Come frantumi di mondi. Teoria della prosa e logica delle emozioni in Gadda
È appena uscito per Quodlibet Come frantumi di mondi. Teoria della prosa e logica delle emozioni in Gadda di Valentino Baldi. Riportiamo i primi due paragrafi del quarto capitolo, dedicato alla caricatura. In questa sede le note a piè pagina che compaiono nel libro sono ridotte al minimo, per il resto si tratta di una riproduzione fedele di quanto pubblicato.
Corpi, Metafore e Rappresentazione Caricaturale
1. Nella sezione Alcuni aspetti del romanzo in Il romanzo del Novecento, Giacomo Debenedetti parla dell’invasione di personaggi brutti in quello che non smetterà mai di chiamare il “romanzo moderno”, riferendosi al romanzo europeo dei primi trent’anni del XX secolo. Riprendendo negli anni Sessanta spunti critici che risalgono a letture degli anni Trenta, Debenedetti riflette sull’imbruttimento del personaggio europeo, partendo da Balzac, Dostoevskij e Zola, ma trovando in Joyce, Kafka, Musil e — anche se in modo diverso — Proust, gli esempi più numerosi ed evidenti. È un metodo di investigazione focalizzato sull’evoluzione del personaggio che ritorna costantemente nel Romanzo del Novecento, ma che caratterizza anche saggi come Personaggi e destino e Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo. Tozzi e Pirandello, in Italia, sono gli autori che più rispettano questa strana tradizione, che Debenedetti non esita ad avvicinare all’espressionismo pittorico. Colpisce, in particolare, la loro capacità di fissarsi su dettagli fisici esagerati fino a creare un effetto disturbante. Tozzi, come nota anche Debenedetti, è forse più efficace nel ricercare il particolare deforme, anche quando il ritratto a figura intera non farebbe presagire simile alterazione: «Si direbbe che la bruttezza sia diventata un attributo inevitabile dell’uomo, in quanto personaggio rappresentato dall’arte» (Debenedetti, 444). Lo scopo del critico è quello di cogliere alcune caratteristiche d’insieme del romanzo del Novecento: «A guardare la popolazione del romanzo moderno, vien fatto di supporre che nella specie homo fictus si sia prodotta un’improvvisa involuzione, dopo la quale è ormai impossibile che venga al mondo un qualsiasi esemplare di quella specie non sfigurato di qualche sinistro o doloroso o repulsivo stravolgimento della maschera» (Debenedetti, 450). A partire dalla formula che apre Quaderni di Serafino Gubbio operatore («c’è un oltre in tutto» (Pirandello, 519), Debenedetti è convinto che la mutazione culturale che ha sconvolto l’occidente tra fine Ottocento e inizio Novecento si possa leggere attraverso l’estetica del personaggio: «Se riusciremo a dire con esattezza qualcosa sui motivi e sui caratteri generali dell’espressionismo, capiremo perché quel senso di sofferenza emanato dalla fisionomia stravolta e imbruttita dei personaggi può essere duplice, ambivalente» (Debenedetti, 440). Vale la pena di sottolineare come Debenedetti, nonostante non parli mai esplicitamente di modernismo (nelle citazioni i riferimenti sono a «romanzo moderno» e «espressionismo»), stesse inconsapevolmente fornendo alcune riflessioni su questa categoria, e la sezione dedicata all’invasione dei brutti è una delle più ricche in questo senso:
Qui conviene oramai precisare la locuzione “romanzo moderno” usata poc’anzi a designare una fase della storia della narrativa in coincidenza con la quale si constata il fenomeno di un imbruttirsi dei personaggi: quella che altra volta mi è capitato di chiamare l’invasione vittoriosa dei brutti; […]. Questa fase si inizia col decadere della narrativa naturalista. (Debenedetti, 452)
Questa «fase» è quella che oggi distinguiamo dal decadentismo e dalle avanguardie storiche e che definiamo “modernista” anche in Italia. Il ribaltamento di prospettiva nel rapporto tra mondo psichico e realtà concreta è uno dei capisaldi del modernismo letterario ed è il fattore decisivo per spiegare l’evoluzione dei tratti fisici dei personaggi: anche i dettagli apparentemente più realistici sono deformati e si caricano di un alone misterioso e oscuro.
La categoria di caricatura consentirà di dare rilievo ai ritratti deformati dei personaggi, di impiegare strumenti analitici provenienti dalla retorica (con metafora, antonomasia e iperbole come figure di confronto principali) e di spostare il discorso dal personaggio alla rappresentazione.
