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diretto da Romano Luperini

Su Il popolo è immortale di Vasilij Grossman

L’esordio di Grossman

Siamo di fronte alla prima prova narrativa dell’autore di Vita e destino, il “Guerra e pace” del XX secolo, che apre la serie di libri che portano a questo capolavoro. È il primo dei romanzi di guerra scritto dall’autore, russo-ucraino ed ebreo, che dopo non essere riuscito a salvare la propria madre dall’invasione nazista chiese di partire volontario per il fronte. A causa della sua grave miopia venne riformato come soldato e reclutato come inviato di guerra nella redazione del giornale militare «Stella Rossa». Riuscì a scuotersi dalla depressione in cui era piombato e, preso da euforia, decise di battersi per la libertà della patria invasa. La parola «libertà» ricorre molte volte nel romanzo come uno degli ideali del popolo russo, cosa che può suonare strana perché l’Unione Sovietica, appena uscita dal terrore degli anni Trenta, stava sotto il tallone di Stalin e il processo della rivoluzione sociale era finito da un pezzo. Come dimostrano nell’interessantissima Postfazione del volume Robert Chandler e Julija Volochova, i curatori di questa edizione integrale, a cui dobbiamo la riscoperta di Grossman, la critica più o meno esplicita dell’autore si rivolge proprio contro Stalin. Nel 1941 i primi mesi di guerra furono disastrosi e la Wehrmacht penetrò profondamente nell’immenso territorio russo, alimentando il mito della guerra lampo (tra l’altro lo scenario della narrazione è lo stesso dell’attuale conflitto ucraino e, a carte rovesciate, l’invasione di Putin è l’ennesimo fallimento del modello del blitzkrieg). Stalin motivò il disastro con il miglior equipaggiamento militare dei tedeschi. In realtà, secondo molti storici, essi avevano «una strategia migliore nel dispiegare carri armati, aerei e altro equipaggiamento in modo efficace e coordinato». A questa strategia Grossman dedica molte pagine, il che suona come una critica implicita a Stalin. Scrivono i curatori: «esisteva l’incompetenza della leadership militare sovietica. Nel 1937, al culmine delle repressioni, Stalin aveva rimosso dai loro incarichi molti dei più alti gradi delle forze armate». La conseguenza fu un sistema di difesa statico largamente inefficace, quando quella in corso era una guerra di movimento, praticata sia dai generali tedeschi sia dai capi militari giustiziati da Stalin. Non è un caso che Grossman non citi mai direttamente Stalin, come era di rito all’epoca nella letteratura del realismo sovietico, ma, al momento della perorazione decisiva del commissario politico Bogarev alle truppe, la citazione è per Lenin: «Dovete vincere, compagni, e vincerete. Nel vostro petto batte il cuore di Lenin» (p. 165).

Un tratto di storia dell’Armata Rossa

La trama del romanzo è piuttosto semplice: è la storia di un’unità dell’Armata Rossa che rimane accerchiata dietro le linee tedesche, mentre è in corso una ritirata verso est, tra i campi di grano non mietuto dell’Ucraina. La storia si conclude con la rottura dell’accerchiamento, grazie alla manovra coordinata su due fronti da parte dell’Armata Rossa: il grosso delle truppe, che sta resistendo all’avanzata dei nazisti, e questa unità, che è rimasta imbottigliata dietro le linee nemiche. È basata su una storia realmente accaduta, raccontata a Grossman dal commissario Sljapin (come si deduce dai suoi famosi taccuini). Come è tipico dei romanzi dell’autore e del romanzo storico, vi è un continuo rimando tra finzione e realtà.

