi, confusionari, diversi e si trovano, loro malgrado, in un mondo di adulti che non li riconoscono e ne vedono soprattutto la diversità, la goffaggine e la bruttezza. Anche quando viene accolto, infatti, il brutto anatroccolo è guardato con sospetto e cacciato perché non fa mai quello che ci aspetteremmo da lui:
“i bambini volevano giocare con lui, ma l’anatroccolo credeva che volessero fargli male e per lo spavento finì nella ciotola del latte, cosicché il latte schizzò tutto nella stanza; la donna gridò e sollevò le mani, e allora quello volò nel mastello del burro, e poi nel barile della farina e ne uscì di nuovo, ah che aspetto aveva! E la donna gridava e cercava di colpirlo con le molle del camino, e i bambini correvano uno contro l’altro per prendere l’anatroccolo, e ridevano e gridavano! Fu un bene che la porta fosse aperta, si precipitò fuori tra i cespugli nella neve fresca e lì rimase come in letargo!”
Facciamocene una ragione, gli adolescenti scappano sempre da ogni parte: tanto i bambini vogliono rendere felice e compiacere l’adulto, tanto gli adolescenti cercano lo scontro e la lotta, non necessariamente urlando e opponendosi, spesso sottraendosi al confronto e al dibattito, apparentemente abulici ad ogni proposta. Si cresce a salti e battaglie e necessità dei ragazzi è trovare adulti autorevoli con cui scontrarsi e incontrarsi, non adulti narcisi che ambiscono ad essere amati e compiaciuti. Tutti conosciamo la favola dell’imperatore ingannato dai sarti truffatori: è sempre Andersen che ci dipinge questo re e i suoi ministri che gli nascondono la verità, vuoi per paura di perdere i propri privilegi, vuoi per viltà, vuoi per quieto vivere. Alla fine un bambino dice: “Il re è nudo” e subito il popolo si sveglia da un sogno e urla”date ascolto alla voce dell’innocenza!”, come se i bambini avessero diritto all’ascolto perché puri e portatori di verità.
La stessa frase, in bocca a un adolescente sarebbe stata: “Ma non vedete che è nudo, ’sto coglione?!.” E la reazione sarebbe stata diversa: state certi che qualcuno si sarebbe fermato a guardare il dito e avrebbe lamentato la lesa maestà, il linguaggio scorretto.
A me nun sta bene che no
Torre Maura, periferia di Roma: 70 Rom vengono ospitati al centro di accoglienza. Una folla inferocita di 300 persone con alla testa gli esponenti di estrema destra grida “Devono bruciare quei bastardi”. I bastardi, per la cronaca, sono 33 bambini, 22 donne e 15 uomini: la folla urla che muoiano di fame, poi calpesta i panini loro destinati. Mi viene in mente un’altra fiaba di Andersen“la bambina che calpestò il pane”, in cui una bambina che gettò il pane per terra per non sporcarsi le scarpe nell’attraversare una palude viene punita con un lungo supplizio infernale, ma forse è una connessione poco pregnante.
Mentre gli adulti a volto scoperto fanno a gara nel rivendicare la sommossa e le loro parole, vantandosi di essere razzisti e crudeli, Simone avanza e, pane al pane, parole a parole, li affronta. Me lo immagino arrabbiato, perché non gli va che il suo quartiere passi per un posto senza cuore; me lo immagino ad aver discusso ore con i genitori sul quartiere, sulle minoranze e sulla legalità: le parole di Simone non nascono da niente, la sensibilità e l’empatia vanno costruite.
Ecco, Simone è l’adolescente che grida che il re è nudo e non ne ha paura. A noi adulti la scelta: stare in un angolo invitandolo a lasciar stare? Puntare il dito in difesa della lingua pura? Urlare al miracolo, come del resto già successo con Greta Thumberg? Ma c’è un’altra via?
Chissà perché quando un ragazzino non si comporta secondo l’immagine che abbiamo nella testa, ci deve essere qualcosa di strano, qualcosa che non va. Solo chi non è abituato a stare con i ragazzi, chi non li ascolta e conosce sgrana gli occhi e si stupisce per le parole di Simone. Simone indossava una cartella, me lo sono immaginato in classe, un ragazzo come tanti che deve potersi nutrire di ideali, deve pensare di poter cambiare il mondo, di renderlo migliore. E noi dobbiamo mostrarglielo: dire chiaro cosa siano il razzismo, la violenza contro le minoranze, la creazione del nemico, cosa significhino l’humanitas, la compassione, l’inclusione e l’accoglienza. La loro non è l’età del cinismo,è l’età dei sogni e delle imprese impossibili, delle utopie reali. L’adolescente, per sua natura, rifiuta tutto ciò che è conosciuto, sicuro e familiare: deve ridefinire i propri confini. Ecco che siamo noi adulti ad essere spaventati da questo lato distruttivo e oppositivo e ci scordiamo di guardare l’altro lato della medaglia, il lato costruttivo. “Gli anni dell’adolescenza sono un momento di grandi potenzialità e capacità costruttive. Dal rifiuto dei modi di agire e pensare della tradizione possono scaturire idee originali, fuori dagli schemi, che consentono la realizzazione di pratiche innovative e creative[…].”Daniel J. Siegel La mente adolescente.