La scrittura gaddiana è dominata da figure caricaturali: moltissimi personaggi, ovviamente, ma anche animali, piante e cose. Questo tipo di rappresentazione, in linea con le riflessioni debenedettiane, si può spiegare preliminarmente rilevando due fattori di influenza che hanno agito simultaneamente sullo scrittore milanese. Il primo è il romanzo europeo del Settecento e dell’Ottocento, che rimane un punto di riferimento di gusto e di costruzione narrativa: scorrendo le occorrenze in Racconto italiano di ignoto del Novecento, ci siamo già imbattuti nei nomi di Manzoni, Balzac e Zola, Sterne e Dickens, Dostoevskij, interlocutori privilegiati soprattutto a proposito di questioni satiriche e umoristiche. È questo il sostrato moderno su cui si fonda il riso modernista gaddiano, come ha ben ricostruito Godioli nei suoi studi sui modelli europei alla base della crisi della rappresentazione: «in molti narratori di solito considerati modernisti […], la crisi del realismo tradizionale coincide con un dilatarsi del riso, che giunge a investire ogni piega della vita associata» (Godioli, 182). Ancora più interessante mettere in evidenza, nell’ottica di questo capitolo, che gli scrittori francesi e inglesi appena citati occupano uno spazio centrale nel dibattito teorico e critico sulla caricatura letteraria nei contesti francofono e anglofono. L’altro fattore di influenza è costituito dalle arti visuali, per cui si ripresenta quella continuità fra modernità classica e contemporaneità sperimentale valida per il romanzo. Raimondi ha approfondito il rapporto tra Gadda e l’arte barocca attraverso gli studi di Roberto Longhi, influenza ripresa anche da Bologna (Raimondi, 47-48): passato e presente, tradizione e innovazione, letteratura e arti visuali, sono gli snodi di un saggio che ha il merito di andare oltre la registrazione delle occorrenze, per occuparsi di forme e costanti sommerse. Tra Barocco e arte novecentesca esistono continuità che danno conto di predilezioni misurabili su lunghe diacronie: i primitivi senesi, Bramante, Mantegna, Caravaggio, Bernini, ma anche Ensor e Giorgio De Chirico. Dal 1938 al 1940, Gadda collabora con «Corrente di vita giovanile», fondata da Ernesto Treccani e da cui non tarderanno a emergere le voci, tra gli altri, di Giò Ponti, Edoardo Persico e Lucio Fontana. Nato a Milano come «Vita giovanile» proprio nel ‘38, il periodico si distinse subito per l’intensa collaborazione tra artisti e scrittori, potendo vantare il coordinamento di figure quali Sereni, Lattuada e De Grada. Una collaborazione continuativa, particolarmente intensa tra il ‘39 e il ‘40. Oltre ad alcuni racconti – Il pozzo numero quattordici e Sul Neptunia (in Meraviglie d’Italia) – Gadda pubblica 35 Favole nel 1939. Il numero di «Corrente» del 30 gennaio 1940 presenta, a fianco del gaddiano Le bizze del capitano in congedo, una recensione di Leonardo Sinisgalli dedicata ai disegni di Lucio Fontana, argentino d’Italia interessato a sua volta al Barocco.
Le pagine di Debenedetti sui personaggi brutti in Pirandello, Tozzi e Proust individuano fattori di influenza simili: i ritratti letterari di Balzac e Dostoevskij, gli esperimenti pittorici degli espressionisti tedeschi. Eppure né Debenedetti, né gli studiosi successivi hanno impiegato la categoria di caricatura per analizzare la natura di questi ritratti. Il dibattito critico su Gadda ha da sempre messo in risalto il fenomeno del riso nelle sue accezioni diverse – comicità, umorismo, pastiche, ironia, carnevale, satira, parodia -, ma la caricatura non è stata quasi mai chiamata in causa: un limite che riguarda l’intero contesto italiano, con alcune eccezioni di cui darò conto in questo capitolo. Le teorie sulla caricatura nelle arti figurative possono consentire di ripartire da Debenedetti per formulare un’ipotesi teorica che spieghi l’interesse di Gadda e di altri scrittori modernisti nei confronti di questa pratica di rappresentazione del personaggio e della realtà.
