Mò, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese, vanno dicendo che sono matto. E mica da mò, che me lo devono dire loro, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese che sono matto. Pure io lo so, e sempre ci penso, notte e giorno, d’inverno e d’estate, ogni giorno che il Padreterno fa nascere e morire, con lo scuro e con la luce, ci penso, che c’ho sempre pensato per vedere di capire come mai sta coccia mia da quasi normale s’è fatta na cocciamatte, tutta na matassa sgarbugliata fuori di cervello. Che poi è come se uno cammina dritto e di botto a un bivio tutto storto come una serpe gli s’intreccia la sguardatura e cambia strada che manco se ne accorge, e così di botto ti ritrovi in un posto che non hai mai visto prima di allora, che non riconosci niente, le case, gli alberi, le facce delle persone, le voci, manco le voci e ti stona pure la voce bella di tua madre, e non sai ritrovare manco la fontana della piazza grande, che pure è grossa, e dopo i piccioni per dispetto ti cacano sulla testa, non ritrovi manco la casa dove sei nato con quel portonaccio di legno vecchio tutto sgarrupato, che i tarli ci fanno le case popolari, ci fanno, e se lo sugano pezzo pezzo, pure la ruggine e la muffa si mangiano quei tarli (pp.5-6). [1]
Un regalo
«Prof» – mi ha detto Sebastiano al termine dell’estate – «prof, ho letto un romanzo che mi ha esaltato, deve leggerlo anche lei! Voglio sapere che ne pensa!».
Sebastiano Mancuso è stato mio allievo ormai una decina di anni fa, si è laureato in relazioni internazionali e adesso lavora in Giordania; per un certo periodo, finito il liceo, ha continuato a farsi suggerire da me i libri per l’estate, come faceva da studente, finché ha iniziato a suggerirli lui a me. A settembre mi ha regalato Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio (Minimum fax, 2019), il romanzo per cui Remo Rapino ha vinto il Campiello. Avevo letto le recensioni, avevo ascoltato per radio, subito dopo il premio, un’intervista all’autore, ero curiosa; però, presa da altro, rimandavo. Ma, adesso che me lo regalava Sebastiano, c’era di mezzo pure una promessa da prof. E finalmente l’ho letto. Nel frattempo Rapino rilasciava altre interviste, sul romanzo si scrivevano moltissimi articoli, alcuni attori addirittura ingaggiavano una sorta di appassionante tenzone leggendolo nel dialetto loro e di Bonfiglio Liborio, orfano di madre e figlio di padre ignoto, si svelavano tuttavia parentele d’altro sangue – con don Chisciotte, col principe Myškin, con Gonzalo Pirobutirro, con Vincenzo Rabito, perfino con Forrest Gump; e anche Sebastiano mi scriveva le sue considerazioni, un po’ come faceva da ragazzino, sebbene adesso sia un uomo e storia e storie ne abbia lette quasi quanto me. Che potevo aggiungere, io? «Questo» - mi sono risposta alla fine; cioè le sue considerazioni e lui che mi chiede le mie, su questo romanzo in particolare, tanto da regalarmelo.