Qui la scuola incarna una delle sue missioni: sostenere gli adolescenti, porli davanti a limiti da superare, insegnare loro la possibilità della scelta, mostrare cosa è giusto e cosa è sbagliato. E credere, credere sempre nel loro potenziale, nella loro bellezza. Non si può insegnare se non si amano i ragazzi, se non si crede in loro. E se non si crede fermamente che da loro si possa imparare
I ragazzi stanno nel mondo e si guardano intorno
Venerdì 5 aprile: ho finito di leggere le ultime venti pagine del libro Non dirmi che hai paura di Catozzella, la storia di Samia Yusuf olimpionica a Pechino nei 200 metri per la Somalia e cadavere nel Mediterraneo tre anni dopo.
Il silenzio si respira, pesante. In 180 pagine abbiamo letto la storia di Samia, il suo desiderio di correre, la guerra di Al Shabaab, la fuga in Etiopia e il desiderio di andare in Europa per correre. Il libro racconta nel dettaglio il viaggio: gli inganni dei trafficanti, che si vendono i migranti fra loro, le violenze nelle prigioni libiche, i cassoni da cui non si può cadere, tanto nessuno ti raccoglie, i container con una fessura sola e in cui si sta stipati al punto da dimenticare se stessi. È un libro crudo che ha al centro il desiderio di vita e vittoria di una ragazzina, il suo desiderio di migliorarsi, di lottare per un futuro migliore.
Parliamo, ci facciamo interrogare dal libro, condividiamo quello che abbiamo provato e capito, loro parlano da adolescenti, senza cinismo e con rabbia:
“Il prossimo che mi dice che i migranti fanno un viaggio a cinque stelle lo prendo a pugni in faccia”.
“Anche io avrei fatto come Samia: se non hai speranza, devi andartela a prendere.” Costi quello che costi.”
“Non avrei mai creduto che il viaggio fosse questo, è una cosa che ti cambia la vita. Come puoi fidarti ancora delle persone?”
“Se nascevo a Mogadiscio, magari c’ero io su quel barcone”.
“Ora capisco perché non vogliono più tornare in Libia”.
“Se la prendono con i migranti perché sono deboli, ma i razzisti le sanno queste cose? Come possono restare razzisti?”
Parliamo, discutiamo, ci mettiamo nei panni di Samia: la forza della letteratura e dei libri è proprio permetterci di vivere la vita degli altri, sentire le emozioni degli altri. La letteratura è vita per questo, perché permette di vivere altre vite.
I ragazzi hanno una grande voglia di esplorare il mondo, di cercare risposte: certo magari ci mettono più tempo di quanto ci piacerebbe e lo fanno a modo loro, ma quando le nostre aule diventano laboratori di cultura e di pensiero critico sanno cogliere l’occasione. Marco sta preparando il suo percorso d’esame. Ha scelto di rispondere a questa domanda: perché l’Africa, così piena di risorse, è così povera? L’illuminazione è venuta dopo una lezione sul Coltan: per la prima volta ho visto i suoi occhi accendersi. Ora sono tre mesi che cerca informazioni: internet, Internazionale, libri (su tutti Ismael Beah Memorie di un bambino soldato) e interviste.
Chiara sta studiando l’emancipazione femminile e ha cercato esempi in ogni campo del sapere. Esempi di coraggio e di determinazione, come quello di Katrin Switzer, prima donna a correre la maratona di New York.
Per Francesca Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa è stato il punto di partenza per provare a districarsi nella questione palestinese, aiutata anche da Palestina di Joe Sacco e da un viaggio in Terrasanta con la famiglia.
Rita studiando il DNA si è imbattuta in Rosalinda Franklin e non ha potuto che confrontare la sua storia con quella di Marie Curie; Riccardo si infiamma per il clima e il surriscaldamento globale; Andrea per gli androidi; Claudio per il calcio e il fenomeno degli ultras. Luciano sta studiando il razzismo: ha selezionato gli episodi di razzismo sui giornali da settembre di quest’anno. Mi ha detto che in rete ha trovato tantissimi esempi su cui discutere.
Non si può non credere nei ragazzi, davvero. E chi li guarda con compassione e un po’ di disgusto, povero lui. Non sa cosa si perde.
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