Quando si considera la natura della caricatura, anche prima di pensare alla letteratura e al caso specifico gaddiano, è evidente che si tratti di una attività basata sul compromesso tra due istanze opposte: l’obiettivo di ogni caricatura è quello di mettere in risalto caratteristiche specifiche di un individuo, di solito riferite al suo aspetto esteriore, oppure al suo carattere; allo stesso tempo la caricatura si fonda sull’antonomasia, in quanto l’esagerazione dei dettagli (necessaria affinché il processo caricaturale si compia) colloca il soggetto caricato entro categorie ampie, che hanno a che fare con vizi, imperfezioni, difetti, di cui diviene il rappresentante per eccellenza. Un individuo col naso pronunciato avrà, nella caricatura, il naso più grosso del mondo, un uomo con le sopracciglia folte avrà due foreste al di sopra degli occhi, chi è sovrappeso impersonerà il vizio della gola, mentre un uomo magro verrà ritratto sottile come una linea. Specificità e antonomasia sono gli estremi di queste rappresentazioni iperboliche del reale, capaci di aprire a una surrealtà accettabile solo a patto di condividere l’alterazione dell’originale. È dunque su insiemi logico-psicologici si poggia che la caricatura: i personaggi che la subiscono vengono a coincidere con le funzioni proposizionali delle classi in cui sono inseriti, ma l’operazione resta comprensibile a patto che l’alterazione non distrugga completamente l’immagine di partenza. I limiti della mimesi si espandono così in un realismo messo in crisi da dosi massicce di esagerazione. L’altro aspetto notevole della caricatura riguarda più specificamente la scrittura gaddiana. Sono immagini di corpi quelle che ci troveremo davanti in questo capitolo, ma saranno soprattutto le forme della rappresentazione – enunciazione, multi-prospettivismo, forme del contenuto – a costituire l’oggetto di analisi. Questi due estremi sono in legame interdipendente e la caricatura consentirà di muoverci attraverso i due opposti di corpo e linguaggio. La corporalità è narrata, dunque tradotta e trasportata in quel groviglio di parvenze, coesistenze e deformazioni che compone l’universo gaddiano. Come ha rilevato Agosti: «l’indecidibilità della posizione stilistica […] gli consente di accedere a quanto, di norma, è sottratto a ogni possibilità di espressione, di comunicazione e di rappresentazione» (Agosti, 26). Indecidibilità stilistica che libera paradossalmente il linguaggio e lo porta a lambire la materialità dei corpi, quel «molle e viscido segreto della costituzione» (Gadda, SGF I 333) che si squaderna davanti al narratore di un’ablazione del duodeno di Anastomosi.
2. Iniziamo, senza rispettare un ordine definito, con un esempio di caricatura da Quando il Girolamo ha smesso….:
Ma tutt’a un tratto, che è, che non è, la “Confidenza” aveva amaramente deluso le vecchie famiglie, le vecchie case: e le non dirò vecchie ma giudiziosamente mature signore che, adorne di sardanapaleschi orecchini da 50.000 lire l’uno (detti nel Sàlgari “nocciuole di brillanti”) avevano a lei confidato lor anima, “tanto bisognosa di appoggio”. […]
I loro quarantasei emmezzo, verso le cinque e tre quarti, si benignavano, poi forse compiacevano, di sostare un attimo, poi magari indugiare un micolino, a una certa caritatevole condiscendenza, indi poco a poco illuminata familiarità, nei confronti “anche” della “gente del popolo”. Il “buonasera, Anselmo” largito al passaggio pioveva giù dal fastigio di una pellicciosa e margaritante regalità, come sguardo di eccelsa Teodora o di Caterina allo scriba genuflesso; poi però veniva aprendosi e sgranandosi in un più impegnato contrasto di sensi, e talvolta in una chiacchieratina, (se dava il caso), pèna denter de l’üss: tutta insorgenze filantropiche e larghezza di antichi pareri. (Gadda, RR I 303)