Il sistema dei personaggi contro lo stalinismo

I due personaggi principali del romanzo sono il commissario politico di battaglione, Sergej Aleksandrovic Bogarev, e il soldato semplice e giovane contadino kolkoziano, Semen Ignate’ev, che che conquista le belle ragazze cantando e raccontando storie antiche, apprese da una vecchia contadina del kolkoz. Con le stesse arti, Ignate’ev tiene alto il morale dei suoi commilitoni. Sembrerebbe di trovarsi dentro i canoni propagandistici degli eroi positivi tipici del realismo socialista, ma è solo un’apparenza. Bogarev è un filosofo strappato ai suoi studi sugli scritti di Marx all’Istituto Marx-Engels di Mosca e mandato al fronte. I curatori dimostrano, grazie ai fluviali taccuini di Grossman, che Bogarev trae ispirazione dal direttore di quell’Istituto, prima esiliato e poi giustiziato da Stalin. L’identificazione con l’Autore è evidente, anche lui sottratto al proprio lavoro di scrittore per andare in guerra. Il soldato semplice Ignate’ev garantisce alla narrazione un punto di vista dal basso ma non è un eroe tutto di un pezzo della gloriosa Unione Sovietica: è il classico contadino astuto, che se la cava in ogni circostanza, nella cui mano «ogni attrezzo suona». Parte malvolentieri per il fronte, lascia di malanimo la sua fidanzata Vera, che muore sotto i bombardamenti, ma trova una nuova fidanzata al fronte e scopre solo sul campo di battaglia l’amore per la propria terra. Bogarev e Ignate’ev si troveranno accomunati dallo stesso destino nella parte finale del romanzo.

Vi sono molti altri personaggi, cui farò solo qualche rapido accenno, che rendono questo libro un romanzo corale. Grossman si confronta con il tema della carestia e della collettivizzazione forzata delle terre dei kulaki perseguitati da Stalin, uno dei quali, Kotenko, all’arrivo dei tedeschi sfodera il proprio abito migliore, che puzza di naftalina, nella speranza che gli vengano restituite le terre confiscate, ma rimarrà mortalmente deluso, nel senso letterale del termine. L’undicenne Lenja, il figlio del potente commissario di divisione Ceredinicenko, sopravvive alla morte della nonna per mano dei nazisti e fugge nel disperato tentativo di ricongiungersi al padre; è impaurito, ma non dubita che il genitore verrà a prenderlo. Mercalov, maggiore, comandante di reggimento, eroe dell’Unione Sovietica nella guerra contro la Finlandia, è obbediente alla famigerata ordinanza n. 270 del Comando Supremo dell’Armata Rossa, presieduto da Stalin, che vietava ogni ritirata. Toccherà a lui, dopo una terribile lite con Bogarev, sovvertire lo schema staliniano e arretrare per poter poi sfondare il fronte nemico. Si può capire dalla ordinanza n. 270 l’intima natura dello stalinismo: una dogmatica autoritaria che non teneva alcun conto dei processi reali.
Grossman era animato del bisogno di dire la verità, anche a costo di incorrere nei rigori della censura stalinista, con cui ha combattuto per tutta l’esistenza, rimanendo comunista fino alla fine senza diventare un dissidente, a rischio della prigione, della deportazione e della vita stessa.

Il completamento della trilogia di Grossman

Il libro uscì a puntate su «Stella Rossa» nel 1942, in capitoli brevi, proprio perché non vi era la certezza che i lettori, cioè i soldati al fronte, potessero avere il tempo di leggere tutto il romanzo sulle pagine del giornale, dal momento che spesso le utilizzavano come cartine per le sigarette. Fu poi emendato e rimaneggiato, per sfuggire alla censura e pubblicato in un unico volume dalla Pravda. La presente edizione, tradotta in italiano, ha il merito di essere integrale e riporta molti brani espunti da Grossman per sfuggire alla censura.
Questa prima prova dello scrittore anticipa l’epopea dei due romanzi più noti, Stalingrado (1952) e il capolavoro Vita e destino (1960), rispetto ai quali è più semplice e immediato, ma, comunque, in singolare continuità. È con Il popolo è immortale che si completa la trilogia della guerra di Grossman, se vogliamo ricostruire una delle tante terne di hegeliana memoria della nostra letteratura. Viceversa E tutto scorre, con cui alcuni critici completano la dilogia di Stalingrado e Vita e destino, ne rappresenta più che altro il complemento filosofico.
Comuni ai tre romanzi sono il nesso tra gli uomini e la natura, che sembra partecipare alla guerra, le descrizioni limpide e sinestesiche, che sono la sigla dello stile di Grossman, l’idea del fluire contraddittorio della storia, tipica del marxismo, l’indipendenza di giudizio di Grossman rispetto ai canoni politici e ideologici del realismo socialista.

Quando il lettore giunge alla fine del romanzo è portato ad aderire all’epopea di Grossman, che cercava di tenere alto il morale delle truppe sovietiche senza lesinare le critiche ai comandanti stalinisti. Nasce fin dal titolo il pensiero di quale immenso movimento di massa planetario sia stato quello comunista e come lo stalinismo sia stato il peggior servizio fatto alla sua giusta causa.

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