Burton, Anatomia della Malinconia, appunti di lettura
In un’ipotetica genealogia del romanzo qualcuno potrebbe mettere come capostipite la storia di uomo naufragato su di un’isola, che grazie al suo ingegno sopravvive (vicenda che il suo autore spacciò come vera pur non essendolo), oppure la storia di un orfanello e delle sue vicissitudini nell’Inghilterra del ‘700, o la lettere in cui una giovane donna racconta come fu ingannata dal ribaldo di turno, oppure il racconto della vita e delle opinioni di un uomo, la cui nascita ci viene raccontata solo a metà del libro in questione; oppure la storia di un cavaliere pazzo e del suo strambo rapporto con la realtà; potrebbe, infine, essere alla radice di questa ipotetica genealogia la storia di due giganti e del loro allegro inferno, altri potrebbero affermare che i romanzi nascono da alcuni libri biblici (Tobia, Ester) oppure dalle satire menippee, dai dialoghi socratici o ancora dal resoconto di una cena di un ricco liberto romano.
A questa rapida e neppure troppo esaustiva carrellata di autori e temi nessuno si sognerebbe di aggiungere un testo di medicina, o presunto tale, che venne pubblicato a metà del ‘600 (la prima 1621, l’ultima e definitiva nel 1651). L’autore, Robert Burton, è un oscuro bibliotecario, scrittore di un unico libro, cui ha dedicato tutta la vita; un libro abnorme, estravagante, composito, tanto citato quanto poco letto per intero, che ha per titolo Anatomia della Malinconia, di cui Bompiani ha pubblicato la versione integrale (a cura di L. Manini e A. Roselli)