Analogamente a quanto accade in altri disegni dell’Adalgisa, è la satira della milanesità a dominare questo brano, già parte del blocco narrativo del Fulmine sul 220. Qui, però, accade qualcosa di particolare: il narratore costruisce un ritratto attraverso l’accostamento di dettagli che hanno a che fare col corpo e con gli oggetti, ma il quadro aperto e collettivo e i particolari vanno messi a sistema: l’immagine di una anziana signora milanese a passeggio si espande fino a diventare, per antonomasia, la rappresentazione plastica dell’alta borghesia ipocrita e manierosa. Il ritratto è declinato al plurale («vecchie», «mature», «i loro»), anche attraverso la metonimia e l’enallage contenute in «di una pellicciosa e margaritante regalità». L’effetto è notevole, perché il personaggio caricaturizzato (identificato da pelliccia, brillanti, modi di dire) è collettivo, assorbe i dettagli dei singoli componenti della classe. Una modalità descrittiva che ricorda le incisioni di Hogarth in cui i singoli ritratti sono immersi in un contesto caotico di caricature plurime. Il tema di fondo del passo gaddiano – l’aggressione temuta e desiderata – verrà sviluppato in seguito e ritornerà, come noto, nel Pasticciaccio attraverso il personaggio della Menegazzi, altra signora pellicciosa, margaritante e pesantemente caricaturizzata. Satira e parodia sono gli obiettivi di questo brano dell’Adalgisa, ma è sulla costituzione caricaturale di simili ritratti che vorrei soffermarmi. Il rapporto fra voce narrante e oggetto della caricatura consente a Gadda di stabilire un compromesso fra accumulazione di dettagli e sguardo d’insieme: i personaggi sono caricaturizzati a partire da caratteristiche fisiche specifiche che, però, confluiscono in categorie generali. Simile processo compromissorio e deformante non è riservato solo agli esseri umani: all’inizio del secondo tratto della Cognizione, sono alberi e cespugli a subire un ritratto caricaturale:
Al passare della nuvola, il carpino tacque. È compagno all’olmo, e nella Néa Keltiké lo potano senza remissione fino a crescerne altrettanti pali con il turbante, lungo i sentieri e la polvere: di grezza scorza, e così denudati di ramo, han foglie misere e fruste, quasi lacere, che buttano su quei nodi d’in cima. La robinia tacque, senza nobiltà di carme, ignota al fuggitivo pavore delle Driadi, come alla fistola dell’antico bicorne: radice utilitaria e propagativa dedotta in quella campagna dell’Australasia e subito fronzuta e pungente alla tutela dei broli, al sostegno delle ripe. Fu per le cure d’un agrònomo che speculava il Progresso e ne diede sicuro il presagio, vaticinando la fine alle querci, agli olmi, o, dentro i forni della calcina, all’antico sognare dei faggi. Dei quali non favolosi giganti, verso la fine ancora del decimottavo secolo, era oro e porpora sotto ai cieli d’autunno tutta la spalla di là dalla dolomite di Terepáttola, dove di qua strapiomba, irraggiando, sulla turchese livellazione del fondovalle, che conosciamo essere un lago. La calcina, manco a dirlo, per fabbricare le ville, e i muri di cinta alle ville: coi peri a spalliera. (Gadda, RR I 608)
Il periodo di apertura presenta quel tipo di figura di spostamento su cui si è soffermato Giancarlo Roscioni nella sua analisi della Cognizione: il carpino, temine botanico per indicare un albero che appartiene alla famiglia delle betulle, è soggetto a una prosopopea («tacque») originata a partire dalla cicala, insetto che effettivamente sospende il suo canto estivo al passaggio di una nuvola. L’immagine di compromesso, un carpino/betulla, fornisce al narratore il pretesto per la digressione storico-botanica: si tratta di un albero, assieme all’olmo, potato «senza remissione» (altra espressione che insiste sulla personificazione), quasi vittima di una violenza. I particolari delle foglie, «misere e fruste, quasi lacere», vengono a completare il resoconto di una vera e propria aggressione a cui gli alberi sembrano soggetti. Non tutte le piante, però, subiscono gli effetti dell’addomesticazione: all’opposto del carpino, una caricatura di pianta – «pali con il turbante» -, c’è l’infestante robinia. Il brano diventa così la cronaca di un conflitto: quello tra le robinie e l’antico popolo arboreo, ma riunisce anche altre serie di contrasti: ordine e disordine, geometria e incertezza, disciplina e caos. L’immagine che innesca la caricatura è quella della potatura: una violenza che si abbatte su olmi e betulle dal carattere umano. Ed è proprio un universo arcaico, violento e fortemente disordinato che getta Gonzalo nella più cupa disperazione. Anche se, nel secondo tratto del romanzo, il narratore si focalizza su altri personaggi, questa digressione caricaturale chiama in causa soprattutto Gonzalo: di lì a poco assisteremo alle sue crisi di nervi a proposito di disordine, sopraffazione e violenza, come se la sua fosse una prospettiva sommersa e in absentia.
Per circoscrivere un campo che rischia di ampliarsi smisuratamente, prenderò in considerazione quasi esclusivamente ritratti di personaggi letterari, soffermandomi sulle descrizioni fisiche e trascurando gli effetti – ironici, satirici, parodici – che farebbero rientrare questa analisi in categorie del riso diverse. Per catalogare gli innumerevoli ritratti caricaturali è necessario distinguere la prospettiva che produce la caricatura dalla natura dei soggetti caricaturizzati. Considerando la voce narrante ci troviamo davanti a due possibili tipologie:
1a. Caricature che sono effettuate da un narratore singolo
2a. Caricature che sono effettuate da un narratore collettivo
Dal punto di vista dei soggetti che subiscono la caricatura ritroviamo queste possibilità:
1b. Caricature che colpiscono un personaggio singolo
2b. Caricature che colpiscono comunità di personaggi che condividono specifiche caratteristiche
E già le nozioni di “narratore singolo” e “narratore collettivo” richiedono alcune integrazioni. Che la voce narrante in Gadda sia spesso la risultante di un groviglio di prospettive differenti, è una circostanza ben nota e appena dimostrata dal passaggio che apre il secondo tratto della Cognizione. Questo metterebbe subito in discussione la possibilità di identificare “narratori singoli”, eppure gli esempi testuali raggruppati nelle prime due categorie sono stati scelti perché la voce del narratore (esterno o interno, onnisciente o parziale) è unica, sempre riconoscibile, stilisticamente omogenea. I narratori collettivi, invece, sono quelli in cui focalizzazioni diverse producono diffrazioni della voce narrante e dello stile: il testo che rappresenta per antonomasia questa macro-categoria è il Pasticciaccio.
Il brano tratto da Quando il Girolamo ha smesso…. è narrato da una voce singola che colpisce gruppi di personaggi, mentre la digressione nella Cognizione presenta un narratore plurale.(1) Incrociando prospettive narranti e contenuti si ottengono quattro effetti, uno per categoria. Se consideriamo il primo gruppo – le caricature effettuate da un narratore singolo che colpiscono un personaggio singolo – l’effetto più frequente è quello di lite. Le caricature effettuate da un narratore singolo che colpiscono gruppi di personaggi producono un effetto di invettiva. Per quanto riguarda i narratori collettivi avremo rispettivamente un effetto a dominante di discriminazione (narratore collettivo che colpisce personaggio singolo) e un ultimo di conflitto (narratore collettivo che colpisce gruppi di personaggi). Scelgo quest’ultimo termine per distinguere le liti che possono insorgere tra singoli individui dai conflitti, termine che ha una valenza più ampia.
Note
(1) Come ha osservato Massimo Palermo, il legame problematico tra lingua e conoscenza ha prodotto alcune costanti della scrittura gaddiana, soprattutto: «Continua frattura delle unità sintattiche, diffrazione del punto di vista e graduale messa a fuoco dei referenti – con conseguente rallentamento del ritmo e spostamento a destra del baricentro informativo del periodo – appaiono dunque le polarità attorno a cui convergono i diversi procedimenti che rendono sulla pagina questo sistema conoscitivo» (Palermo, 102). È per questo che la nozione di “narratore singolo” appare contestabile, visto che il rapporto tra enunciato e enunciazione in Gadda è aperto.
Riferimenti
Carlo Emilio Gadda
RR I: Romanzi e racconti I, Garzanti, Milano, 1995.
SGF I: Saggi, Giornali, Favole e altri scritti I, Garzanti, Milano, 2008.
Stefano Agosti, Gadda. Quando il linguaggio non va in vacanza, il Saggiatore, Milano, 2016.
Giacomo Debenedetti, Il romanzo del Novecento, Garzanti, Milano, 1987.
Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, in Id., Romanzi, Mondadori, Milano, 2003.
Alberto Godioli, «La scemenza del mondo»: riso e romanzo nel primo Gadda, ETS, Pisa, 2011.
Massimo Palermo, Come «un caos che si arricchisca di determinazioni» Osservazioni sull’architettura testuale di Gadda, in «Lingua e stile», vol. 39.
Ezio Raimondi, Barocco moderno. Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda, Bruno Mondadori, Milano, 1990.
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